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Turchia, non aprire all'invasione silenziosa

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  • Turchia, non aprire all'invasione silenziosa

    La Padania, Italia
    domenica 5 dicembre 2004


    Con l'immigrazione confluiscono in Europa integralismo, terrorismo e
    criminalità

    Turchia, non aprire all'invasione silenziosa

    È in atto una politica di penetrazione del continente europeo

    Il Comitato Pro Nativa Europa di Ferrara ha inviato ai vertici
    dell'Unione Europea un Memorandum in cui sono illustrati i motivi che
    rendono inaccettabile l'adesione della Turchia all'Ue. Riportiamo di
    seguito la terza puntata del fascicolo.
    CONQUISTA ISLAMICA IN AZIONE: INVASIONE MIGRATORIA E POLITICA DEL
    VENTRE
    L'immigrazione islamica non è un evento legato soltanto alla
    congiuntura europea, ma una scelta politica di penetrazione in Europa
    perseguita con un preciso disegno dall'insieme islamico
    (Organizzazione della Conferenza Islamica), che l'ha programmata
    nella conferenza di Lahore del 1974. La leva demografica è ritenuta
    la modalità vincente dell'Islam per sommergere gli europei, i quali,
    al contrario, per il ridotto tasso di natalità tendono a ridursi.
    Cosicché Ernst Nolte ha acutamente considerato che all'Islam «una
    conquista di tipo non bellico deve apparire possibile, anzi
    probabile».
    L'immigrazione, pertanto, è divenuta una questione complessa, da cui
    dipende il permanere od il soffocamento della civiltà europea. Da un
    lato l'economia europea ha bisogno di importare mano d'opera,
    purtroppo non ben regolata dagli Stati e dalla stessa Unione.
    Dall'altro lato si attua una precisa volontà politica dell'insieme
    islamico, nel quale confluiscono tanto il fondamentalismo quanto il
    terrorismo, di conquistare l'Europa con l'immigrazione.
    Sicché le correnti immigratorie islamiche avvengono sotto regia, più
    o meno occulta, della Turchia, che ne ha accompagnato e ne accompagna
    tuttora l'afflusso clandestino in partenza dai porti islamici turchi
    ed africani. Già l'8 gennaio 1998, quindi a fenomeno migratorio
    intenso già da diversi anni, in una seduta in Roma dei capi delle
    polizie dei Paesi più interessati agli sbarchi di clandestini,
    l'accordo era unanime nell'ammettere che tale flusso era diretto da
    organizzazioni aventi la loro base in Turchia.
    Il punto discriminante per definire l'atteggiamento dell'Europa
    sull'Islam è quello di stabilire se tale movimento politico-religioso
    sia totalitario oppure no. Qui non c'è spazio per disamine
    dottrinali. La via più rapida è storicizzare l'esperienza di oltre
    tredici secoli di regimi islamici, per capire che essi si traducono
    in assolutismi politici, da cui non vi è ritorno allo stato laico
    democratico ed alla libertà sia religiosa sia politica.
    Coloro che ritengono di imporre all'Islam con la forza laicità e
    democrazia, così come intesi in Occidente, prospettano una soluzione
    impossibile. L'Islam non condivide e non intende condividere il
    potere con alcuna forza politica diversa dall'Islam. Per l'Unione
    Europea è urgente e grave decisione politica prendere provvedimenti
    rapidi e radicali, fin che ne ha la possibilità.
    L'Europa, che è scampata di recente a due totalitarismi, quello
    nazi-fascista e quello comunista, ha davanti a sé il problema di
    salvaguardarsi da un totalitarismo più difficile da contenere e da
    combattere per le sue ambiguità contenutistiche di tipo religioso.
    Gli immigrati, su posizioni religiose diverse dall'Islam, pur
    conservando la loro fede si integrano nelle società degli Stati
    Europei, che hanno dato loro accoglienza. Gli islamici non si
    integrano, costituiscono in ogni Stato comunità separate a se stanti.
    I modelli di integrazione seguiti nei diversi Stati europei sono
    falliti. Una schiera di sociologi e politologi invece di mettere in
    luce l'irriducibilità volitiva ed ideologica islamica, ne fanno
    addebito agli Stati europei passando a chiedere nel nome della
    libertà religiosa, ignorata e calpestata dagli islamici, di piegare
    alla loro immodificabile ortoprassi strumenti giuridici e princìpi
    etici. Peraltro, l'impossibile integrazione islamica in Europa è
    altresì la riprova di quanto sia fallace l'ideologia americana di
    esportare la democrazia all'interno dei regimi islamici.
    I musulmani in Europa, sunniti e sciiti, hanno un solo obiettivo
    politico, sentito fanaticamente come un dovere religioso: divenire
    maggioranza. Sono di dominio pubblico le esternazioni islamiche, che
    essi conquisteranno l'Europa con il ventre delle loro donne. Nelle
    moschee si invitano le donne islamiche a partorire ciascuna almeno
    cinque figli. La mentalità inculcata agli islamici è di essere
    fratelli soltanto fra di loro, e di considerare il non islamico non
    solo un infedele ma un nemico.
    Dunque, l'immigrazione islamica è un'invasione, e come tale è
    predicata dagli islamici che la sublimano come una nuova egira, dopo
    quella operata da Maometto, il quale si trasferì con un gruppo di
    suoi seguaci dalla Mecca a Yathrib (oggi Medina), finendo per
    assoggettare tutti al suo potere, cacciando ed uccidendo quanti si
    opponevano.
    Ma l'Europa, che sta sottovalutando la sfida totalitaria dell'Islam,
    sarà in grado di reagire? In questo momento i politici Europei sono
    nella medesima condizione mentale dei politici di Bisanzio, i quali
    disputavano sul sesso degli angeli, mentre l'Islam si affacciava come
    sempre da nemico alla soglia della loro capitale. Quando Bisanzio
    avvertì il pericolo era troppo tardi, ragion per cui restò
    conquistata e distrutta. I politici europei, allorché discutono sul
    come esportare la democrazia nei regimi islamici e sul come integrare
    i musulmani in Europa, non percepiscono la realtà distruttiva
    incombente, ma vivono di astrazioni cullandosi in sogni e perdendosi
    in utopie.
    Il Consiglio e la Commissione dell'Unione Europea non hanno colto il
    senso della proposta, da più parti avanzata e riformulata da Giacomo
    Biffi a Bologna, di distinguere nell'immigrazione tra non islamici
    integrabili ed islamici inintegrabili. È, infatti, una concezione
    politicamente suicida l'accoglimento di una minoranza islamica
    aggressiva e totalitaria, che ha nel suo programma e nei suoi intenti
    il non rispetto della maggioranza, e che si organizza ed agisce per
    combatterla e sottometterla. In definitiva. non si tratta in generale
    di chiudere le Porte all'immigrazione. ma soltanto in generale di
    bloccare l'immigrazione islamica invasiva.
    BELLIGERANZA SIA IDEOLOGICA SIA ARMATA
    Il Consiglio e la Commissione dell'Unione Europea devono prendere
    atto che fra le religioni orientali approdate in Europa, solo l'Islam
    costituisce un gravissimo problema di ordine pubblico permanente.
    E lo sta sempre più divenendo, ormai alla soglia di una guerra non
    dichiarata. L'Islam si presenta come una religione, quando è
    piuttosto un movimento ideologico politico-religioso, cioè una forza
    politica che ha assunto come contenuto ideologico la fede religiosa.
    Religione e politica (quindi potere, stato e così via) sono
    inscindibili. In questa sua natura di movimento politico, che
    considera il sentimento religioso la quintessenza della politica, va
    rinvenuta la spiegazione della sua differenza dalle altre religioni
    orientali.
    Questo carattere è così profondo nell'Islam che ne fa un movimento
    rivoluzionario e nel contempo un movimento sovversivo permanente nel
    conculcare ogni forma di cultura politica e religiosa, ogni sistema
    di civiltà diversa dalla identità, che in partenza dal Corano, ha
    sviluppato. (...).
    Per i europei che considerano il nazi-fascismo come un modello di
    totalitarismo classico, che sono arrivati tardi a comprendere la
    natura totalitaria del comunismo, cogliere un totalitarismo atipico
    rispetto ai totalitarismi europei come quello islamico potrà essere
    un risultato sofferto, augurabilmente non troppo lontano nel tempo. È
    opportuno, dunque, che il Consiglio e la Commissione dell'Unione
    Europea affrontino la questione della natura totalitaria dell'Islam,
    prima ancora che diventi impossibile una strategia di difesa
    all'interno della stessa Europa. La prima autodifesa è tanto politica
    quanto giuridica e dovrebbe trovare nella Costituzione europea una
    norma di divieto per ogni movimento di ispirazione ideologica
    totalitaria e di istigazione alla conquista esclusiva del potere.
    Il punto dirimente, sia sulla natura totalitaria dell'Islam come
    ideologia politico-religiosa sia sul suo obiettivo politico-religioso
    di islamizzare l'Europa per detenerne il potere assoluto, è dato
    dalla realtà in atto di forza belligerante, che ha dichiarato guerra
    all'Europa, anche se il Consiglio e la Commissione dell'Unione
    Europea fingono di non vedere. E' sufficiente constatare le forme di
    ostilità in atto dell'islam in Europa. La prima forma assunta
    dall'immigrazione islamica è quella ideologica di lotta ai simboli
    cristiani.
    L'Islam ha innescato una spirale di insofferenza verso le tradizioni
    ed i simboli della Fede cristiana nella loro manifestazione pubblica.
    Se ne chiede l'eliminazione, l'epurazione, la scomparsa. Il
    cristianesimo è parte attiva della cultura europea, e come ogni
    cultura rinviene una proiezione visibile nei simboli, poiché il
    simbolo in ogni cultura è ciò che unisce.
    Ovviamente i musulmani, nel clima di rispetto che l'accoglienza
    occidentale offre loro, non hanno alcuna giustificazione per
    un'azione continua di avversione alle tradizioni cristiane. La loro
    intolleranza per i crocifissi, per i presepi, per i canti natalizi ed
    altro di segno cristiano nelle scuole, in luoghi di lavoro od in
    altri ambiti pubblici è presentata come una "lotta per raggiungere la
    pari dignità sociale garantita a tutti i cittadini italiani dalla
    Costituzione" (Dichiarazione dell'Unione Musulmani d'Italia del
    dicembre 2001). Così in Italia. Analogamente in altri Stati Europei.
    A fronte delle pretese contro i cristiani avanzate in Europa, nessuna
    dichiarazione di condanna della condizione giuridica riservata ai
    cristiani nei regimi islamici sottoposti a pesanti restrizioni nella
    loro libertà religiosa, costretti al pagamento di un'imposta e non
    parificati nei diritti politici e civili ai cittadini musulmani.
    Ma nemmeno i Governi europei, ancor meno l'Unione Europea, si sono
    posti il problema di esigere la reciprocità dai rispettivi Stati
    islamici, i quali sono assai solerti a sostenere finanziariamente e
    diplomaticamente le comunità musulmane sia nel proselitismo sia nel
    mantenimento di posizioni discoste dal contesto europeo.
    Quale il senso di questa guerra ai simboli cristiani? Perché sulla
    strada della conquista politica dell'Europa (la sua islamizzazione)
    l'ostacolo maggiore sono i cristiani, non i democratici agnostici e
    increduli incapaci di cogliere con l'ascesa dell'Islam la fine dello
    Stato laico e della democrazia politica, nonché illusi di influenzare
    l'Islam e di riformarlo secondo le loro concezioni secolariste.
    Questa lotta ideologica ai simboli cristiani è guerra di religione,
    ed è guerra al cristianesimo in preparazione allo scontro con la
    civiltà europea nell'insieme di tutte le sue componenti.
    L'integrazione islamica in Europa è un'utopia: chi sta dentro l'Islam
    è un fratello, chi sta fuori dall'Islam è un nemico. La seconda forma
    assunta dall'emigrazione islamica è quella violenta di lotta armata,
    di azioni terroristiche preparatorie della jihad-guerra santa.
    I musulmani non sono soddisfatti della libertà di cui godono in
    Europa, potendo conservare la propria fede, le proprie tradizioni, la
    propria cultura. Essi puntano ad ottenere, come comunità separata,
    l'autogoverno religioso-politico attraverso il concilio delle
    moschee. Per una precisa scelta ideologica: «Ritroveremo la libertà
    soltanto se dichiareremo incompatibili la civiltà dell'Islam e la
    civiltà dell'ovest. È giunta l'ora per noi di trovare alternative
    alle vacche sacre del capitalismo, del socialismo e della democrazia»
    (Kalim Siddiqui, direttore del Muslim Institute for Research and
    Planning - Londra, luglio 1989). In ogni parte d'Europa è già
    iniziato un braccio di ferro, più o meno conflittuale, nell'esigere
    spazi amministrativi e giuridici specifici per l'Islam. Il loro
    obiettivo, oltre a cimiteri, macellerie e scuole proprie, è di
    conseguire l'applicabilità per le loro comunità del diritto islamico,
    iniziando dal diritto di famiglia con tutte le sue norme sul
    matrimonio, sul divorzio, sull'eredità, e, quindi l'accesso alla
    poligamia ed a procedure assai sbrigative sempre in materia di
    matrimonio e di divorzio.
    Queste rivendicazioni giuridiche, in partenza ostili all'integrazione
    nella società europea e mirate alla formazione di enclave politiche
    all'interno degli Stati, avvengono nello sfondo di azioni
    terroristiche sempre più frequenti. Gli atti di disturbo a forte
    ripercussione psicologica - come l'uccisione di turisti europei in
    visita a luoghi arabi, come i sequestri di civili europei in missioni
    umanitarie o di lavoro, come il maxi attacco terroristico a Madrid
    dell'11 marzo 2004, come i riflessi in Europa delle incursioni
    megaterroristiche su suolo russo - puntano in tempi accuratamente
    intervallati a sfibrare politici ed intellettuali.
    L'Islam è prossimo all'ultima fase della sua strategia di conquista:
    quella, cioè, di considerare l'Europa ormai come territorio di
    guerra, i cui tempi sono incalcolabili, con tregue intermittenti
    secondo un'abile strategia, ma da cui si propone di uscirne
    vincitore.
    L'Europa, ha scritto il giornalista musulmano Magdi Allam in premessa
    ad una sua indagine al jihad in atto in Italia, è «diventata non
    soltanto territorio di jihad, di predicazione della guerra santa, ma
    anche di formazione e addirittura di esportazione dei "shahid" i
    martiri dell'Islam» (giugno, 2003), dove il termine "shahid" indica i
    Kamikaze, che si immolano in azioni terroristiche largamente
    distruttive e seminatrici di panico.
    Il primo obiettivo di questa "guerra santa" è di incutere paura nei
    popoli europei, così da indurre disorientamenti e smarrimenti, su cui
    tentare di inserirsi per graduali condizionamenti della vita politica
    in Europa. Una realtà è certa e consolidata: l'Islam è diventato un
    problema permanente di ordine pubblico. L'Europa, al presente,
    considera soltanto il versante terroristico dell'Islam quale problema
    di polizia. Non si sente ancora oggetto della "guerra santa"
    islamica, poiché il jihad è attualmente attivo prevalentemente con
    intimidazioni ed azioni di disturbo. Tra non molto inevitabilmente
    l'Islam porrà seri problemi di sicurezza militare.
    Il quadro è largamente inquietante: un'emigrazione invasiva,
    sollecitata a congiungere la prolificità ai flussi migratori sempre
    continui, onde sopravanzare numericamente i nativi europei, ed
    accompagnata da una crescente guerra ideologica e terroristica. Quale
    provvedimento di salvaguardia pensa di adottare l'Unione Europea?
    L'ingresso della Turchia!Una Turchia, che dietro un'apparente
    condiscendenza, è irremovibile nel ruolo assegnatole dall'insieme
    islamico di essere determinante nella conquista dell'Europa: «Nessuno
    cerchi di esercitare pressioni sulla Turchia con il pretesto
    dell'Unione Europea» (Primo Ministro Tayy Erdogan - Settembre 2004);
    «Nessuna condizione speciale per la Turchia è possibile» (Abdullah
    Gull, vice premier e ministro degli esteri - Ottobre 2004 ). Bertolt
    Brecht ammoniva: «Quando si marcia contro il nemico, è bene essere
    sicuri che il nemico non marci alla nostra testa». Chi sta per
    tradire la Patria Europea? Chi si oppone all'ingresso della Turchia o
    chi si piega nuovo gauleiter al diktat americano?
    LA TURCHIA, STATO PRESCELTO PER IL COLPO DI GRAZIA ALLA CIVILTÀ
    EUROPEA
    Gli Stati europei non possono condividere le istituzioni comunitarie
    con uno Stato islamico, quale è la Turchia. La Turchia è uno Stato a
    regime islamico, cioè una comunità politica ordinata soltanto per i
    musulmani, restando dei tollerati tutti gli altri. La dhimmitudine,
    cioè i provvedimenti restrittivi per i non islamici, è ancora vigente
    in Turchia. L'ortoprassi islamica prevale sulle norme di adeguamento
    all' acquis comunitario, in quanto un insieme di forme di controllo
    sociale e di procedure interne amministrative convergono nel
    mantenere lo status quo. Del resto, nel gioco legislativo simulatorio
    del l' acquis comunitario, l'attuale governo presieduto da Erdogan
    respinge ogni profondo cambiamento dell'ordinamento islamico, con
    l'avallo dei militari. È significativa al riguardo la dichiarazione
    resa dal Capo dello Stato turco, Ahmet Necdet Sezer, nel discorso
    inaugurale della Conferenza O.C.I. - Organizzazione della Conferenza
    Islamica - svoltasi ad Istanbul nel giugno 2004, affermando che le
    riforme da introdurre «non devono snaturare le tradizioni del mondo
    islamico».
    Lo Stato turco si mantiene, altresì, rigorosamente sulla linea
    islamica di attribuire l'esercizio dei diritti politici soltanto agli
    islamici. I capi dello Stato ed i capi del Governo non possono che
    essere islamici. È una sfida alla credulità ritenere che a guidare le
    istituzioni possa essere un ebreo, od un cristiano od un ateo
    professo. Però, entrando nella Unione Europea, in nome della
    democrazia, la Turchia pretenderà al vertice dell'Unione
    l'inserimento di un esponente islamico, senza concedere altre
    alternative. La Turchia, inoltre, è uno stato basato su un'ideologia
    razzista. La Turchia associa all'assolutismo politico-religioso
    islamico un nazionalismo di segno etnico: il turchismo. Questo lato
    perverso è stato chiaramente enunciato come un requisito costitutivo
    dello Stato dal primo successore di Ataturk, il presidente Ismet
    Inon: «solo la nazione turca è legittimata a rivendicare diritti
    etnici e nazionali in questo paese. Nessun'altra componente ha alcun
    diritto di questo tipo». Questo nazionalismo etnico ha provocato
    rapporti ostili verso i kurdi e, unendo il pregiudizio etnico
    all'identità islamica, la radicale emarginazione dei non musulmani.
    Con Erdogan l'influenza islamica sull'educazione nazionale è
    crescente. (...). Ma l'Unione Europea non può ignorare le credenziali
    che la Turchia deve presentare per l'ingresso in Europa. Si escludono
    i riferimenti al defunto Impero Ottomano, per attenersi
    esclusivamente ai comportamenti dell'attuale Turchia anatolica dal
    suo sorgere ad oggi. Ecco un breve sommario di questi meriti storici:
    a) - Il genocidio armeno. Sotto l'influenza dell'ideale panturco il
    movimento dei "Giovani Turchi" , costituito prevalentemente da
    militari, avendo di fatto il controllo del Paese, ha dato avvio alla
    "soluzione finale" del problema armeno con implacabili operazioni di
    sterminio dal 1915 al 1916. Gli armeni occupavano parte dell'Anatolia
    orientale, che era però il loro territorio natio da oltre due
    millenni e mezzo. Resta un caso clamoroso di radicale pulizia etnica.
    Il territorio fu completamente svuotato, tra massacri ed esodi
    forzati, della popolazione armena. Si calcola sul milione e mezzo il
    numero dei morti durante le stragi, mentre quelli scampati in parte
    si raccolsero attorno alla capitale Erevan proclamando la "Repubblica
    Armena" ed in parte si dispersero in molteplici paesi del mondo. Le
    vittime furono presumibilmente di più, poiché sotto l'imperante
    ideologia nazionalista, i Turchi eliminarono contemporaneamente
    minoranze cristiane formate da cattolici, da caldei, da siriaci
    ortodossi, da nestoriani, da protestanti. (...).
    b) - La cacciata dei cristiani greco-ortodossi. Kemal Ataturk, armato
    dalla Russia bolscevica, uscì vincitore dallo scontro con l'esercito
    greco nella guerra combattuta nel biennio 1921-1922. Entro la fine
    del 1922 circa un milione e mezzo di greci, tra fuggitivi e
    scacciati, avevano lasciato la Turchia. Ma non mancò il bagno di
    sangue alla turca. Quando l'esercito turco raggiunse Smirne incendiò
    i quartieri, escluso quello musulmano, procedendo a massacrare i
    cristiani. La brutalità turca adottava, ancora una volta, lo
    sterminio come mezzo per risolvere definitivamente il problema delle
    minoranze cristiane. (...)
    c) - Pulizia etnica e terra bruciata a Cipro Nord. La Turchia non ha
    alcuna giustificazione né di ordine politico né di ordine militare
    quando nel 1974 le sue truppe, equipaggiate di armamenti americani,
    occupando in pochi giorni il 37% dell'isola di Cipro, hanno dato il
    via ad una operazione di pulizia etnica a spese della popolazione
    greca: 180.000 greco-ciprioti espulsi, 112.000 greco-ciprioti
    desaparecidos. La cieca violenza dell'esercito turco ha colpito pure
    i ciprioti di religione islamica contrari all'occupazione: 50-60 mila
    sono emigrati in Europa e 500 circa risultano desaparecidos. (...)
    d) - Le stragi Kurde. La questione Kurda è sorta con la fondazione
    nel 1923 della Repubblica Turca. Mustafà Kemal Ataturk ottenne
    l'abrogazione del Trattato di Sèvres (10 agosto 1920), che aveva
    riconosciuta l'autonomia locale ai Kurdi. Esso fu sostituito dal
    Trattato di Losanna (24 luglio 1923), che includeva qualche articolo
    riguardante in generale il rispetto delle minoranze senza nominarne
    alcuna. Così fu facile a Kemal Ataturk dare il via a provvedimenti
    repressivi. Nel 1924 un decreto ufficiale bandì tutte le scuole, le
    pubblicazioni e le organizzazioni Kurde. Successivamente una legge
    del 1934 approvò un programma di assimilazione dei Kurdi spostandoli
    in area a prevalente etnia turca, affiancato da un piano per
    turcizzare le zone kurde. A completamento i governi turchi hanno
    tenuto bloccato lo sviluppo economico e sociale, così da provocare
    più facilmente l'abbandono kurdo delle loro terre per migrare
    altrove.

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    From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress
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