La Padania, Italia
mercoledì 10 novembre 2004
Il tabù del genocidio armeno: il negazionismo europeo teme di
infastidire Istanbul
UN MILIONE E MEZZO DI SCHELETRI NELL'ARMADIO DELLA STORIA TURCA
PIER LUIGI PELLEGRIN
Buon sangue non mente. Gli insulti rivolti dal leader turco Erdogan
alla Lega Nord ("gruppuscolo politico"), fanno il paio con il
comportamento assunto dai suoi avi nei confronti della minoranza
armena, poco meno di novanta anni fa, prima di passare dalle parole
ai fatti, perpetrando uno dei più sanguinari olocausti che la storia
ricordi. Le aggressioni partirono dall'allora partito di governo
"Ittihad ve Terraki" (Unione e Progresso), espressione
dell'ultranazionalismo dei Giovani Turchi, che non poteva tollerare
le istanze di indipendenza avanzate dal popolo armeno: il pensiero di
"Unione e Progresso" puntava infatti all'omogeneizzazione
panturchista in chiave etnica e religiosa.
Il popolo armeno, quindi, si presentava come ostacolo a questo
progetto in quanto non solo aveva aderito fin dal '300 alla religione
cristiana, ma aveva anche culturalmente assorbito i principi legati a
quel modello di stato di diritto che si stava affermando nei paesi
occidentali ed europei. Il razzismo turco fu quindi un pretesto per
perseguire quello che di fatto era un fine politico ed economico,
data anche la prosperità terriera e finanziaria degli armeni.
Con simili presupposti fu relativamente facile, per i Giovani Turchi,
progettare a tavolino l'eliminazione degli armeni, per poi
realizzarla con precisione scientifica e certosina. I turchi,
insomma, non avrebbero avuto nulla da imparare dai nazisti.
Il piano di sterminio, comunque, venne stilato in dieci punti. Nel
primo si stabilì di mettere fuori legge le associazioni armene,
arrestare gli armeni colpiti in passato dall'accusa di tradimento,
deportarli ed eliminarli. La follia non cambia negli altri nove
passaggi, nei quali si progetta espressamente di sterminare gli
uomini sotto i cinquant'anni, i preti e i maestri, oppure di
deportare le famiglie dei fuggiaschi e impedire ogni comunicazione
tra loro.
Ma i Giovani Turchi con la tranquillità delle belve feroci decisero
anche di mettere in atto operazioni di propaganda e di istigazione
alla violenza delle popolazioni musulmane, nonché di licenziare i
funzionari di stato armeni adducendo motivi di sicurezza, mentre allo
stesso modo venne deciso di sterminare tutti gli armeni presenti
nell'esercito.
Il dato più raggelante di questa pianificazione, però, consiste nella
fervida raccomandazione di cominciare simultaneamente le operazioni
in aree diverse, in modo che le vittime non possano organizzare alcun
piano di fuga o di difesa. Una strategia di caccia ineccepibile, se
nel ruolo delle prede non ci fossero stati un milione e mezzo di
esseri umani.
L'Olocausto perpetrato dai turchi ha anche una ricorrenza, il 25
aprile: in questa data, infatti, nel 1915 vennero deportati,
massacrati e imprigionati tutti gli armeni di Costantinopoli.
Successivamente, nell'agosto dello stesso anno, vennero confiscati i
beni di tutta la popolazione armena, mentre in novembre venne
dichiarata la "Jihad", ovvero la guerra santa contro gli infedeli (e
gli armeni erano cristiani).
Probabilmente è questo il punto fondamentale per comprendere quale
sia stata l'autentica piattaforma di partenza per il genocidio
armeno, ovvero la matrice religiosa. Secondo l'opinione degli
storici, infatti, il nazionalismo dei Giovani Turchi non sarebbe da
solo bastato a compattare quel patchwork di popoli e nazioni che era
diventato l'ex impero ottomano. Nello sterminio giocò, quindi, un
ruolo fondamentale l'impasto teocratico che avviluppava la società
turca, scatenandola in modo sanguinario contro il nemico cristiano,
in questo caso gli armeni.
Non a caso il genocidio del 1915 aveva avuto i suoi predecessori nei
progrom del biennio compreso tra il 1895 e 1897, quando il sultano
Abdul Hamid II sterminò 300.000 armeni. Nel XXI secolo la storia non
ha ancora chiuso i suoi debiti con questo popolo, come dimostra
l'estrema titubanza con la quale viene affrontato il tema del
genocidio. Basti pensare alla malinconica fine fatta dalla mozione
presentata nel 1998 da Giancarlo Pagliarini per il riconoscimento
dell'Olocausto armeno, firmata da 165 parlamentari di diversi
partiti, ma lasciata a bagnomaria dalla burocrazia romana fino al
2001, quando l'allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato, la
respinse considerandola poco adatta al periodo storico-politico.
Evidentemente la memoria di 1.500.000 morti passava in secondo piano
rispetto agli interessi dell'Ulivo e di Romano Prodi, che
dell'ingresso della Turchia è il principale (e forse unico) paladino
europeo (e i turchi di ammettere il genocidio armeno non vogliono
nemmeno sentirne parlare).
A distanza di tre anni il clima è cambiato di poco, visto il silenzio
che politica e cultura hanno riservato all'interessante convegno,
svoltosi nei giorni scorsi, dedicato dalla Fondazione Cini di Venezia
al rapporto Turchia-Armenia. Lo stesso professor Antonio Rigo,
direttore dell'istituto "Venezia e l'Europa", che con la Fondazione
Cini ha organizzato tale convegno, ha ammesso che: «Fino a poco tempo
fa, soprattutto pensando a qualche altro paese, un incontro del
genere non sarebbe stato possibile nemmeno immaginarlo». Come dire
che nei palazzi di potere la parola di Istanbul conta molto, più
delle coscienze e dei rimorsi.
http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=29470,1,1
--Boundary_(ID_whka5cWvrnV+O7AJZRVJjg)--
mercoledì 10 novembre 2004
Il tabù del genocidio armeno: il negazionismo europeo teme di
infastidire Istanbul
UN MILIONE E MEZZO DI SCHELETRI NELL'ARMADIO DELLA STORIA TURCA
PIER LUIGI PELLEGRIN
Buon sangue non mente. Gli insulti rivolti dal leader turco Erdogan
alla Lega Nord ("gruppuscolo politico"), fanno il paio con il
comportamento assunto dai suoi avi nei confronti della minoranza
armena, poco meno di novanta anni fa, prima di passare dalle parole
ai fatti, perpetrando uno dei più sanguinari olocausti che la storia
ricordi. Le aggressioni partirono dall'allora partito di governo
"Ittihad ve Terraki" (Unione e Progresso), espressione
dell'ultranazionalismo dei Giovani Turchi, che non poteva tollerare
le istanze di indipendenza avanzate dal popolo armeno: il pensiero di
"Unione e Progresso" puntava infatti all'omogeneizzazione
panturchista in chiave etnica e religiosa.
Il popolo armeno, quindi, si presentava come ostacolo a questo
progetto in quanto non solo aveva aderito fin dal '300 alla religione
cristiana, ma aveva anche culturalmente assorbito i principi legati a
quel modello di stato di diritto che si stava affermando nei paesi
occidentali ed europei. Il razzismo turco fu quindi un pretesto per
perseguire quello che di fatto era un fine politico ed economico,
data anche la prosperità terriera e finanziaria degli armeni.
Con simili presupposti fu relativamente facile, per i Giovani Turchi,
progettare a tavolino l'eliminazione degli armeni, per poi
realizzarla con precisione scientifica e certosina. I turchi,
insomma, non avrebbero avuto nulla da imparare dai nazisti.
Il piano di sterminio, comunque, venne stilato in dieci punti. Nel
primo si stabilì di mettere fuori legge le associazioni armene,
arrestare gli armeni colpiti in passato dall'accusa di tradimento,
deportarli ed eliminarli. La follia non cambia negli altri nove
passaggi, nei quali si progetta espressamente di sterminare gli
uomini sotto i cinquant'anni, i preti e i maestri, oppure di
deportare le famiglie dei fuggiaschi e impedire ogni comunicazione
tra loro.
Ma i Giovani Turchi con la tranquillità delle belve feroci decisero
anche di mettere in atto operazioni di propaganda e di istigazione
alla violenza delle popolazioni musulmane, nonché di licenziare i
funzionari di stato armeni adducendo motivi di sicurezza, mentre allo
stesso modo venne deciso di sterminare tutti gli armeni presenti
nell'esercito.
Il dato più raggelante di questa pianificazione, però, consiste nella
fervida raccomandazione di cominciare simultaneamente le operazioni
in aree diverse, in modo che le vittime non possano organizzare alcun
piano di fuga o di difesa. Una strategia di caccia ineccepibile, se
nel ruolo delle prede non ci fossero stati un milione e mezzo di
esseri umani.
L'Olocausto perpetrato dai turchi ha anche una ricorrenza, il 25
aprile: in questa data, infatti, nel 1915 vennero deportati,
massacrati e imprigionati tutti gli armeni di Costantinopoli.
Successivamente, nell'agosto dello stesso anno, vennero confiscati i
beni di tutta la popolazione armena, mentre in novembre venne
dichiarata la "Jihad", ovvero la guerra santa contro gli infedeli (e
gli armeni erano cristiani).
Probabilmente è questo il punto fondamentale per comprendere quale
sia stata l'autentica piattaforma di partenza per il genocidio
armeno, ovvero la matrice religiosa. Secondo l'opinione degli
storici, infatti, il nazionalismo dei Giovani Turchi non sarebbe da
solo bastato a compattare quel patchwork di popoli e nazioni che era
diventato l'ex impero ottomano. Nello sterminio giocò, quindi, un
ruolo fondamentale l'impasto teocratico che avviluppava la società
turca, scatenandola in modo sanguinario contro il nemico cristiano,
in questo caso gli armeni.
Non a caso il genocidio del 1915 aveva avuto i suoi predecessori nei
progrom del biennio compreso tra il 1895 e 1897, quando il sultano
Abdul Hamid II sterminò 300.000 armeni. Nel XXI secolo la storia non
ha ancora chiuso i suoi debiti con questo popolo, come dimostra
l'estrema titubanza con la quale viene affrontato il tema del
genocidio. Basti pensare alla malinconica fine fatta dalla mozione
presentata nel 1998 da Giancarlo Pagliarini per il riconoscimento
dell'Olocausto armeno, firmata da 165 parlamentari di diversi
partiti, ma lasciata a bagnomaria dalla burocrazia romana fino al
2001, quando l'allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato, la
respinse considerandola poco adatta al periodo storico-politico.
Evidentemente la memoria di 1.500.000 morti passava in secondo piano
rispetto agli interessi dell'Ulivo e di Romano Prodi, che
dell'ingresso della Turchia è il principale (e forse unico) paladino
europeo (e i turchi di ammettere il genocidio armeno non vogliono
nemmeno sentirne parlare).
A distanza di tre anni il clima è cambiato di poco, visto il silenzio
che politica e cultura hanno riservato all'interessante convegno,
svoltosi nei giorni scorsi, dedicato dalla Fondazione Cini di Venezia
al rapporto Turchia-Armenia. Lo stesso professor Antonio Rigo,
direttore dell'istituto "Venezia e l'Europa", che con la Fondazione
Cini ha organizzato tale convegno, ha ammesso che: «Fino a poco tempo
fa, soprattutto pensando a qualche altro paese, un incontro del
genere non sarebbe stato possibile nemmeno immaginarlo». Come dire
che nei palazzi di potere la parola di Istanbul conta molto, più
delle coscienze e dei rimorsi.
http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=29470,1,1
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