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Armenia: Museo Del Genocidio, Una Fiamma Per Ricordare/ANSA

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    ARMENIA: MUSEO DEL GENOCIDIO,UNA FIAMMA PER RICORDARE/ANSA
    dell' inviata Eloisa Gallinaro

    ANSA Notiziario Generale in Italiano
    18 ottobre, 2006

    CAPO CHIESA ARMENA,SENZA AMMISSIONI TURCHIA SEMPRE IN PERICOLO

    (ANSA) - EREVAN, 18 OTT -'Mets Eguer'n', il grande crimine: cosi'
    gli armeni hanno definito per anni lo sterminio di un milione e mezzo
    di persone da parte dei turchi tra il 1915 e il 1923. Il termine
    genocidio non c'era ancora. Sarebbe nato insieme all' Olocausto,
    e solo dopo e' stato usato anche per gli armeni: ma in molti, all'
    estero, hanno continuato ad ignorare "il grande crimine", prima che la
    decisione francese di punire per legge, come reato, la negazione del
    genocidio armeno, scatenasse in mezzo mondo rivendicazioni e polemiche.

    In Armenia il negazionismo non e' nemmeno preso in considerazione e il
    ricordo e' doloroso: tra i quattro milioni di persone che vivono nella
    piccola repubblica ex sovietica quasi tutti hanno perso congiunti
    e hanno avuto famiglie decimate in quei terribili anni a cavallo
    della Prima guerra mondiale. C'e chi ne parla in maniera ferma, ma
    sommessa, come il viceministro degli Esteri Armen Baiburtian, che
    vorrebbe vedere riaperti quei confini che la Turchia tiene chiusi,
    strangolando economicamente il Paese. E chi lo grida forte, come il
    Catholicos Gareghin II, capo spirituale di tutti gli armeni.

    A parlare per tutti, senza retorica, e' il Museo del genocidio,
    spartano memoriale in cemento grigio che domina Erevan dalla 'Fortezza
    delle rondini', una collinetta alla periferia sud-ovest della capitale
    armena. Accanto alla fiamma eterna, che arde al centro di un cerchio
    delimitato da lastroni ricurvi, come a proteggerla, uno spiazzo erboso
    ospita le targhe che ricordano i visitatori illustri. Vicino a ogni
    targa un piccolo abete. C' e' quella di Romano Prodi, venuto qui il
    19 settembre 2004 da presidente della Commissione europea. Quella
    di Papa Giovanni Paolo II, giunto in pellegrinaggio il 26 settembre
    2001, che ricorda "come i figli e le figlie di questa terra hanno
    sofferto". E quella, recentissima, del presidente francese "Jacques
    Chirac e Signora", passati qui il 30 settembre 2006.

    Altre lapidi, allineate lungo un muro, celebrano i 'Giusti', come
    Anatole France; come l' italiano Giacomo Gorrini, dal 1911 al 1915
    Console d' Italia e Trebisonda e testimone oculare dei massacri,
    denunciati in un' intervista al Messaggero il 25 agosto 1915; come l'
    ambasciatore americano in Turchia Henry Morgenthau, ebreo, che il 10
    luglio 1915 scrive in un telegramma da Costantinopoli al segretario
    di Stato che "le persecuzioni degli armeni hanno raggiunto limiti
    senza precedenti".

    Come l' appello di Papa Benedetto XV, datato 10 settembre 1917,
    a Mohammed V Sultano degli Ottomani perche faccia qualcosa: il
    documento originale e' stato donato al museo e portato personalmente
    da Papa Woytila.

    All' interno del museo, oltre ai documenti, le gigantografie dei
    massacri: gli impiccati nella piazza di Aleppo nel 1916, il corpo
    scheletrico di una donna e dei suoi due bambini morti di fame nel
    deserto siriano di Ras-el-Ain, i teschi ammucchiati, gli orfani nel
    deserto della Mesopotamia nel 1917.

    Immagini uguali a quelle piu' note della Shoah, "contro l' oblio e
    per la memoria", come ricorda la ragazza che ci fa da guida.

    Il panorama, di fronte al Museo del genocidio, e' mozzafiato: il
    massiccio dell' Ararat coperto di neve e' a soli 30 chilometri, ma e'
    oltre il confine sigillato, in territorio turco. E gli armeni devono
    accontentarsi di una gloria nazionale dallo stesso nome: il pregiato
    cognac Ararat, uno dei preferiti da Winston Churchill.

    Non lontano da qui, nella evocativa Santa Sede di Echmiadzin, il
    Catholicos Gareghin II fa sentire senza esitazione la sua voce:
    "L' Armenia e' pronta ad aprire le frontiere con la Turchia senza
    condizioni. E' la Turchia che pone condizioni: che il Nagorno Karabahk
    resti azero e che l' Armenia rinunci a denunciare il genocidio. Noi
    non possiamo cedere su questi due punti. Fino a quando i turchi non
    riconosceranno la responsabilita' del genocidio, il popolo armeno
    vivra' nel pericolo di diventare di nuovo vittima di una azione
    simile".

    Nel monumentale edificio che ospita il ministero degli Esteri, nella
    centralissima Respubliki Plosciadi, il vice ministro degli Esteri
    Armen Baiburtian scandisce: "La Turchia ha rifiutato di stabilire
    relazioni diplomatiche con noi, tiene i confini chiusi. Ma se vuole
    arrivare a far parte dell' Unione europea deve rispettare le minoranze,
    i vicini, le nazioni piu' piccole.

    E' importante riconoscere l' identita' del mio Paese e il genocidio
    fa parte di questa identita'". (ANSA).
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