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Armeni, da novant'anni l'Europa li dimentica

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    Armeni, da novant'anni l'Europa li dimentica
    By Frediano Sessi

    18/04/2005 | Corriere della Sera | ARMENIA |

    24 aprile del 1915 iniziava a Costantinopoli il genocidio di un
    milione e mezzo di persone

    La mattina del 24 aprile 1915, nella città di Costantinopoli, allora
    capitale dell'Impero Ottomano, vennero arrestati 650 notabili armeni.
    Prese inizio così il primo genocidio del XX secolo, che porterà
    alla deportazione e allo sterminio di un milione e mezzo di civili,
    con un picco delle persecuzioni tra il 1915 e il 1916 e uno
    stillicidio continuo di crimini fino al 1923, quando all'Impero
    subentrò la repubblica turca.

    Minoranza cristiana, in uno Stato controllato dai turchi musulmani
    integralisti, gli armeni hanno sempre avuto lo statuto di cittadini
    di seconda classe e subito leggi che via via li hanno privati dei
    diritti più elementari. Condotti a forza verso i deserti della Siria
    e della Mesopotamia, sottoposti a marce di per sé estenuanti, gli
    armeni vennero perlopiù massacrati lungo il tragitto e sepolti in
    fosse comuni. E sebbene il giovane storico inglese Arnold Toynbee,
    già nel 1916, denunciasse «lo sterminio sistematico e crudele di un
    intero popolo», l'Europa in conflitto, ormai assuefatta ai massacri
    e alle devastazioni di quella che sarà definita la prima guerra di
    annientamento, assisté quasi indifferente a quel tentativo di
    cancellare ogni traccia di un'intera comunità dal suolo turco.

    Sono trascorsi novant'anni da quel lontano 24 aprile e ancora si è
    portati a trascurare o dimenticare la memoria di quello che, oggi, la
    maggior parte degli storici europei considera il genocidio
    «matrice» dei futuri assassini di massa che sconvolgeranno la
    geografia dell'Europa e del mondo. Un passo avanti nel segno del
    riconoscimento di questo genocidio e nella direzione di una
    «necessaria» comparazione di memorie è stato fatto due anni or
    sono dalla rivista francese Le monde juif (rivista di storia della
    Shoah, n.177-178). «L'oblio nel quale è caduto questo crimine
    contro il popolo armeno â~@~T scrive il suo direttore Georges
    Bensoussan nell' editoriale â~@~T evoca la fase di silenzio che ha
    riguardato la distruzione degli ebrei d'Europa, negli anni tra il
    1945 e il 1970». A questo silenzio quasi assoluto, vissuto di per
    sé come un'offesa dai pochi sopravvissuti e dai loro figli, «gli
    armeni aggiungono l'oltraggio supplementare della negazione del
    crimine da parte della Turchia». E aggiungiamo noi, la dimenticanza
    troppo spesso reiterata e inspiegabile dell'Italia che pur annovera
    un «parco» memoriale assai ampio, che va dal ricordo della Shoah,
    all'esodo e alle foibe, fino alle feste canoniche della Repubblica,
    tra le quali quella del 25 aprile.

    Conflitti di memorie? Concorrenza delle vittime che tende a
    esacerbare primogeniture, tensioni e risentimenti? O incapacità di
    ricostruire una storia comune dell' Europa, che metta in evidenza una
    necessaria solidarietà tra le vittime e i sopravvissuti, senza
    timore che il ricordo di un genocidio rappresenti una diminuzione o
    semplificazione della memoria di un altro crimine? Intanto il governo
    turco, che si appresta a fare parte della comunità europea, continua
    a organizzare attivamente la negazione del genocidio. Teme che il
    riconoscimento del crimine commesso contro il popolo armeno possa
    provocare rivendicazioni territoriali o economiche.

    Per chi rifiuta la logica della concorrenza tra le vittime, i silenzi
    e le negazioni, resta un simbolo, tra i tanti, di questa tragedia: un
    bambino armeno di una decina d'anni, a cui è stata tagliata la
    lingua, sfuggito alla deportazione e nascosto sotto la sabbia. Quando
    passa un convoglio di deportati, in sprezzo del pericolo, a gesti
    avverte la sua gente che nel deserto saranno nassacrati. Poi si
    nasconde ancora sotto la sabbia e aspetta altre colonne di deportati.
    Questo bambino è l'Armenia che da novant'anni rivolge il suo appello
    al mondo intero senza ottenere un giusto riconoscimento del suo
    dramma.

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