Terra, Italia
21 set 2011
Il fantasma ottomano
Eric Salerno
ANALISI. Sfida mediterranea e strategia globale: la Turchia suscita
preoccupazioni e spavento. Ma la politica di Erdogan colma un vuoto
frutto di miopia e interessi di bottega.
Il Mediterraneo sta cambiando e rischia di travolgere,
diplomaticamente ed economicamente, chi non ha voluto comprendere
segnali di evoluzione neanche tanto nascosti. La primavera araba ha
colto di sorpresa Europa e Mondo arabo solo perché, da un lato e
dall'altro di questo grande lago che ci unisce, la miopia faceva
comodo. Tranne, ovviamente, che ai popoli costretti da decenni a
vivere sotto il peso di dittature repressive sostenute politicamente
ed economicamente, dall'Occidente. «Italia portaerei o ponte nel
Mediterraneo», ricordava Giulio Andreotti, per spiegare l'impegno di
Roma verso l'altra sponda. Oggi quel ponte rischia di sprofondare.
Rischia di sprofondare per l'inettitudine dei nostri leader, troppo
occupati per comprendere le nuove realtà. Gli Stati Uniti, dopo l'11
settembre, si sono persi nella lotta al terrorismo islamico.
Scatenavano guerre inutili mentre trascuravano la vera sfida: la
crescita dinamica della Cina. Ora un'altra sfida si è palesata.
La Turchia, baluardo del fronte Sud della Nato, rivendica e cerca di
costruire un ruolo egemonico nella regione. L'Europa non ha voluto
accogliere questo Paese a cavallo di due continenti e con il passare
del tempo i suoi leader hanno formulato un progetto nuovo. La rapidità
con cui si è manifestato ha generato grida di paura ma se le
indicazioni fornite dal premier Erdogan e dal suo ministro degli
esteri e ideologo, lo storico Ahmet Davutoglu, saranno confermate dai
fatti, i figli del vecchio impero ottomano potrebbero costituire una
macchina per la crescita e la stabilita di Europa, Nord Africa e Medio
Oriente. Non bisogna farsi eccessive illusioni sulla primavera araba.
Abbattere una dittatura non significa riuscire in tempi brevi a
costruire un Paese democratico. O un Paese che resti allineato e
coperto sulle posizioni imposte, per decenni, dai suoi sostenitori
stranieri.
L'Islam radicale, l'unica forza politica organizzata, farà di tutto
per conquistare spazio e rischia un intervento, diretto o indiretto,
dei militari filo occidentali (come in Algeria) per garantire i nostri
interessi, non necessariamente quelli dei locali. Mentre Sarkozy e
Cameron, con vecchio piglio coloniale, sono andati in Libia
all'incasso di gloria e commesse, Erdogan ha fatto il giro del Nord
Africa per offrire la sua visione del futuro. Ha parlato di Stati
laici per Paesi islamici e di un asse regionale con l'Egitto.
Davutoglu ha spiegato che «Non si tratterà di un asse contro altri
Paesi - Israele, Iran o altri - ma sarà un asse della democrazia,
della vera democrazia». Ha insistito per Ankara sulla necessità di
risolvere la questione armena, eliminare attraverso il dialogo la
questione curda, chiudere il contenzioso di Cipro.
Ha spiegato che Israele, fino a ieri importante alleato strategico,
non è diventato improvvisamente un nemico: «Non contestiamo lo stato
ma l'attuale governo e la sua politica nei confronti dei palestinesi».
Ha avuto il coraggio di dire ciò che molti pensano: Israele si
comporta come un bambino viziato. Ankara, come le capitali di oltre
cento nazioni, è pronta a riconoscere uno Stato palestinese
indipendente se la richiesta sarà presentata all'Onu. Erdogan, come i
leader di questi paesi, sa che perché il nuovo Medio Oriente possa
crescere è necessario togliere dal suo fianco la spina del conflitto
israelo-palestinese. Lo sa anche Obama che, per paura di perdere il
sostegno degli ebrei del suo Paese, ha già annunciato il suo veto. I
mesi a venire diranno se l'Occidente è in grado, oltre che con l'uso
discutibile delle armi come in Libia, di aiutare i popoli della
regione mediorientale a uscire dal loro medioevo e a evitare nuovi
conflitti armati. L'Italia rischia di essere una portaerei senza
aerei; gli Stati Uniti rischiano di perdere ogni credibilità in un
mondo in rapida trasformazione.
http://www.terranews.it/news/2011/09/il-fantasma-ottomano
21 set 2011
Il fantasma ottomano
Eric Salerno
ANALISI. Sfida mediterranea e strategia globale: la Turchia suscita
preoccupazioni e spavento. Ma la politica di Erdogan colma un vuoto
frutto di miopia e interessi di bottega.
Il Mediterraneo sta cambiando e rischia di travolgere,
diplomaticamente ed economicamente, chi non ha voluto comprendere
segnali di evoluzione neanche tanto nascosti. La primavera araba ha
colto di sorpresa Europa e Mondo arabo solo perché, da un lato e
dall'altro di questo grande lago che ci unisce, la miopia faceva
comodo. Tranne, ovviamente, che ai popoli costretti da decenni a
vivere sotto il peso di dittature repressive sostenute politicamente
ed economicamente, dall'Occidente. «Italia portaerei o ponte nel
Mediterraneo», ricordava Giulio Andreotti, per spiegare l'impegno di
Roma verso l'altra sponda. Oggi quel ponte rischia di sprofondare.
Rischia di sprofondare per l'inettitudine dei nostri leader, troppo
occupati per comprendere le nuove realtà. Gli Stati Uniti, dopo l'11
settembre, si sono persi nella lotta al terrorismo islamico.
Scatenavano guerre inutili mentre trascuravano la vera sfida: la
crescita dinamica della Cina. Ora un'altra sfida si è palesata.
La Turchia, baluardo del fronte Sud della Nato, rivendica e cerca di
costruire un ruolo egemonico nella regione. L'Europa non ha voluto
accogliere questo Paese a cavallo di due continenti e con il passare
del tempo i suoi leader hanno formulato un progetto nuovo. La rapidità
con cui si è manifestato ha generato grida di paura ma se le
indicazioni fornite dal premier Erdogan e dal suo ministro degli
esteri e ideologo, lo storico Ahmet Davutoglu, saranno confermate dai
fatti, i figli del vecchio impero ottomano potrebbero costituire una
macchina per la crescita e la stabilita di Europa, Nord Africa e Medio
Oriente. Non bisogna farsi eccessive illusioni sulla primavera araba.
Abbattere una dittatura non significa riuscire in tempi brevi a
costruire un Paese democratico. O un Paese che resti allineato e
coperto sulle posizioni imposte, per decenni, dai suoi sostenitori
stranieri.
L'Islam radicale, l'unica forza politica organizzata, farà di tutto
per conquistare spazio e rischia un intervento, diretto o indiretto,
dei militari filo occidentali (come in Algeria) per garantire i nostri
interessi, non necessariamente quelli dei locali. Mentre Sarkozy e
Cameron, con vecchio piglio coloniale, sono andati in Libia
all'incasso di gloria e commesse, Erdogan ha fatto il giro del Nord
Africa per offrire la sua visione del futuro. Ha parlato di Stati
laici per Paesi islamici e di un asse regionale con l'Egitto.
Davutoglu ha spiegato che «Non si tratterà di un asse contro altri
Paesi - Israele, Iran o altri - ma sarà un asse della democrazia,
della vera democrazia». Ha insistito per Ankara sulla necessità di
risolvere la questione armena, eliminare attraverso il dialogo la
questione curda, chiudere il contenzioso di Cipro.
Ha spiegato che Israele, fino a ieri importante alleato strategico,
non è diventato improvvisamente un nemico: «Non contestiamo lo stato
ma l'attuale governo e la sua politica nei confronti dei palestinesi».
Ha avuto il coraggio di dire ciò che molti pensano: Israele si
comporta come un bambino viziato. Ankara, come le capitali di oltre
cento nazioni, è pronta a riconoscere uno Stato palestinese
indipendente se la richiesta sarà presentata all'Onu. Erdogan, come i
leader di questi paesi, sa che perché il nuovo Medio Oriente possa
crescere è necessario togliere dal suo fianco la spina del conflitto
israelo-palestinese. Lo sa anche Obama che, per paura di perdere il
sostegno degli ebrei del suo Paese, ha già annunciato il suo veto. I
mesi a venire diranno se l'Occidente è in grado, oltre che con l'uso
discutibile delle armi come in Libia, di aiutare i popoli della
regione mediorientale a uscire dal loro medioevo e a evitare nuovi
conflitti armati. L'Italia rischia di essere una portaerei senza
aerei; gli Stati Uniti rischiano di perdere ogni credibilità in un
mondo in rapida trasformazione.
http://www.terranews.it/news/2011/09/il-fantasma-ottomano