Announcement

Collapse
No announcement yet.

Petrolio e vecchi papaveri: ci sara mai una primavera del Caucaso?

Collapse
X
 
  • Filter
  • Time
  • Show
Clear All
new posts

  • Petrolio e vecchi papaveri: ci sara mai una primavera del Caucaso?

    Linkiesta.it, Italia
    28 ottobre 2012


    Petrolio e vecchi papaveri: ci sara mai una primavera del Caucaso?

    [oil and old Poppies: there will never be a spring in the Caucasus?]

    Matteo Vabanesi

    Il nome dirà poco ai più: Nagorno-Karabakh. Qui si è combattuta una
    guerra all'inizio degli anni '90. Da allora la situazione di stallo
    (cessate il fuoco spesso violato) è tra le più serie minacce per la
    sicurezza del Caucaso, estrema periferia d'Europa. I vecchi burocrati
    dominano, rubando ai giovani persino i sogni.

    STEP'ANAKERT - Al primo piano una banca d'investimenti, al secondo
    locali commerciali, al terzo e al quarto una sala conferenze e 32
    suite, nove di lusso e una presidenziale. «È questa l'unica Europa che
    conosciamo», sostiene Haik con distacco, mentre con un cenno mi indica
    l'Hotel Europa, il business center inaugurato lo scorso maggio in una
    delle vie principali di Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh.
    Davanti ai vetri blu cobalto del nuovo complesso, costato 5,5 milioni
    di dollari, uno striscione afferma in inglese «Non c'è alternativa
    all'indipendenza», mentre lungo il viale, intitolato ai Combattenti
    per la libertà, la città sfoggia a ogni lampione un gagliardetto
    nazionale. «Le celebrazioni per il 20° anniversario della
    dichiarazione d'indipendenza si stanno per concludere», spiega Haik,
    che poi aggiunge: «È stata una conquista importante, ma oggi il
    Nagorno Karabakh non può vivere solo di slogan».

    Proclamata il 2 settembre 1991, la Repubblica del Nagorno Karabakh è
    uno stato de facto, non riconosciuto dalla comunità internazionale
    (con l'eccezione di Abkhazia, Ossezia del Sud e Transnistria, che a
    loro volta però vantano solo una parziale legittimazione). Il cessate
    il fuoco siglato con l'Azerbaigian nel maggio 1994 ha congelato lo
    scontro militare con Baku, ma non ha portato alla firma di un trattato
    di pace, lasciando così irrisolto il conflitto tra i due Paesi. Una
    situazione né di guerra né di pace, che è al centro dei negoziati
    portati avanti dal Gruppo di Minsk dell'Ocse. Così il Nagorno Karabakh
    oggi è «riconosciuto come Stato non riconosciuto», come puntualizza
    con garbo Larisa Alaverdyan, direttrice dell'Istituto di Scienze
    politiche e Legge all'Università russo-armena di Yerevan.

    Hayk Khanumyan ha 28 anni, ed è il direttore dell'European Movement in
    Artsakh, una Ong che cura progetti di scambio internazionali tra
    l'Università di Stepanakert e le principali facoltà europee. Artsakh,
    nell'antichità, era il nome di una delle province del Regno d'Armenia;
    oggi è l'appellativo con il quale gli Armeni chiamano il territorio
    del Nagorno Karabakh. «Il mancato riconoscimento - sostiene Haik -
    limita molto le possibilità di sviluppo del Nagorno Karabakh,
    specialmente tra le giovani generazioni. Senza la legittimazione
    internazionale, organizzazioni come le Nazioni Unite, l'Ocse o
    l'Unione europea non possono aprire uffici sul territorio. Ma ci sono
    anche altre conseguenze e problemi più pratici, come ad esempio i
    visti per l'estero che possono essere richiesti solo dietro esibizione
    di un passaporto armeno».

    Anche Diana, moglie di Haik e prossima ad ottenere un dottorato in
    Lingue, concorda che il problema centrale è il riconoscimento del
    Nagorno Karabakh. Si sono sposati da pochi giorni e abitano in affitto
    al quarto piano in un palazzone d'epoca sovietica, non distante dal
    centro di Stepanakert. Circa un terzo della popolazione risiede nella
    capitale, che conta ormai più di 50 mila abitanti ed accentra, in base
    alle statistiche ufficiali del 2010, più del 70% della popolazione
    urbana del Nagorno Karabakh. Martouni, la seconda città del Paese, ha
    in confronto meno di un decimo degli abitanti. Durante il conflitto,
    Stepanakert è stata messa a dura prova dall'artiglieria azera e, al
    cessate il fuoco, la ricostruzione ha imposto come priorità
    l'emergenza abitativa, alimentata, negli anni, dalla domanda di nuovi
    alloggi. Così, mentre poco distante dai nuovi quartieri residenziali
    si costruiscono ville con colonne e capitelli ionici, i prezzi del
    mercato immobiliare sono saliti alle stelle: più di mille dollari al
    metro quadro per un appartamento in centro, una cifra pari alle
    abitazioni vip nella Northern Avenue di Yerevan. Con la differenza di
    avere un potere d'acquisto nettamente inferiore. Un insegnante
    guadagna circa 300 euro al mese, mentre la media mensile dei salari si
    aggira intorno ai 200 euro a persona. Senza contare la crisi, con i
    principali indicatori economici (salari, Pil, produzione agricola e
    industriale) che, nonostante un trend positivo, hanno tutti subito un
    rallentamento. E con il risparmio pro capite che nel 2010 ha fatto
    registrare un saldo negativo dello 0,6%.

    Alle case, però, non hanno ancora fatto seguito i servizi e nemmeno
    progetti di sviluppo sociale. A Stepanakert l'amministrazione sta
    ultimando un nuovo ospedale, un centro sportivo e una nuova
    cattedrale. Gli Armeni della Diaspora hanno inoltre finanziato
    università e scuole in tutto il Paese, ma, come fa notare Haik, «negli
    atenei prevale ancora una mentalità sovietica, mentre ci vorrebbe una
    nuova atmosfera educativa». Nel Nagorno Karabakh il 52% della
    popolazione ha un'età compresa tra zero e 30 anni, e per la prima
    volta una generazione cresciuta senza il conflitto si trova anche a
    riempire il vuoto creato dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica.
    «Purtroppo però - prosegue Haik - il corpo docente si è formato in
    prevalenza sotto l'Urss e adotta un sistema che non aiuta gli studenti
    ad aprirsi e realizzare progetti, a essere innovativi e ad avere il
    coraggio di prendere un'iniziativa».

    A livello sociale, la guerra ha lasciato un senso di frustrazione per
    il tempo che è stato sprecato. Dopo la firma dell'armistizio, in
    Karabakh l'economia ha ripreso vigore, specialmente nel settore
    minerario. Il sottosuolo è infatti ricco d'oro, diamanti e altri
    minerali, estratti principalmente dalla Base Metals. Anche la
    produzione industriale e l'agricoltura sono cresciute, ed investimenti
    hanno riguardato la telefonia (con la Telekom Karabakh, di proprietà
    armeno-libanese) e la produzione di energia idroelettrica. Pure il
    turismo, negli anni, è diventato una preziosa risorsa. Per gli Armeni,
    in particolare per quelli della Diaspora, il Nagorno Karabakh è ormai
    una sorta di luogo simbolico: la storia millenaria dei monasteri di
    Gandzasar e Dadivank, immersi in una natura rigogliosa; le rovine di
    Tigranakert, i vasti panorami e i piccoli villaggi aggrappati alle
    montagne. Un idillio, che è stato però pagato a caro prezzo. Sul
    territorio i segni della guerra rimangono comunque ben visibili, con
    case distrutte, carcasse di auto e di mezzi militari, bunker e la
    presenza continua dell'esercito. Per le strade i più anziani vestono
    ancora casacche mimetiche, che in qualche caso coprono le mutilazioni
    del corpo. Ci sono poi le ferite nascoste. Dei settemila caduti armeni
    nei tre anni di conflitto, circa 4.500 erano originari del Nagorno
    Karabakh. Nelle case, quasi tutte le famiglie venerano la foto di un
    parente scomparso, e la maggior parte di loro ha vissuto sofferenze
    difficili da raccontare, che probabilmente sono ancora più complesse
    da dimenticare.

    Nonostante un'economia solida, c'è però una realtà che non traspare
    dalle statistiche ufficiali. «Lo stato funziona, le istituzioni
    lavorano, ma la nostra società rimane molto conservatrice - afferma
    Haik - e difende gli ideali ereditati negli anni da Breznev, inclusa
    la mancanza di creatività, la passione per la burocrazia e una certa
    inclinazione alle teorie del complotto. Le classi dirigenti non hanno
    fiducia nelle nuove generazioni, soprattutto se hanno studiato
    all'estero, perché i giovani portano con loro valori diversi e una
    maggiore intraprendenza. Ma qui, se hai delle iniziative allora
    significa che hai delle ambizioni; e se hai delle ambizioni, sei una
    minaccia per il Paese. Ed questa mentalità ad imbrigliare lo sviluppo
    del Nagorno Karabakh». A Stepanakert come altrove, in mancanza
    d'apertura e senza il riconoscimento della comunità internazionale, i
    salari rimangono bassi, le prospettive poche, i luoghi di ritrovo
    inesistenti e l'emigrazione, soprattutto giovanile, è diventata una
    costante. Con le statistiche che misurano i flussi migratori solo in
    base alla perdita della cittadinanza, invece di rilevare sul nascere i
    primi segni di un conflitto generazionale.

    Con Haik raggiungiamo lo Stepanakert Press Club (Spc), un'associazione
    nata nel 1998 per la promozione della libertà d'informazione. Per
    quattro anni, dal 2004 al 2008, il Press Club ha dato alle stampe
    Demo, il primo quotidiano indipendente del Karabakh, mentre oggi cura
    l'edizione di Analyticon, un magazine in tre lingue realizzato in
    collaborazione con l'Unione Europea e diffuso in tutta la regione del
    Caucaso. È qui che incontro Masis Mayilian, presidente del Council for
    Foreign and Security Policy, partner del Press Club e molto altro. Nel
    1993 Masis ha fatto parte del team di negoziatori che ha concluso il
    cessate il fuoco e fino al 2007 è stato vice ministro degli Esteri.
    «Dopo la fine del conflitto una delle priorità principali è stata la
    costruzione del Nagorno Karabakh come amministrazione statale - spiega
    Mayilian - Abbiamo creato il migliore esercito della regione, una
    struttura di governo e abbiamo strenuamente difeso la nostra
    indipendenza. Certo, molte cose sono ancora da fare: c'è bisogno di
    maggiore democrazia, di più diritti umani, di media più indipendenti.
    Ma in ogni caso la nostra situazione non è certo paragonabile a quanto
    accade oggi in Azerbaigian».


    Mayilian non si riferisce solo al caso Safarov, l'ufficiale azero
    proclamato eroe nazionale dopo aver ucciso nel sonno, a colpi d'ascia,
    un militare armeno durante un'esercitazione Nato. In Azerbaigian il
    presidente Aliyev agita lo spettro del Nagorno Karabakh per mantenere
    alta la mobilitazione all'interno del Paese. Inoltre, un'intensa
    attività di lobbying internazionale, insieme alla scelta rilevata da
    molti esperti di destinare il 20% del Pil all'acquisto di armi e altre
    spese militari, lasciano pensare che la minaccia di una nuova guerra
    non sia così lontana. Secondo i dati del Ministero della Difesa
    karabakho, nella sola settimana tra il 14 e il 20 ottobre sono state
    250 le infrazioni al cessate il fuoco. La tensione è alta, soprattutto
    nelle province di Martakert e Hadrut, anche se le violazioni sono per
    ora classificate a bassa intensità.

    «Non è comunque facile convivere tutti i giorni con le minacce di un
    sistema autocratico - commenta Vahram Soghomonyan, ricercatore in
    Scienze politiche e autore di numerosi articoli sui problemi della
    regione - Ma c'è una nuova generazione che sta nascendo, connessa con
    i cambiamenti che vengono dal Medio Oriente e per il Nagorno Karabakh
    l'argomento più forte contro il petrolio azero può essere solo la
    democrazia». Anche Larisa Alaverdyan, la direttrice dell'Istituto di
    Scienze politiche e Legge all'Università Russo-armena di Yerevan, è
    certa che «essere liberi significhi essere sicuri», e che per
    garantire la sicurezza del Karabakh gli ideali democratici siano
    importanti quanto l'esercito. Così lo scorso luglio, alle ultime
    elezioni presidenziali, una sconfitta ha fatto invece segnare
    un'importante vittoria. Le votazioni hanno confermato il Presidente
    uscente Bako Sahakyan, ma nonostante il nemico alle porte il candidato
    delle opposizioni, Vitaly Balasanyan, ha ottenuto oltre il 30% dei
    consensi. Un risultato raggiunto anche grazie ai voti delle giovani
    generazioni. «In vent'anni d'indipendenza si tratta di un successo
    senza precedenti - chiarisce Alaverdyan - soprattutto perché stiamo
    parlando di paesi ex sovietici, dove tutti erano felici di ogni cosa.
    Non voglio cedere a facili entusiasmi, ma questa è la prova che il
    Nagorno Karabakh non è una natura morta, e che non esiste solo sulla
    carta. Ci potranno essere ingiustizie e disuguaglianze, ma il pericolo
    di un'attitudine totalitaria è ormai alle spalle, perchè i cittadini
    iniziano ad essere più consapevoli e dimostrano di avere una maggior
    coscienza civile».

    Per un'armena di Baku come Larisa Alaverdyan, la questione del
    Karabakh assume un'importanza tutta particolare. Nella marshrutka la
    musica pop sembra scandire senza sosta lo scorrere dei tornanti, e
    presto il profilo di Stepanakert si perde all'orizzonte. Con una mano
    al volante e l'altra incollata al cellulare, l'autista divora
    chilometri mentre pianifica i suoi piccoli commerci. Il corridoio di
    Lachin, soprannominato dagli Armeni del Karabakh `la strada della
    vita', si arrampica per chilometri prima di scendere verso Goris e la
    frontiera. Durante la guerra questa era l'unica via di comunicazione
    con Yerevan e, per la sua importanza strategica, è stata al centro di
    numerose battaglie. Oggi Lachin ha cambiato nome e si chiama Berdzor,
    ma è rimasta la principale via di collegamento con l'Armenia.
    L'aeroporto di Stepankert è stato infatti inaugurato lo scorso 2
    ottobre, ma non può essere ancor utilizzato. Secondo il governo azero,
    i voli rappresentano una violazione del proprio spazio aereo, e Baku
    ha minacciato quindi di abbatterli. «Per l'Azerbaigian il conflitto è
    un ostacolo alla democrazia - evidenzia Alaverdyan - Ma se un Paese
    vuole essere democratico, allora deve essere pronto a tutto. E se il
    piccolo Nagorno Karabakh è un freno per l'Azerbaigian, il grande
    Azerbaigian non è certo un ostacolo per il Karabakh».

    http://www.linkiesta.it/nagorno-karabakh



    From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress
Working...
X