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Ed ora dopo l'Armenia racconterò il mio Veneto

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    Il Giornale di Vicenza, Italia
    9 set 2012

    Ed ora dopo l'Armenia racconterò il mio Veneto

    ANTONIA ARSLAN, SCRITTRICE



    Prof. Arslan, grazie a romanzi quali `La masseria delle allodole'
    (2004) e `La strada di Smirne' (2009), il suo nome è legato ormai
    indissolubilmente alla tragedia del genocidio armeno che ha sconvolto
    la sua famiglia; alla strage armena del 1915 è dedicato anche il suo
    ultimo `Il libro di Mush' che è stato finalista al Premio Viareggio.
    Di fronte alla mole della sua storia famigliare verrebbe da chiedersi
    perché abbia atteso così tanto a rendere pubblico il forziere delle
    memorie... Ma lo sa che me lo sono sempre chiesta anch'io? Penso che
    alla fine l'attesa sia servita ad elaborare in un testo narrativo ciò
    che prima costituiva una semplice memoria famigliare. Prima di
    scrivere `La masseria delle allodole', il romanzo che mi ha cambiato
    la vita, io componevo poesie, raccoglievo piccole testimonianze, ma
    erano tutte operazioni utili ad accrescere il mio mero sacrario
    famigliare. Poi ho avuto la fortuna di scoprire l'opera del grande
    poeta armeno Daniel Varujan e da quel momento la realtà della tragedia
    mi si è presentata davanti, non solo a livello storico ma anche
    emotivo. È soddisfatta dell'approccio italiano verso i genocidi o
    ritiene più consono quanto stabilito, per esempio, dal governo
    francese che punisce il reato di negazionismo? Mah, dell'atteggiamento
    italiano sono soddisfatta: malgrado in Italia siano presenti solo
    duemila armeni, il nostro Parlamento fin dal 2001 ha voluto prendere
    posizione, solo che l'ha fatto, appunto, `all'italiana', perché la
    Camera ha riconosciuto il genocidio del 1915, ma il Senato non si è
    espresso. In quanto al reato di negazionismo, punito in Francia ed in
    altri paesi europei, dico solo che di primo acchito sono perplessa,
    perché si tratta pur sempre di un'opinione, ma mi devo ricredere se
    penso a quello che è successo in Ungheria, dov'è appena stata concessa
    l'estradizione all'assassino azero Ramil Safarov che nel 2004 uccise a
    colpi d'ascia il sottotenente armeno Gurgen Margaryan colpendolo
    mentre dormiva con sedici colpi solo al volto: ebbene, Safarov è stato
    lasciato tornare liberamente in Azerbaigian dov'è stato accolto come
    un eroe nazionale! Dai Rougon Macquart di Zola ai Malavoglia di Verga
    fino agli Arcuri de `La collina del vento' di Carmine Abate, recente
    vincitore del premio Campiello: ma perché in letteratura hanno così
    tanto successo le saghe famigliari? Evidentemente la gente ama
    identificarsi in una storia che continua, osservare come si evolve un
    personaggio, una storia, un luogo, una situazione. La saga famigliare
    è un nucleo centrale dell'arte del romanzo che non invecchia mai. E
    lei ne è buona artefice. Ma secondo lei è vero che il passato è dentro
    di noi, basta saperlo leggere? Che cosa c'è dentro al cuore di chi,
    come lei, ha una storia famigliare così intensa e tragica? Sì, il
    passato nostro e dei nostri avi è racchiuso in noi, basta poco per
    risvegliarlo e riconoscerlo. Nel mio caso sono servite poche cose,
    delle immagini, alcune poesie, racconti sparsi, ballate e
    filastrocche, e si è dischiuso un mondo che neppure io pensavo di
    avere nel profondo del mio cuore. Senta, lei ha insegnato per anni
    Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Padova
    ed è spesso ospite di librerie e cenacoli letterari. Qual è oggi lo
    stato di salute della narrativa in Italia? Lo dico? Ci sono parecchie
    opere che sembrano rimasticature, l'io è sempre al centro, si parla
    solo del soggetto. Insomma, ho l'impressione che questa specie di
    solipsismo narcisistico sia troppo diffuso. E così la gente si rifugia
    su saghe famigliari che raccontano fatti reali. E comunque non voglio
    certo sparare su quelli che si scrivono la loro storia personale e
    spesso se la pubblicano a loro spese. Il `Basilica Palladiana', giunto
    alla sua 47esima edizione, è da sempre un premio che si consegna ad un
    veneto dai particolari meriti culturali. Lei si sente veneta? Che cosa
    c'è di tipicamente veneto in lei? Sì, certo, mi sento veneta, mia
    madre peraltro era di Lendinara. Mi trovo bene in questa regione, mi
    capisco con i veneti, pur nelle loro caratteristiche di essere in
    fondo un po' maniaci e strambi, ma anche capaci di inventare un mondo
    dal nulla. In particolare mi sento proprio veneta nella mia incapacità
    di arrabbiarmi troppo per le cose, un elemento che comunque mi ha
    aiutato nella mia attività di docente. Prima di lei hanno ricevuto
    questo premio gli scrittori Neri Pozza, Luigi Meneghello e Mario
    Rigoni Stern e i poeti Fernando Bandini, Diego Valeri e Andrea
    Zanzotto. Si sente legata in particolare a qualcuno di loro o ad altri
    letterati? Tra questi che ha citato sicuramente Meneghello, di cui
    adoro il primo libro `Libera nos a malo', e Bandini che è stato mio
    collega all'Università. Per il resto ho sempre amato lo stile di
    scrittura di Guido Piovene e considero il suo `Viaggio in Italia' uno
    dei libri più belli della nostra letteratura. Ora la valle di Mush non
    è più così nebbiosa, grazie alla luminosa testimonianza del suo ultimo
    libro. Ha in previsione altri romanzi sulla tragedia armena o pensa
    invece di scrivere poesie, considerato il tono lirico di alcune sue
    pagine? Riguardo la poesia, sto giusto meditando di pubblicare una
    decina di ballate che ho definito `anatoliche'. In quanto alla prosa,
    invece, dalla California, dove tornerò a metà settembre, mi
    sollecitano a riprendere il filo narrativo della tragedia armena. Ma
    forse, invece, è arrivata l'ora di parlare del Veneto della mia
    infanzia.


    http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/406068_ed_ora_dopo_larmenia_racconter_il_mio_venet o/

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