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Shushi/Shusha: volti e simboli del Nagorno Karabakh

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    Osservatorio Balcani e Caucaso
    8 maggio 2012


    Shushi/Shusha: volti e simboli del Nagorno Karabakh

    Jacob Balzani | Shushi/Shusha

    Tra l'8 e il 9 maggio 1992, in una delle battaglie determinanti per il
    corso del conflitto in Nagorno Karabakh, gli armeni conquistarono la
    città di Shushi/Shusha. A vent'anni di distanza, in una serie di
    intense fotografie, il ritratto di una città

    `Immagina la gemma più preziosa sulla corona della Regina
    d'Inghilterra, questa è per noi armeni la città di Shushi'. Con queste
    parole Cristina Rakedjan descrive la sua città posta su un colle di
    fianco ad una scoscesa e bellissima gola nella Repubblica del
    Nagorno-Karabakh (NKR) o Artsakh, come preferiscono chiamarlo i suoi
    abitanti. Mentre per la comunità internazionale questa nazione non
    esiste, ed è parte dell'Azerbaijan, de facto il Nagorno-Karabakh ha un
    confine tangibile dove una guerra, combattuta da cecchini, ha
    continuato dal cessate il fuoco del 1994. In media trenta persone di
    entrambe le parti sono uccise ogni anno.

    Mentre per gli azeri, musulmani, Shusha, come preferiscono chiamarla,
    è la loro perduta capitale culturale, per gli armeni, cristiani, è il
    simbolo della rivincita verso la loro difficile sorte nella storia -
    non solo una vittoria contro l'Azerbaijan per il controllo del
    territorio ma anche, indirettamente, una rivincita dopo il genocidio
    perpetrato dai turchi nel 1915.

    La città fu attaccata e distrutta tre volte durante lo scorso secolo:
    nel 1905 da entrambe le parti, nel 1920 dagli azeri e nel 1992 dagli
    armeni. Shushi/Shusha con i suoi 40.000 abitanti era la seconda città
    del Caucaso dopo Tblisi. Come ama ricordare Albert Kachaturyan, prima
    del 1920 Shushi/Shusha era conosciuta come la `Parigi del Caucaso',
    grazie alle sue 22 tipografie, ai molti teatri e perfino a un impianto
    fognario ancora non visto in città come Baku o Yerevan. Dopo la
    distruzione nel 1920, ad opera di truppe azere, dei quartieri armeni
    di Shushi/Shusha, con la conseguente morte di migliaia di armeni, il
    conflitto interetnico si congelò durante il periodo sovietico e la
    regione del Nagorno-Karabakh venne inclusa nell'Azerbaijan.

    Durante questo periodo gli uffici amministrativi furono trasferiti
    nella vicina Stepanakert e, durante gli anni sessanta, Shushi/Shusha
    ritornò in vita e fu conosciuta come rinomata località turistica
    all'interno dell'Unione Sovietica. Dopo il collasso di quest'ultima,
    gli scontri etnici ricominciarono. La minoranza armena fu costretta a
    lasciare Shushi/Shusha e trasferirsi a Stepanakert. Shushi/Shusha si
    ritrovò a essere un'enclave azera nella regione a maggioranza armena
    del Nagorno-Karabakh, a sua volta enclave dell'Azerbaijan. L'avamposto
    di Shushi/Shusha fu usato per bersagliare di continuo la sottostante
    Stepanakert. Nel 1991, a seguito dell'indipendenza di Armenia e
    Azerbaijan, e della dichiarazione di indipendenza del NKR, la guerra è
    esplosa. Tra l'8 e il 9 maggio 1992, Shushi/Shusha fu riconquistata
    dai soldati del NKR e gli azeri furono costretti ad andarsene. L' NKR,
    fiancheggiato dall'Armenia, combatté con l'Azerbaijan fino al cessate
    il fuoco del 1994.

    È complicato provare a ricostruire questi eventi in modo neutrale, per
    la confusione che si genera nei molti conflitti d'interesse, religioni
    e potere che sono ancora in gioco. Come riporta l'International Crisis
    Group, `il Nagorno-Karabakh è largamente sfruttato dai leader armeni e
    azeri per raggiungere obiettivi dell'agenda politica interna e per
    discreditare l'opposizione'. La storia della regione è intrecciata
    come le foreste fitte e selvagge dell'Artsakh, dove cime spoglie
    emergono qua e là: è facile vedere queste cime ma la strada per
    raggiungerle è tortuosa.

    Come risultato di questo conflitto centinaia di migliaia di persone
    diventarono profughi. Solamente considerando Shushi/Shusha, una buona
    parte della popolazione attuale è costituita da armeni costretti a
    fuggire da Baku, la capitale dell'Azerbaijan sul mar Caspio. Al
    contrario gli azeri che abitavano a Shushi/Shusha si rifugiarono in
    Azerbaijan. C'è una differenza interessante tra i due, come rileva
    l'ex cittadino di Baku, Saro Saryan, presidente dell'ONG dei Rifugiati
    del Nagorno Karabakh: "Poiché l'NKR de iure è ancora parte
    dell'Azerbaijan, non c'è riconoscimento internazionale dello status di
    rifugiati per le persone di etnia armena scappate dall'Azerbaijan per
    rifugiarsi in Nagorno Karabakh." A parte questa differenza entrambi,
    armeni e azeri, persero le case dove sono nati e i luoghi dove sono
    cresciuti. L'unico calzolaio di Shushi/Shusha, Armen Assrian, sorride
    mentre ricorda com'era bello saltare la scuola e andare con gli amici
    sul lungomare di Baku. Nella tragedia della guerra le persone hanno
    perso più che i loro amici e le loro famiglie: Djonik Tevosyan, nel
    suo piccolo e trascurato appartamento, piange ancora mentre ricorda la
    morte dei suoi amici nei massacri di Sumgait (non lontano da Baku),
    dove 26 armeni furono uccisi nel 1988. Là non ha perso solo i suoi
    amici - ha anche perso le sue figlie. Dopo che si rifiutò di
    vendicarsi esse decisero di non rivolgerli più la parola.

    Queste storie di persone ordinarie, trovatesi nella miseria della
    storia, si trovano dietro molte delle porte dei negletti edifici di
    Shushi/Shusha. Se la voce degli azeri non può essere udita fino a qua,
    le migliaia di appartamenti vuoti sono efficaci nel ricordare che
    anche loro abitarono le stesse strade.

    Quando Larissa Harutyunian scappò da Sarov, un piccolo villaggio a
    pochi chilometri dall'attuale linea di confine, con i suoi bambini,
    ancora indossava le pantofole. Suo figlio più piccolo fu colpito da
    una scheggia durante il bombardamento. Per fortuna sopravvisse. Non
    riuscì a portare via niente: `Vedi qualcosa di antico in questa casa?
    Speravamo di tornare nel nostro villaggio per riprenderci le nostre
    cose ma non è mai successo... Grazie a Dio non ci hanno uccisi. Se non
    ci sarà un'altra guerra, ricostruiremo lentamente le nostre vite'.

    Non è comunque facile ricostruirsi una vita a Shushi/Shusha, dove è
    difficile dimenticarsi del passato. Non è soltanto per le moschee
    vuote e la vicinanza del confine con l'Azerbaijan, è anche perché le
    priorità dell'agenda governativa sono: sicurezza, riconoscimento
    internazionale e aumento della popolazione. Come incentivo il governo
    del NKR ha lanciato un programma per l'incoraggiamento delle nascite,
    offrendo ad ogni coppia circa mille dollari al momento del matrimonio.
    Ulteriore denaro viene dato alla nascita di ogni figlio e se la coppia
    riesce ad allevare 6 figli nell'arco di diciotto anni riceve un premio
    speciale: una casa.

    Secondo Armen Rakedjan, direttore dell'ONG Aravni, il governo dovrebbe
    piuttosto impegnarsi a creare una nazione dove le persone desiderino
    vivere, migliorando l'economia e creando posti di lavoro. Se i giovani
    non trovano lavoro cercheranno altrove. Qua, continua Armen, la
    maggior parte della popolazione o è un militare o lavora nella
    pubblica amministrazione, ci sono pochissime aziende private. Il
    Karabakh sopravvive solamente grazie a donazioni internazionali e
    denaro dall'Armenia che viene però usato per costruire hotel e
    ristrutturare e riparare edifici, per generare occupazione temporanea.
    Toppe che difficilmente risolveranno i problemi a lungo termine. Davit
    ha deciso di estendere, come molti altri, i due anni di servizio
    militare obbligatorio perché il salario è buono. Ma, dice, se la paga
    non rimane competitiva, cercherà lavoro oltre confine, in Russia o da
    qualsiasi parte. Un simbolo non è sempre ragione sufficiente per
    rimanere.

    http://www.balcanicaucaso.org/aree/Nagorno-Karabakh/Shushi-Shusha-volti-e-simboli-del-Nagorno-Karabakh-116490



    From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress
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