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Da James Dean a Stalin: la tragedia del rimpatrio armeno

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  • Da James Dean a Stalin: la tragedia del rimpatrio armeno

    Osservatorio Balcani e Caucaso, Italia
    17 agosto 2012


    Da James Dean a Stalin: la tragedia del rimpatrio armeno
    [The tragedy of the Armenian repatriation]


    Hazel Antaramian Hofman
    17 agosto 2012


    Da ragazzina si è sempre chiesta perché viveva a Yerevan se suo padre
    era nato negli Stati Uniti e sua madre era di Lione. Poi ha capito.
    Hazel Antaramian Hofman, con un progetto storico-artistico, segue le
    tracce di chi, da tutto il mondo, dopo la Seconda guerra mondiale
    decise di migrare in Armenia


    Sono nata nel 1960, a Yerevan, Armenia, anche se parlo poco in armeno,
    e quel poco che parlo è armeno occidentale. Da ragazzina mi sono
    sempre chiesta perché vivevo in un posto così esotico se mio padre era
    nato a Kenosha, nel Wisconsin, e mia madre era di Lione, in Francia.
    Solo col passare degli anni e l'ascolto di innumerevoli racconti sono
    divenuta consapevole di essere il prodotto di due figli della diaspora
    armena successiva alla Seconda guerra mondiale, obbligati dal senso
    emotivo di hayrenik dei loro genitori ad abbandonare una terra
    culturalmente ed ideologicamente nota per l'ignoto.

    I rimpatri successivi alla Seconda guerra mondiale hanno sradicato
    molti armeni in tutto il mondo: Francia, Libano, Egitto, Grecia,
    Cipro, Siria, Bulgaria, Romania, Palestina, Stati Uniti e qualcuno
    persino in Sudan, Iran, Iraq, India, Uruguay, Argentina e Cina. È
    stata una campagna orchestrata per ripopolare l'Armenia dell'epoca,
    piccola rimasto armeno più ampio, piccola frazione di quell'ampio
    territorio documentato quale la casa ancestrale degli armeni dai tempi
    di Dario il Grande. I rimpatriati erano però diretti non alla loro
    patria romantica e vasta dei loro antenati ma in un'Armenia
    `sovietizzata' sotto Stalin. È stato un fenomeno migratorio
    accompagnato da spossessamento personale e spirituale e disparità
    culturale.

    Dopo la Seconda guerra mondiale i rapporti tra Unione sovietica e
    Turchia erano tesi. I sovietici chiedevano la restituzione delle
    province di Kars, Ardahan, Erzerum, Trebizond, Van che sarebbero
    dovute passare dalla Turchia all'Armenia sovietica. Queste erano terre
    storicamente armene e dal 1878 al 1918 erano state sotto il controllo
    russo. Per due anni, dal 1918 al 1920, l'Armenia aveva inoltre goduto
    di un'indipendenza moderna. Il fatto che questi territori venissero
    restituiti all'Armenia sovietica era percepito come importante da
    tutti gli armeni, compresi quelli della diaspora. La rivendicazione
    sovietica di queste terre agiva quindi di concerto con le aspirazioni
    della diaspora armena. I rimpatri furono un aspetto della memoria
    storica del genocidio, dell'abbandono e della migrazione forzata
    dall'Impero ottomano durante il 19mo e gli inizi del 20mo secolo. Alla
    fine però le modifiche delle alleanze dopo la Seconda guerra mondiale,
    tra i sovietici e l'Occidente, in particolare gli Stati Uniti, e
    l'Occidente e la Turchia, sigillarono il destino di queste terre.

    Chiesa armena e rimpatri

    Molti armeni della diaspora mantennero un forte legame con la loro
    fede cristiana e la devozione al loro patrimonio religioso,
    costituendo chiese armene e scuole nei paesi che li ospitavano. Data
    questa propensione alla devozione religiosa degli armeni residenti
    all'estero la politica del Cremlino iniziò, dopo il 1941, a promuovere
    l'idea di patria. Si ridusse quindi l'ideologia comunista a favore del
    patriottismo armeno e della Chiesa. Le manovre sovietiche per
    assicurarsi l'appoggio della Chiesa armena sono un aspetto cruciale di
    questo processo di propaganda. Il clero armeno si aggiunse al coro
    rivolto agli armeni nel mondo affinché tornassero nella loro
    `madrepatria'. Il nuovo patriarca Georg (Kevork) VI, eletto nel 1945
    dal Conclave ecclesiastico nell'Armenia sovietica, fece un appello
    mondiale agli armeni affinché tornassero a `casa'. In realtà, ogni
    sostegno che venne dato alla Chiesa armena dai sovietici era motivato
    politicamente. Non negava certo anni di erosione della chiesa e di
    quell'istituzione. La cultura sovietica cambiò molto della tradizione
    degli armeni, incluso il rapporto tra il popolo armeno e il suo credo
    religioso, che si può definire la principale istituzione sociale che
    ha tenuto gli armeni uniti come popolo nel corso dei secoli.

    La Repubblica dell'Armenia era in uno stato di estrema povertà dopo la
    Seconda guerra mondiale. Nel novembre del 1945 Stalin autorizzò il
    ritorno degli armeni nell'Armenia sovietica per portare nuova linfa
    nella costruzione, vitalizzazione e sviluppo economico in una
    Repubblica sovietica depressa. Le organizzazioni nazionaliste armene,
    i partiti politici, la leadership religiosa unirono gli sforzi per
    sostenere i rimpatri. Il Comitato rimpatri armeni sottolineò la
    necessità di fare leva sul senso nazionale armeno senza rimarcare come
    l'Armenia fosse ora parte dell'Unione sovietica.

    Patria e propaganda

    La storia del rimpatrio è costellata di percorsi individuali tortuosi
    e contraddittori ma, nella maggior parte dei casi, vi è una traccia
    comune: si è trattata di una scelta nazionalista, o a volte, legata a
    sentimenti socialisti, fatta da un patriarca o da una matriarca che ha
    sradicato la propria famiglia in risposta ad un appello emotivo
    globale incoraggiato dalla propaganda sovietica.

    Il richiamo sovietico agli armeni di tutto il mondo è stata una
    manovra per attrarre giovani; per assicurarsi lavoratori qualificati e
    professionisti provenienti da paesi sviluppati e per ottenere nuove
    tecnologie e prodotti. Incoraggiati da promesse di alloggi gratis,
    terra su cui costruire e opportunità di lavoro, chi abbandonò la
    diaspora cambiò radicalmente la propria vita basandosi su false
    speranze. Fin dal loro arrivo furono testimoni di condizioni sociali
    ed economiche inimmaginabili, senza alcuna possibilità di abbandonare
    l'Armenia del blocco sovietico e riottenere i passaporti confiscati.

    La memoria collettiva di molti hayrenadartsner - rientranti - è stata
    quella del tradimento e della delusione, mascherati da proclami
    patriottici. Chi è sopravvissuto a quei tempi ha poi raccontato storie
    di arretratezza, malattie, discriminazioni, ansia psicologica e
    brutalità fisica incontrate sotto il sistema sovietico. Zabel
    (Chookaszian) Melconian, una ventenne di New York, lasciò gli Stati
    Uniti nel 1947, a seguito della decisione del padre di tornare in
    Armenia.

    Dopo aver avuto esperienza di condizioni di vita abissali ricorda di
    aver provato ad avvisare i parenti in America di non partire per
    l'Armenia mandando messaggi criptici in lettere che venivano
    regolarmente censurate.

    Sopravvivere

    Articoli accademici, lezioni e testimonianze hanno appena iniziato a
    far luce su questo periodo della storia armena. Crosby Phillian,
    newyorkese, ha lasciato gli Stati Uniti nel 1949, all'età di sedici
    anni. Ora afferma che `sopravvivenza' era il mantra di molti
    rimpatriati che, durante la vita in Armenia, furono costretti a
    vendere i loro averi personali sul mercato nero per pochi rubli per
    poter procurarsi del cibo.

    La vendita di oggetti sul mercato nero divenne un rituale di ogni
    domenica. Gli akhbars, spinti dall'ansia, furono alla mercé di coloro
    i quali avevano un po' di denaro e che conoscevano il sistema.
    Phillian, che attualmente vive in Francia, sottolinea anch'egli che la
    legge non scritta di allora, sotto l'Unione sovietica, era quella
    delle lunghe code per comprare alcuni alimenti di base: pane, carne o
    formaggio. Folle innervosite, liti e scontri fisici non erano
    inusuali. Phillian ricorda pure di un morto. Un uomo, che stava
    semplicemente provando a comperare del formaggio, venne ucciso da un
    tacco di scarpa da donna con cui fu colpito in testa.

    Da Humphrey Bogart a Stalin

    Le mie memorie di bambina in Armenia sono ovviamente limitate e
    condizionate dalla situazione sociale vissuta dai miei genitori. Col
    tempo, ascoltando le storie di famiglia, ho saputo come vi fosse stata
    una lacerante differenza nell'esperienza culturale dei miei genitori
    tra il periodo in cui crebbero lontani dall'Armenia e più tardi quando
    maturarono, nei loro anni formativi in Armenia.

    Pensandoci, è difficile immaginare lo shock culturale vissuto da chi è
    cresciuto alla fine degli anni '40 negli Stati Uniti, con la colonna
    sonora di Count Basie, Benny Goodman e Frank Sinatra e i visi di Cary
    Grant, Humphrey Bogart, Lana Turner e Loretta Young che dominavano gli
    schermi.

    C'era anche chi però ha avuto esperienze non del tutto negative.
    Quelli che ad un certo punto hanno imparato come funzionava il sistema
    sovietico. Hanno trovato lavoro nelle istituzioni governative o hanno
    avviato commerci lucrativi e avviato professioni che permettevano loro
    di guadagnarsi un po' di spazio. Altri sapevano invece `lavorarsi' il
    sistema con la corruzione.

    Ma vi furono quelli che soffrirono enormemente. Finirono in uno stato
    di scarsa salute, stress continuo e povertà. Le esperienze più
    terribili comunque furono vissute da coloro i quali vennero deportati
    dall'Armenia in Siberia o Asia centrale e che non fecero mai ritorno.
    Data la radicale differenza della vita dei loro genitori prima e dopo
    la Seconda guerra mondiale come è possibile catturare le memorie
    innocenti di quei bambini nati in Armenia da rimpatriati? Sono i figli
    degli akhbars. Ignari della tragedia della loro famiglia crebbero
    assieme ai figli degli dekhatseez, gli armeni autoctoni. Ma molti di
    loro non si adattarono mai del tutto alla vita in Armenia e subirono
    in prima persona discriminazione sociale, gravi malattie e povertà.

    Ricerca etnografica e arte

    Molte domande continuano ad emergere: come si può superare la perdita
    profonda delle libertà culturali e la sfiducia subita dagli
    armeni-americani nel contesto della guerra fredda? Come riuscirono gli
    armeni cristiani a gestire la repressione religiosa nell'Armenia
    sovietica? Per capire e raccontare nuovamente la storia mi sono
    rivolta alla ricerca etnografica e all'espressione artistica.

    Nel 2010 ho iniziato a fare delle interviste e a raccogliere le
    fotografie di famiglia, le memorie e i documenti di viaggio. Basandomi
    su queste fonti e sulla documentazione storiografica era mia
    intenzione catturare questa storia sfaccettata attraverso la pittura,
    i disegni e le installazioni artistiche come espressione e
    interpretazione delle esperienze sociali.

    Quando lo scrittore e amico di famiglia Tom Mooradian visitò Fresno
    nell'autunno del 2009 (e più tardi nel 2011), durante il tour di
    promozione delle sue memorie `Un rimpatriato: amore, basketball e KGB'
    (Repatriate: Love, Basketball, and the KGB), mi sono resa conto che ci
    capivamo e che ritenevamo entrambi ci fossero altre storie personali
    che dovevano essere documentate. Ma, come dissi a Tom, il mio
    obiettivo non era quello di scrivere biografie personali, ma di
    utilizzare l'immaginario collettivo e i testi raccolti per narrare la
    storia dei rimpatri di fine anni '40, all'interno delle pieghe della
    storia armena del ventesimo secolo. Non solo per comprendere meglio la
    mia storia personale ma per raccogliere storia orale, per interpretare
    dal punto di vista artistico lo shock, la perdita di libertà e il
    tumulto ideologico che diede forma al tempo storico degli akhbars.

    Parigi

    Nel dicembre 2011 mi sono recata a Parigi, Francia, per incontrare
    vecchi amici di famiglia che rimpatriarono nel 1947 e poi lasciarono
    l'Armenia nel 1966. Le storie delle partenze dalla Francia, nel
    secondo dopoguerra, sono contorte, deprimenti, a volte surreali.

    Sono passati oltre sei decenni da quando una nave se ne stava al
    largo, nel porto di Marsiglia. Qualche giorno dopo la nave russa messa
    a disposizione per il rimpatrio partì. Era il 24 dicembre del 1947. A
    bordo della Pobeda vi erano - tra gli altri - anche 300 armeni
    francesi che aspettavano i loro documenti di viaggio. Le autorità
    francesi negavano loro il diritto di salpare dal porto di Marsiglia e
    intimavano loro di sbarcare.

    La nave alla fine salpò con a bordo 1.122 armeni, senza i 300 armeni
    francesi che la Francia riteneva suoi cittadini. Al tempo Virginie
    (Hekiman) Antaramian aveva 12 anni ed era nata in Francia da genitori
    armeni. Ricorda molti episodi di quei giorni. Ricorda di venir
    condotta a bordo della nave, furtivamente, dallo zio comunista Hagop
    Chiljian, come accadde a molti altri figli di genitori
    armeno-francesi. Poi ricorda di aver aspettato nascosta a bordo in
    attesa di essere raggiunta dai genitori.

    Per i francesi, che avevano perso molti concittadini durante la
    guerra, era questione di salvaguardare la fetta giovane della
    popolazione. Virginie sentì da altri bambini storie simili alla sua:
    portati a bordo della nave principale su piccole imbarcazioni, nel
    mezzo della notte, per essere imbarcati senza che le autorità francesi
    ne venissero a sapere nulla o imbarcati sulla Pobeda in grandi casse.
    In un secondo momento però a coloro i quali non era stato dato il
    permesso di salpare da Marsiglia venne permesso di lasciare la
    Francia.

    In Armenia io voglio andare

    In qualche vicenda vi è anche un romanticismo che si mescola al
    surreale, come la determinazione di Hagop Dertlian, armeno, convinto
    comunista, che portò la moglie e 3 delle 5 figlie in Armenia. La
    seconda delle 5 figlie, Esther, fu lacerata dal dover abbandonare la
    sua amata Parigi e capiva bene la riluttanza della madre e delle sue
    sorelle più giovani nell'andare in Armenia, nel 1947.

    A quel tempo la sorella maggiore di Esther, Armenouhi, si era già
    trasferita negli Stati Uniti dopo essersi sposata con un soldato
    americano dopo la guerra. La terza sorella, Alice, non volle invece
    lasciare Parigi. Restò un po' di tempo in città per poi raggiungere la
    sorella Armenouhi negli Stati Uniti. Fu però in Armenia che Esther
    incontrò e sposò l'amore della sua vita, Dickran Sahaguian, un
    armeno-francese. L'ironia è che i due vivevano nello stesso quartiere
    di un sobborgo di Parigi prima del rimpatrio, ma nessuno dei due
    conobbe l'altro sino a quando le loro vite si incrociarono in Armenia
    dopo il 1947.

    Altre storie smuovono corde molto più tristi. La madre di Virginie,
    Dirouhee (Samuelian) Hekimian, di buona educazione, socialista,
    originaria di Décines, vicino a Lione, Francia, convinse la famiglia a
    trasferirsi in Armenia nel 1947 e improvvisamente si trovò ad
    affrontare, tre anni dopo, una grave malattia del marito e a crescere
    due bambini.

    Per sopravvivere vendette tutti gli oggetti di valore in possesso
    della sua famiglia sul mercato nero per una somma esigua di rubli. La
    sua famiglia visse in povertà per molti anni. Le loro condizioni di
    vita li resero più vulnerabili alle malattie. Alla figlia, Virginie,
    venne diagnosticato il tifo mentre il figlio, Massis, a soli 5 anni,
    subì una pesante dissenteria mentre il marito era in ospedale.
    Virginie ricorda come la madre, molto religiosa, pregasse ogni notte
    chiedendo che la loro vita potesse miracolosamente cambiare.

    Braccia e tecnologia

    Nel marzo del 2012 feci il secondo viaggio per raccogliere storie e
    fotografie per il mio progetto. Andai a Yerevan in visita ad una
    vecchia conoscenza di famiglia. Non era una rimpatriata ma nei suoi
    anni giovanili aveva conosciuto molti armeni originari degli Stati
    Uniti e della Francia. Ci incontravamo per cena e invitavamo vicini di
    casa o suoi colleghi di lavoro, persone che o conoscevano storie di
    rimpatriati o erano loro stessi figli di rimpatriati. Le storie più
    interessanti emerse in quell'occasione riguardavano i progressi
    tecnologici fatti dalla società armena grazie agli armeni ritornanti e
    mai riconosciutigli pubblicamente. In fin dei conti, il cosmopolitismo
    di Yerevan è tutto legato a quegli armeni che venivano dall'estero.

    La tecnologia americana era tenuta in forte considerazione da chi
    promuoveva il rimpatrio degli armeni e la sua acquisizione doveva
    contribuire allo sforzo sovietico di far progredire e sviluppare
    l'arretrata Armenia del dopoguerra. Tutto ciò era tanto importante che
    il governo sovietico finanziò a molti rimpatriati originari di paesi
    sviluppati viaggi con bagagli stravaganti. Con i cargo portati in
    Armenia dagli Stati uniti vi erano le ultime novità americane in fatto
    di locomozione e tecnologia per la casa.

    Non furono molti gli armeni-americani a lasciare gli Stati Uniti dopo
    la Seconda guerra mondiale. Vi furono due convogli, uno nel 1947 e uno
    nel 1949. I fratelli Antaramian, Paul e Massey, vennero raggiunti dai
    loro genitori in Armenia e dai due fratelli minori, Anto e Perry, dopo
    che avevano venduto la loro fattoria nel Wisconsin. Paul ricorda che
    la famiglia portò con se dagli Stati Uniti materiali e attrezzi edili
    di ogni tipo, e poi legname, finestre, cardini, viti, cavi e chiodi
    con l'intenzione di costruire una casa appena arrivati.

    Sul loro cargo vi erano anche lavatrici, stufe, frigoriferi, un
    trattore a un'automobile Nash Motors "Ambassador". Anche altri
    armeni-americani portarono le proprie automobili, come una Buick della
    General Motors e la versione civile della `Jeep' della Willys-Overland
    Motors. Deran Tashjian, armeno rimpatriato nel 1949, originario di
    Watertown, Massachusetts, ricorda che il padre portò in Armenia la sua
    Buick Roadmaster. Era una macchina agognata dai funzionari sovietici
    che continuarono a tartassare la famiglia di Deran affinché
    consegnasse la macchina al governo. Deran ricorda come sotto minaccia
    di deportazione alla fine la sua famiglia consegnò la macchina ai
    funzionari comunisti.

    Ancora in viaggio

    Il mio viaggio artistico, nel dopoguerra del rimpatrio armeno, è solo
    cominciato. Sino ad ora ho raccolto 45 foto in bianco e nero di
    bambini e famiglie di rimpatriati scattate in Armenia tra il 1947 e il
    1966. Le fotografie entreranno in un database che verrà poi utilizzato
    per il lavoro artistico e come archivio di documentazione. Una mostra
    di disegni, dipinti e installazioni è prevista per la primavera/estate
    2013.

    http://www.balcanicaucaso.org/aree/Armenia/Da-James-Dean-a-Stalin-la-tragedia-del-rimpatrio-armeno-121168

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