Osservatorio Balcani e Caucaso, Italia
14 giugno 2012
Taner Akçam, parlare di genocidio per il bene della Turchia
Maria Elena Murdaca
E' stato tra i primi studiosi turchi ad affrontare apertamente e senza
mezzi termini la questione del genocidio armeno. Superare il tabù del
genocidio, secondo Taner Akçam, permetterà alla Turchia di rafforzare
il proprio ruolo di potenza regionale
`La strada per la pace e la democrazia nel Medio Oriente passa per il
riconoscimento del genocidio armeno'. È perentorio nella sua
affermazione Taner Akçam, tra i primi studiosi turchi ad affrontare
apertamente e senza mezzi termini la questione del genocidio armeno,
quando cerca di rispondere al quesito: perché la Turchia a cento anni
di distanza non è in grado di confrontarsi con il proprio passato e
riconoscere il genocidio armeno?
Taner Akçam, in Svizzera per un ciclo di conferenze sul tema, è
presentato a Ginevra da Vicken Cheterian, studioso e giornalista
armeno. La carica simbolica della scena è forte. Sono tanti, in
platea, gli armeni della comunità di Ginevra che si riuniscono per
ascoltare questo professore turco, costretto a lasciare il proprio
paese per aver chiesto allo stato di affrontare con onestà la
questione del genocidio armeno.
Il suo nome, insieme a quello del premio Nobel per la letteratura
Orhan Pamuk e a quello di Hrant Dink - il giornalista turco-armeno
assassinato proprio in relazione alla sua posizione sul genocidio -
figura in una lista di persone considerate una minaccia alla sicurezza
nazionale. Lui è un traditore, perché dice ad alta voce quello che
pensa su una tragica pagina del passato del suo paese. Nonostante ciò,
ai funerali di Dink il professor Akçam era presente, sebbene il
rischio per la propria sicurezza personale fosse elevato, così come
quello di essere arrestato.
Un approccio pragmatico
L'approccio di Akçam è scientifico e pragmatico, e questo non piace a
qualcuno degli armeni presenti in sala. `Non lo fa per noi, lo fa per
i suoi', si sente mormorare in sala, da chi commenta con disappunto la
lectio magistralis di Akçam, che evidenzia il legame fra il concetto
di sicurezza nazionale turco e il tabù del genocidio armeno. Per i
turchi parlare del genocidio armeno equivale a mettere in pericolo la
sicurezza nazionale. Per questo motivo la sentenza del 2007 contro il
giornale Agos, la testata armeno-turca di Dink, dichiarava che l'uso
del termine `genocidio' non può essere considerato come libertà di
espressione, la quale in determinati casi può essere sottoposta a
limitazioni per questioni di sicurezza e interesse nazionale. La
negazione del genocidio è talmente forte da essere addirittura stata
incorporata con estrema disinvoltura nel sistema legale.
Secondo Akçam la convinzione che si possa limitare la libertà di
espressione per questioni di sicurezza nazionale è frutto di un'errata
concezione delle scienze politiche e delle relazioni internazionali
che contrappone la realpolitik alla morale, ritenendo che i due
concetti si escludano a vicenda. Questa errata convinzione è ben lungi
dall'essere una peculiarità turca: basti dare un'occhiata a quello che
è successo negli Stati Uniti in nome della sicurezza nazionale. La
tesi del professore articola invece la necessità di includere la
morale nella realpolitik per creare un ambiente davvero sicuro e
stabile. La morale, l'approccio etico alle ingiustizie storiche - tra
cui vi sarebbe anche il genocidio armeno - non è una minaccia alla
realpolitik, ma la sua migliore garanzia di sicurezza.
L'origine del negazionismo
Intervenendo a Ginevra, Taner Akçam ha affrontato l'origine dello
stato turco. Secondo il professore, l'attuale concetto di sicurezza
nazionale, così come quello di identità turca, affonda le sue radici
nello smembramento dell'Impero Ottomano alla fine della Prima guerra
mondiale. Uno dei motivi per cui la classe dirigente turca è così
restia - per dirla con un eufemismo - ad affrontare con franchezza la
questione del genocidio armeno è la continuità storica che la lega ai
perpetratori del massacro. Non c'è stata quella frattura netta che si
è verificata, per esempio, in Germania, fra i nazisti che si sono resi
colpevoli dell'Olocausto e la nuova Germania post-nazista. Lo stato
turco moderno è sorto grazie all'azione diretta delle stesse persone
che si sono sporcate le mani col sangue degli armeni. Eppure era stato
Mustafa Kemal Atatürk a definirlo `un atto vergognoso'. Cos'ha
determinato l'inversione di rotta dei nazionalisti turchi, che pure
avevano iniziato a processare gli assassini?
Nel tentativo di recuperare quanto più territorio possibile, Atatürk
si impegnò personalmente per dimostrare la serietà dei nazionalisti
turchi nell'affrontare la questione del genocidio armeno.
L'atteggiamento di Atatürk non aveva nulla a che vedere con la pietas.
Perseguire legalmente gli autori del genocidio armeno era la sua
moneta di scambio per far ottenere a una potenza sconfitta un
trattamento dignitoso. Era puro calcolo politico. Un calcolo politico
rivelatosi errato. Lo smembramento dell'Impero ottomano fortemente
caldeggiato prevalentemente da Francia e Gran Bretagna era dettato
dagli interessi coloniali, più che da un desiderio di pura giustizia e
necessità di tutelare i diritti umani, per cui le potenze dell'Intesa
erano restie a fare concessioni. In mancanza di una remunerazione
adeguata - ovvero il riconoscimento dell'integrità territoriale - la
condanna degli autori del genocidio, nell'ottica dei nazionalisti,
perse di significato.
La richiesta
Poi una richiesta, quasi una supplica da parte di Taner Akçam al
governo turco: `Riprendete da dove i vostri padri si sono fermati'. I
nazionalisti non hanno perseguito fino in fondo gli autori del
genocidio, ma il massacro non era argomento tabù. Negli archivi di
stato Akçam ha trovato tracce di almeno 63 distinti processi militari
contro gli autori del genocidio. Processi in cui, fra i testimoni,
figurano solo cognomi turchi. `Se consideriamo i documenti degli
archivi di stato, scopriamo un'altra storia della Turchia. È
importante, per i turchi, che questi individui che hanno testimoniato
vengano onorati, che i loro nomi siano conosciuti. Non abbiamo solo
assassini, ma anche eroi.'
La necessità di rettificare uno sbaglio, un'ingiustizia, è da Akçam
direttamente legata al bisogno di stabilità nella regione. Il futuro
della Turchia come leader del Medio Oriente, ruolo a cui aspira,
soprattutto in seguito ai cambiamenti dell'ultimo anno, dipende dal
modo in cui sarà in grado di dirimere la questione. È il negazionismo
turco a porre seri problemi di sicurezza nella regione. Armeni, curdi,
arabi, non si fidano della Turchia. `Negano, vuol dire che lo
rifaranno'.
Il ragionamento di Akçam non riguarda solo la questione armena dello
scorso secolo, ma anche quella molto più attuale dei curdi: erogare
equità e giustizia sociale alla minoranza curda garantirà
automaticamente la sicurezza nazionale. Sostenere il contrario
equivale a creare una profezia che si autoavvera. In poche parole,
riconoscere il genocidio armeno è interesse della Turchia. Una Turchia
non democratica crea più problemi di quanti ne risolva: si tratta non
di un argomento morale, ma di una questione pratica.
Da qui la necessità di una nuova élite politica che renda possibile la
presa di coscienza e il cambio di rotta. Politicamente, un cambio
della guardia è indispensabile. I padri fondatori del moderno stato
turco sono coloro che si sono macchiati di genocidio e la classe
politica che hanno generato si è mantenuta al potere ininterrottamente
per novant'anni. `Come potrebbero spiegare che per novant'anni hanno
mentito? Se anche lo facessero non funzionerebbe'. Sviluppare una
nuova identità nazionale turca è indispensabile per il riconoscimento
del genocidio, il punto obbligato di passaggio per una vera
democratizzazione non solo della Turchia, ma di tutta la regione,
Armenia compresa.
In quest'ottica, l'ingresso nell'Unione Europea diventa cruciale.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Taner-Akcam-parlare-di-genocidio-per-il-bene-della-Turchia-118486
From: A. Papazian
14 giugno 2012
Taner Akçam, parlare di genocidio per il bene della Turchia
Maria Elena Murdaca
E' stato tra i primi studiosi turchi ad affrontare apertamente e senza
mezzi termini la questione del genocidio armeno. Superare il tabù del
genocidio, secondo Taner Akçam, permetterà alla Turchia di rafforzare
il proprio ruolo di potenza regionale
`La strada per la pace e la democrazia nel Medio Oriente passa per il
riconoscimento del genocidio armeno'. È perentorio nella sua
affermazione Taner Akçam, tra i primi studiosi turchi ad affrontare
apertamente e senza mezzi termini la questione del genocidio armeno,
quando cerca di rispondere al quesito: perché la Turchia a cento anni
di distanza non è in grado di confrontarsi con il proprio passato e
riconoscere il genocidio armeno?
Taner Akçam, in Svizzera per un ciclo di conferenze sul tema, è
presentato a Ginevra da Vicken Cheterian, studioso e giornalista
armeno. La carica simbolica della scena è forte. Sono tanti, in
platea, gli armeni della comunità di Ginevra che si riuniscono per
ascoltare questo professore turco, costretto a lasciare il proprio
paese per aver chiesto allo stato di affrontare con onestà la
questione del genocidio armeno.
Il suo nome, insieme a quello del premio Nobel per la letteratura
Orhan Pamuk e a quello di Hrant Dink - il giornalista turco-armeno
assassinato proprio in relazione alla sua posizione sul genocidio -
figura in una lista di persone considerate una minaccia alla sicurezza
nazionale. Lui è un traditore, perché dice ad alta voce quello che
pensa su una tragica pagina del passato del suo paese. Nonostante ciò,
ai funerali di Dink il professor Akçam era presente, sebbene il
rischio per la propria sicurezza personale fosse elevato, così come
quello di essere arrestato.
Un approccio pragmatico
L'approccio di Akçam è scientifico e pragmatico, e questo non piace a
qualcuno degli armeni presenti in sala. `Non lo fa per noi, lo fa per
i suoi', si sente mormorare in sala, da chi commenta con disappunto la
lectio magistralis di Akçam, che evidenzia il legame fra il concetto
di sicurezza nazionale turco e il tabù del genocidio armeno. Per i
turchi parlare del genocidio armeno equivale a mettere in pericolo la
sicurezza nazionale. Per questo motivo la sentenza del 2007 contro il
giornale Agos, la testata armeno-turca di Dink, dichiarava che l'uso
del termine `genocidio' non può essere considerato come libertà di
espressione, la quale in determinati casi può essere sottoposta a
limitazioni per questioni di sicurezza e interesse nazionale. La
negazione del genocidio è talmente forte da essere addirittura stata
incorporata con estrema disinvoltura nel sistema legale.
Secondo Akçam la convinzione che si possa limitare la libertà di
espressione per questioni di sicurezza nazionale è frutto di un'errata
concezione delle scienze politiche e delle relazioni internazionali
che contrappone la realpolitik alla morale, ritenendo che i due
concetti si escludano a vicenda. Questa errata convinzione è ben lungi
dall'essere una peculiarità turca: basti dare un'occhiata a quello che
è successo negli Stati Uniti in nome della sicurezza nazionale. La
tesi del professore articola invece la necessità di includere la
morale nella realpolitik per creare un ambiente davvero sicuro e
stabile. La morale, l'approccio etico alle ingiustizie storiche - tra
cui vi sarebbe anche il genocidio armeno - non è una minaccia alla
realpolitik, ma la sua migliore garanzia di sicurezza.
L'origine del negazionismo
Intervenendo a Ginevra, Taner Akçam ha affrontato l'origine dello
stato turco. Secondo il professore, l'attuale concetto di sicurezza
nazionale, così come quello di identità turca, affonda le sue radici
nello smembramento dell'Impero Ottomano alla fine della Prima guerra
mondiale. Uno dei motivi per cui la classe dirigente turca è così
restia - per dirla con un eufemismo - ad affrontare con franchezza la
questione del genocidio armeno è la continuità storica che la lega ai
perpetratori del massacro. Non c'è stata quella frattura netta che si
è verificata, per esempio, in Germania, fra i nazisti che si sono resi
colpevoli dell'Olocausto e la nuova Germania post-nazista. Lo stato
turco moderno è sorto grazie all'azione diretta delle stesse persone
che si sono sporcate le mani col sangue degli armeni. Eppure era stato
Mustafa Kemal Atatürk a definirlo `un atto vergognoso'. Cos'ha
determinato l'inversione di rotta dei nazionalisti turchi, che pure
avevano iniziato a processare gli assassini?
Nel tentativo di recuperare quanto più territorio possibile, Atatürk
si impegnò personalmente per dimostrare la serietà dei nazionalisti
turchi nell'affrontare la questione del genocidio armeno.
L'atteggiamento di Atatürk non aveva nulla a che vedere con la pietas.
Perseguire legalmente gli autori del genocidio armeno era la sua
moneta di scambio per far ottenere a una potenza sconfitta un
trattamento dignitoso. Era puro calcolo politico. Un calcolo politico
rivelatosi errato. Lo smembramento dell'Impero ottomano fortemente
caldeggiato prevalentemente da Francia e Gran Bretagna era dettato
dagli interessi coloniali, più che da un desiderio di pura giustizia e
necessità di tutelare i diritti umani, per cui le potenze dell'Intesa
erano restie a fare concessioni. In mancanza di una remunerazione
adeguata - ovvero il riconoscimento dell'integrità territoriale - la
condanna degli autori del genocidio, nell'ottica dei nazionalisti,
perse di significato.
La richiesta
Poi una richiesta, quasi una supplica da parte di Taner Akçam al
governo turco: `Riprendete da dove i vostri padri si sono fermati'. I
nazionalisti non hanno perseguito fino in fondo gli autori del
genocidio, ma il massacro non era argomento tabù. Negli archivi di
stato Akçam ha trovato tracce di almeno 63 distinti processi militari
contro gli autori del genocidio. Processi in cui, fra i testimoni,
figurano solo cognomi turchi. `Se consideriamo i documenti degli
archivi di stato, scopriamo un'altra storia della Turchia. È
importante, per i turchi, che questi individui che hanno testimoniato
vengano onorati, che i loro nomi siano conosciuti. Non abbiamo solo
assassini, ma anche eroi.'
La necessità di rettificare uno sbaglio, un'ingiustizia, è da Akçam
direttamente legata al bisogno di stabilità nella regione. Il futuro
della Turchia come leader del Medio Oriente, ruolo a cui aspira,
soprattutto in seguito ai cambiamenti dell'ultimo anno, dipende dal
modo in cui sarà in grado di dirimere la questione. È il negazionismo
turco a porre seri problemi di sicurezza nella regione. Armeni, curdi,
arabi, non si fidano della Turchia. `Negano, vuol dire che lo
rifaranno'.
Il ragionamento di Akçam non riguarda solo la questione armena dello
scorso secolo, ma anche quella molto più attuale dei curdi: erogare
equità e giustizia sociale alla minoranza curda garantirà
automaticamente la sicurezza nazionale. Sostenere il contrario
equivale a creare una profezia che si autoavvera. In poche parole,
riconoscere il genocidio armeno è interesse della Turchia. Una Turchia
non democratica crea più problemi di quanti ne risolva: si tratta non
di un argomento morale, ma di una questione pratica.
Da qui la necessità di una nuova élite politica che renda possibile la
presa di coscienza e il cambio di rotta. Politicamente, un cambio
della guardia è indispensabile. I padri fondatori del moderno stato
turco sono coloro che si sono macchiati di genocidio e la classe
politica che hanno generato si è mantenuta al potere ininterrottamente
per novant'anni. `Come potrebbero spiegare che per novant'anni hanno
mentito? Se anche lo facessero non funzionerebbe'. Sviluppare una
nuova identità nazionale turca è indispensabile per il riconoscimento
del genocidio, il punto obbligato di passaggio per una vera
democratizzazione non solo della Turchia, ma di tutta la regione,
Armenia compresa.
In quest'ottica, l'ingresso nell'Unione Europea diventa cruciale.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Taner-Akcam-parlare-di-genocidio-per-il-bene-della-Turchia-118486
From: A. Papazian