Città Nuova, Italia
27 luglio 2012
San Lazzaro degli Armeni
27-07-2012 di Oreste Paliotti
Fonte: Città Nuova
La laguna veneta ospita uno dei principali centri mondiali di fede e
cultura di questo popolo venuto da lontano
In questo quinto centenario della stampa a Venezia del primo libro in
lingua armena (1512), è d'obbligo, per chi visita la città lagunare,
recarsi a San Lazzaro degli Armeni col vaporetto n. 20. Questa piccola
isola ad ovest del Lido, che si annuncia da lontano col caratteristico
campanile dalla copertura a bulbo orientaleggiante, è occupata in
parte dalla chiesa-convento dei padri mechitaristi (un complesso di
edifici risalenti ad epoche diverse) e in parte da un giardino ricco
di pini, cipressi, cedri e ulivi. Che sia un lembo d'Armenia
trasferito in Italia, lo si intuisce, già accostandosi
all'imbarcadero, dallo yacht sul cui fianco spicca la scritta
`Armenia' e, una volta sbarcati, dal melograno (l'albero nazionale
armeno) e dal khatchkar in basalto (la tipica croce armena) sul
piazzale dell'approdo. Qui si è accolti anche dalla statua bronzea
dell'abate Mechitar di Sebaste, fondatore della congregazione che da
lui prende il nome e grande sostenitore dell'unità della Chiesa.
Oggi la guida del piccolo gruppo di cui faccio parte è affidata ad una
giovane signora armena, Zoya Karapetyan: durante la visita alla
chiesa, al bellissimo chiostro porticato, al refettorio e alle sale
museali, ci illustra con gestualità e partecipazione vivaci gli inizi
lagunari di questa comunità, risalendo al 1717, anno in cui il Senato
della Serenissima donò questa briciola di terra, già sede di un
lebbrosario, ai monaci armeni esuli dalla Morea invasa dai turchi,
giunti aVenezia al seguito dell'abate Mechitar.
L'isola rifiorì grazie ai lavori di restauro, ristrutturazione e nuove
costruzioni intrapresi dai religiosi, che riuscirono a ingrandirla
quattro volte con terra di riporto fino all'attuale estensione di tre
ettari. Non pago di ciò, quest'uomo dotato di una fiducia assoluta
nella provvidenza divina avviò una intensa attività editoriale,
dedicandosi lui stesso a tradurre da diverse lingue testi scientifici,
letterari e religiosi. Anche dopo la sua morte, l'ambizioso progetto
continuò a svilupparsi grazie alla fondazione in loco di una
tipografia poliglotta (1786). Fucina di spiritualità e cultura, San
Lazzaro operò in prima linea per contribuire, dopo secoli di
decadenza, alla rinascita armena. E solo perché la congregazione venne
considerata un'accademia letteraria il monastero scampò alle
soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi.
Testimoniano questo glorioso passato la biblioteca monumentale di
circa 200 mila volumi, la sala climatizzata contenente 4500 preziosi
manoscritti antichi, anche miniati; la pinacoteca con dipinti di sommi
artisti quali Palma il Giovane, il Ricci, il Longhi, il Tiepolo; le
altre numerose opere d'arte disseminate nel monastero, cui vanno
aggiunti reperti arabi, indiani ed egiziani raccolti dai monaci o
ricevuti in regalo: tra questi non passa inosservata la singolare
mummia di Nemenkhet Amon, racchiusa in una sontuosa guaina di perline
di vetro colorate.
Qui viene mostrata la stanza ancora intatta dove soggiornò nel 1816
lord Byron per imparare l'armeno. Pare che il poeta gradisse molto la
profumatissima marmellata di petali di rosa che i monaci producono
tuttora grazie ai rosai coltivati nell'isola.
Oggi è domenica. Rientro nell'armoniosa chiesa di origine gotica, ma
ricostruita nel XIX secolo, dove riposa l'abate Mechitar, per
partecipare alla messa delle 11. Il suggestivo rito cattolico armeno
prevede, in alcuni momenti, la chiusura dell'ampia tenda rossa che
delimita il presbiterio. Tra nuvole d'incenso, risuonano sotto la
volta stellata gli inni cantati dai monaci. Una struggente nostalgia
del Cielo.
http://www.cittanuova.it/contenuto.php?TipoContenuto=web&idContenuto=420094
27 luglio 2012
San Lazzaro degli Armeni
27-07-2012 di Oreste Paliotti
Fonte: Città Nuova
La laguna veneta ospita uno dei principali centri mondiali di fede e
cultura di questo popolo venuto da lontano
In questo quinto centenario della stampa a Venezia del primo libro in
lingua armena (1512), è d'obbligo, per chi visita la città lagunare,
recarsi a San Lazzaro degli Armeni col vaporetto n. 20. Questa piccola
isola ad ovest del Lido, che si annuncia da lontano col caratteristico
campanile dalla copertura a bulbo orientaleggiante, è occupata in
parte dalla chiesa-convento dei padri mechitaristi (un complesso di
edifici risalenti ad epoche diverse) e in parte da un giardino ricco
di pini, cipressi, cedri e ulivi. Che sia un lembo d'Armenia
trasferito in Italia, lo si intuisce, già accostandosi
all'imbarcadero, dallo yacht sul cui fianco spicca la scritta
`Armenia' e, una volta sbarcati, dal melograno (l'albero nazionale
armeno) e dal khatchkar in basalto (la tipica croce armena) sul
piazzale dell'approdo. Qui si è accolti anche dalla statua bronzea
dell'abate Mechitar di Sebaste, fondatore della congregazione che da
lui prende il nome e grande sostenitore dell'unità della Chiesa.
Oggi la guida del piccolo gruppo di cui faccio parte è affidata ad una
giovane signora armena, Zoya Karapetyan: durante la visita alla
chiesa, al bellissimo chiostro porticato, al refettorio e alle sale
museali, ci illustra con gestualità e partecipazione vivaci gli inizi
lagunari di questa comunità, risalendo al 1717, anno in cui il Senato
della Serenissima donò questa briciola di terra, già sede di un
lebbrosario, ai monaci armeni esuli dalla Morea invasa dai turchi,
giunti aVenezia al seguito dell'abate Mechitar.
L'isola rifiorì grazie ai lavori di restauro, ristrutturazione e nuove
costruzioni intrapresi dai religiosi, che riuscirono a ingrandirla
quattro volte con terra di riporto fino all'attuale estensione di tre
ettari. Non pago di ciò, quest'uomo dotato di una fiducia assoluta
nella provvidenza divina avviò una intensa attività editoriale,
dedicandosi lui stesso a tradurre da diverse lingue testi scientifici,
letterari e religiosi. Anche dopo la sua morte, l'ambizioso progetto
continuò a svilupparsi grazie alla fondazione in loco di una
tipografia poliglotta (1786). Fucina di spiritualità e cultura, San
Lazzaro operò in prima linea per contribuire, dopo secoli di
decadenza, alla rinascita armena. E solo perché la congregazione venne
considerata un'accademia letteraria il monastero scampò alle
soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi.
Testimoniano questo glorioso passato la biblioteca monumentale di
circa 200 mila volumi, la sala climatizzata contenente 4500 preziosi
manoscritti antichi, anche miniati; la pinacoteca con dipinti di sommi
artisti quali Palma il Giovane, il Ricci, il Longhi, il Tiepolo; le
altre numerose opere d'arte disseminate nel monastero, cui vanno
aggiunti reperti arabi, indiani ed egiziani raccolti dai monaci o
ricevuti in regalo: tra questi non passa inosservata la singolare
mummia di Nemenkhet Amon, racchiusa in una sontuosa guaina di perline
di vetro colorate.
Qui viene mostrata la stanza ancora intatta dove soggiornò nel 1816
lord Byron per imparare l'armeno. Pare che il poeta gradisse molto la
profumatissima marmellata di petali di rosa che i monaci producono
tuttora grazie ai rosai coltivati nell'isola.
Oggi è domenica. Rientro nell'armoniosa chiesa di origine gotica, ma
ricostruita nel XIX secolo, dove riposa l'abate Mechitar, per
partecipare alla messa delle 11. Il suggestivo rito cattolico armeno
prevede, in alcuni momenti, la chiusura dell'ampia tenda rossa che
delimita il presbiterio. Tra nuvole d'incenso, risuonano sotto la
volta stellata gli inni cantati dai monaci. Una struggente nostalgia
del Cielo.
http://www.cittanuova.it/contenuto.php?TipoContenuto=web&idContenuto=420094