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A 90 anni dal Genocidio, anche la turchia deve fare i conti con...

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  • A 90 anni dal Genocidio, anche la turchia deve fare i conti con...

    La Stampa, Italia
    Venerd́ Il 15 Aprile 2005

    A 90 ANNI DAL GENOCIDIO, ANCHE LA TURCHIA DEVE FARE I CONTI CON LE
    PROPRIE RESPONSABILITA' Armeni, il primo buco nero del '900

    Rizzo Aldo


    Aldo Rizzo APRILE 1915. Novant'anni fa. Comincia una tragedia
    epocale, in quello che e' ancora per poco l'Impero ottomano. Un
    genocidio, dicono gli armeni, che ne furono vittime. L'altra Shoah,
    dicono in Occidente coloro che paragonano quei terribili eventi allo
    sterminio nazista degli ebrei. Di certo, uno dei grandi buchi neri
    del Novecento, cronologicamente il primo.

    Al quale finalmente, dopo una lunga e diffusa amnesia internazionale,
    viene ora dedicato un Giorno della Memoria, il 24 di questo mese. La
    nuova Turchia non si associa, ma per la prima volta, pressata
    dall'Unione Europea, nella quale aspira a entrare, abbandona la linea
    di un'ostinata autodifesa e si dice pronta a un confronto, storico e
    culturale. Un primo passo, al quale altri, piu' netti, dovranno
    seguire.

    La scelta del 24 aprile ha due significati, tragicamente intrecciati.


    Segna per gli armeni il ricordo di un momento eroico, e glorioso,
    della loro storia, la disperata resistenza alla repressione turca
    nella citta' orientale di Van e la sua momentanea vittoria; ma anche
    l'inizio della vera e propria campagna di sterminio, condotta da quel
    momento in poi dal governo di Costantinopoli con la fredda e crudele
    determinazione di un impero morente, che scatenava su una minoranza
    incolpevole la rabbia del declino e la velleita' di arrestarlo, o
    d'invertirlo. Al termine della battaglia di Van, i militari russi
    sopraggiunti raccolsero e cremarono 55 mila corpi di armeni, sparsi
    per tutta la provincia. Quando i russi si ritirarono, l'esercito
    turco, invece d'inseguirli, si avvento' contro cio' che restava della
    popolazione locale, dando inizio a una spietata campagna globale, che
    sarebbe durata almeno due anni e che sarebbe costata, per la
    minoranza armena dell'impero, un milione e mezzo di morti.

    Traggo questi dati da un libro straordinario di Henri Morgenthau, che
    fu ambasciatore degli Stati Uniti a Costantinopoli (l'odierna
    Istanbul) dal 1913 al 1916 e che, come rappresentante di un paese
    ancora neutrale nella Grande Guerra, pote' seguire da vicino quei
    tragici eventi, grazie anche ai rapporti dei molti uffici consolari e
    alle testimonianze dei missionari cristiani. Il libro, apparso per la
    prima volta nel 1918, fu ripubblicato una ventina di anni fa in
    Francia, utilizzando anche la diffusione di documenti dell'epoca da
    parte del Dipartimento di Stato (Me'moires, Flammarion). Ma, intanto,
    perche' un cosi' grande odio turco verso gli armeni? Novant'anni fa,
    essi, in Turchia, erano circa due milioni e rappresentavano un'isola
    cristiana nel mare islamico ottomano. I turchi li sentivano
    ""diversi"" anche per una loro maggiore capacita' di lavoro e di
    profitto, rispetto al proprio standard, e la loro identita', frutto
    di una storia antica, ben piu' di quella turca e islamica, era
    avvertita come una minaccia alla coesione dell'impero. Verso la fine
    dell'Ottocento, il sultano Abdul Hamid ne aveva sterminati almeno 200
    mila, provocando l'indignazione del premier liberale inglese William
    Gladstone, che lo defini' pubblicamente ""un grande assassino"".

    L'odio era diventato sempre piu' grande col progressivo sfaldamento
    dell'impero, dalla perdita della Grecia a quella della Bosnia, della
    Bulgaria, dell'Egitto, della Libia, di Creta, e ora i fermenti
    nazionalistici della comunita' armena si manifestavano in Anatolia,
    all'interno stesso della casamadre. Nel 1913, il potere politico era
    passato con un atto di forza ai Giovani Turchi (Enver, Talaat,
    Djemal), presunti modernizzatori, in realta' capi non meno dispotici
    e cinici. E fu con loro che si tento' la ""soluzione finale"" della
    questione armena.

    Il libro di Morgenthau, oltre che la documentazione di quella
    tragedia, e' un grande racconto della Costantinopoli degli ultimi
    anni dell'impero, tra gli estremi sussulti di una potenza ormai
    dissanguata e gli intrighi della nuova classe dirigente, dimentica
    delle promesse e avida di privilegi. Su questo sfondo, gli intrecci e
    gli intrighi della diplomazia mondiale, alla vigilia e nella prima
    fase della Grande Guerra, perche' Costantinopoli significava il
    Bosforo e i Dardanelli, e sul controllo degli Stretti, in funzione
    antirussa, gli Imperi centrali giocavano una partita cruciale.

    Soprattutto la Germania, che era arrivata a stabilire col nuovo
    governo turco quasi un rapporto di vassallaggio.

    E infatti Morgenthau, che era di origine tedesco-ebraica, vide subito
    nell'ambasciatore di Berlino, il barone von Wangenheim, il genio
    malefico della situazione, fino ad attribuirgli la paternita', come
    dire, strategica di quello che poi sarebbe stato il massacro degli
    armeni. Gli sembrava che fosse poco ""turca"" (benche' i turchi non
    scherzassero), ma piuttosto ""tedesca"", una pianificazione tanto
    sistematica dell'annientamento di una minoranza (e anche su questa
    osservazione si fondo' piu' tardi la teoria di un legame, almeno
    metodologico, con l'Olocausto e quasi di un'anticipazione del delirio
    hitleriano). L'accusa agli armeni di Turchia fu di connivenza con la
    Russia, schierata con gli Alleati d'Occidente e nella quale viveva la
    comunita' armena orientale, dopo la fine dell'occupazione persiana.

    Accusa non infondata, ma riguardo a casi circoscritti, certo non tali
    da giustificare il piano di sterminio. Che previde la deportazione
    degli armeni, da qualunque citta' in cui abitassero, e qualunque
    posizione occupassero, verso il deserto siriano, con l'idea, per
    quanto i fatti dimostrarono, di farli morire per strada. E dove non
    bastavano le fatiche e gli stenti, provvedevano i fucili e i pugnali
    dei soldati turchi. Il bilancio finale, considerato attendibile dagli
    storici imparziali, fu, come dicevo, di un milione e mezzo di morti.

    Oggi gli armeni turchi sono circa sessantamila, dei due milioni che
    erano.

    La comunita' ""russa"" divento', dopo la rivoluzione sovietica e dopo
    vari passaggi, una repubblica dell'Urss, infine acquistando
    l'indipendenza nel 1991, dopo il crollo, anche, dell'impero
    comunista. Vi vivono circa 3 milioni e mezzo di armeni, quasi
    altrettanti appartengono alla diaspora, in varie parti d'Europa,
    soprattutto in Francia, e del mondo, e sono politicamente i piu'
    duri. Nel 1923, con Mustafa Kemal, detto Ataturk (padre della
    patria), sulle rovine dell'impero islamico, la Turchia divento' una
    repubblica laica e occidentalizzante, con Ankara capitale. Ma non per
    questo volle mai ammettere la responsabilita' di un genocidio,
    inserendo piuttosto i fatti del 1915-17, e anche oltre, fra le
    durezze inevitabili di una guerra mondiale e attribuendo le tante
    morti di armeni alla fame e alle malattie.

    La suscettibilita' di Ankara fu grande, ogni qual volta un paese
    straniero (la Francia nel 2001 e piu' blandamente l'Italia) denuncio'
    con risoluzioni parlamentari il ""genocidio"", chiedendo che non
    passasse in archivio senza un riconoscimento della comunita'
    internazionale. D'altronde, la Turchia laica e formalmente
    democratica, pur con tante anomalie, era diventata un membro molto
    importante della Nato, e la Realpolitik aveva il suo peso.

    Ma ora - ecco la svolta - c'e' una situazione geopolitica del tutto
    nuova. Al di la' della Nato, che e' un'alleanza militare, peraltro
    appannatasi nel dopo-11 settembre, c'e' una realta' piu' contigua e
    complessa, l'Unione Europea, anch'essa in difficolta', ma che
    conserva un formidabile ""appeal"" politico-economico per il futuro,
    quale che sia. E la Turchia vuole esserne parte, pagando il prezzo
    (se cosi' si puo' dire, perche' in realta' si tratta di un ricavo
    forte e stabile) di un adeguamento delle sue leggi allo standard
    della democrazia comunitaria.

    Il prezzo include una rivisitazione, finora ostinatamente elusa,
    delle sue responsabilita' storiche di novant'anni fa.
    Responsabilita', se si vuole, non proprio sue, ma di un regime
    imperiale defunto, che tuttavia fa parte, e che parte, della sua
    memoria storica. Il governo islamista moderato di Erdogan, col
    concorso dell'opposizione, ha proposto una commissione mista
    (turco-armena) di storici, sperabilmente ad archivi aperti. L'Armenia
    indipendente, e la sua residua ""enclave"" turca, ne diffidano,
    temono lungaggini e ambiguita', chiedono, non a torto, altre
    iniziative, come l'apertura dei confini e dei commerci. Quanto
    all'Unione Europea, essa (a maggioranza) vuole con se' la moderna
    Turchia, ma a certe condizioni, ivi compreso il superamento di quel
    primo grande buco nero del Novecento.

    GRAPHIC: UNA NAZIONE DISPERSA La questione armena, in parte
    paragonabile a quella curda, ha radici antichissime. Gli armeni
    abitavano 8 secoli prima di Cristo un'ampia regione dell'Asia minore
    (comprendente il monte Ararat, su cui si sarebbe arenata l'Arca di
    Noe'). Seguirono varie dominazioni (persiana, romana, bizantina,
    mongola, tartara), che tuttavia non cancellarono i tratti di una
    cultura autonoma, ivi comprese la lingua e le arti. Nel 1473 la
    regione passo' sotto il dominio ottomano, successivamente dimezzato
    dai persiani, a cui seguirono i russi. L'altra meta' resto' ai
    turchi. Ma gli armeni, diventati cristiani gia' nel IV secolo (Chiesa
    armena gregoriana), si dispersero in vari altri paesi. Nel 1923, alla
    conferenza di Losanna, falli' il progetto di una Grande Armenia
    indipendente, per non turbare gli equilibri postbellici. Sarebbe
    diventata indipendente, dopo il crollo dell'Urss, l'Armenia russa,
    ora in crisi col vicino Azerbaigian per il controllo del
    Nagorno-Karabah. Sulle persecuzioni, oltre allo storico libro di
    Henri Morgenthau, vedi Storia del genocidio armeno di Vahakn N.
    Dadrian (Guerini Associati).

    From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress
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