RSI , Svizzera
22 marzo 2013
"La mia Armenia nella diaspora"
Intervista a Ludwig Naroyan, "adottato" dal Ticino
L'Armenia è stata al centro ieri del Festival International de Films
di Friborgo(FIFF). Dopo le pellicole proposte, scelte dal regista
canadese di origine armena Atom Egoyan, è seguito un dibattito sul
ruolo del cinema della diaspora nella trasmissione della storia di
questo popolo. Ne abbiamo parlato con Ludwig Naroyan, architetto e
portavoce della piccola comunità armena in Ticino, che conta circa 100
persone.
In Ararat (Canada, Francia, 2002), il cineasta Atom Egoyan sostiene di
aver tentato di descrivere come, ad un secolo di distanza, il
genocidio armeno continui ad avere un impatto sugli individui. Lei
come avverte i massacri del 1915?
In un certo senso sento ancora il dramma. Se mi promuovo come
portavoce della comunità armena locale, è perché credo nelle mie
radici, a questo popolo che dopo il 1915 è come se fosse scomparso. Il
genocidio non è riconosciuto da tutti, e specialmente non lo è dalla
Turchia, ma non si tratta solo di questo.
Cosa intende esattamente?
Formalmente la Turchia è un paese democratico. Ma in Turchia non si
parla volentieri degli armeni. Le faccio un esempio: la famiglia
Balyan era un'importante dinastia di architetti nell'impero Ottomano.
Ha progettato e costruito importanti opere per il sultanato ad
Istanbul. Ma facendo un giro turistico di questi palazzi, si accorgerà
che il nome è stato distorto in "Bali", perché non si vuole dire che è
opera di armeni. Alla Turchia gli armeni davano fastidio perché
occupavano settori importanti, ed erano tendenzialmente ricchi e
colti: erano commercianti, e si distinguevano nei campi
dell'architettura, della musica, della poesia. Ed ancora oggi il
Governo turco fa fatica ad ammettere questo aspetto armeno.
Lei ha trascorso parte della sua giovinezza in Turchia. Come l'ha vissuta?
Per motivi di sicurezza io e la mia famiglia ci siamo trasferiti
dall'Armenia storica a Costantinopoli, una regione dell'est della
Turchia dove gli armeni rimasti si sono convertiti all'Islam
continuando a praticare di nascosto la loro fede cristiana. Ma anche
lì, dove c'era una grande comunità armena, si era in pericolo,
soprattutto se se si era un po' rivoluzionari, nel senso di voler
reagire all'ingiustizia subita. Per questo ci siamo trasferiti in
Svizzera negli anni '70.
Stando al direttore del FIFF, Thierry Jobin, è come se al
riconoscimento del genocidio armeno mancasse un film che faccia
l'effetto prodotto da Schindler's list (1993) per il riconoscimento
della Shoah. "Ararat" aveva suscitato tante attese alla sua uscita,
dieci anni fa, ma poi la gente è rimasta disorientata.
Esattamente. C'è qualche parallelo tra i due film, ma l'effetto non è
lo stesso. E non c'è da stupirsi se un film, come per così dire,
`rivelatore' del massacro non esista. Il Governo turco non vuole che
si parli del genocidio e boicotta tutti i registi che intendono farlo.
Basti pensare all'affossamento, negli anni '30, della trasposizione
cinematografica del romanzo "I 40 giorni del Mussa Dagh", dello
scrittore Franz Werfel. Negli anni si è ritentato di produrlo. Nel
2006 ci provò Sylvester Stallone, ma gruppi di pressione lo fecero
desistere. Lo stesso è toccato a Mel Gibson, che nel 2009 volle farne
un documentario.
Trova che per gli armeni in patria sia più importante il
riconoscimento del genocidio o un miglioramento della situazione
economica?
È una domanda difficile. Tutti e due i fattori sono importanti.
Occorre anche tener presente che le due cose non sono disconnesse.
Infatti, se il genocidio verrà riconosciuto anche dalla Turchia, il
prossimo passo sarà la restituzione dei beni degli armeni, che erano
benestanti e che nel genocidio hanno perso tutto.
Francesca Motta
http://info.rsi.ch/home/channels/informazione/info_on_line/2013/03/22--La-mia-Armenia-nella-diaspora-I
22 marzo 2013
"La mia Armenia nella diaspora"
Intervista a Ludwig Naroyan, "adottato" dal Ticino
L'Armenia è stata al centro ieri del Festival International de Films
di Friborgo(FIFF). Dopo le pellicole proposte, scelte dal regista
canadese di origine armena Atom Egoyan, è seguito un dibattito sul
ruolo del cinema della diaspora nella trasmissione della storia di
questo popolo. Ne abbiamo parlato con Ludwig Naroyan, architetto e
portavoce della piccola comunità armena in Ticino, che conta circa 100
persone.
In Ararat (Canada, Francia, 2002), il cineasta Atom Egoyan sostiene di
aver tentato di descrivere come, ad un secolo di distanza, il
genocidio armeno continui ad avere un impatto sugli individui. Lei
come avverte i massacri del 1915?
In un certo senso sento ancora il dramma. Se mi promuovo come
portavoce della comunità armena locale, è perché credo nelle mie
radici, a questo popolo che dopo il 1915 è come se fosse scomparso. Il
genocidio non è riconosciuto da tutti, e specialmente non lo è dalla
Turchia, ma non si tratta solo di questo.
Cosa intende esattamente?
Formalmente la Turchia è un paese democratico. Ma in Turchia non si
parla volentieri degli armeni. Le faccio un esempio: la famiglia
Balyan era un'importante dinastia di architetti nell'impero Ottomano.
Ha progettato e costruito importanti opere per il sultanato ad
Istanbul. Ma facendo un giro turistico di questi palazzi, si accorgerà
che il nome è stato distorto in "Bali", perché non si vuole dire che è
opera di armeni. Alla Turchia gli armeni davano fastidio perché
occupavano settori importanti, ed erano tendenzialmente ricchi e
colti: erano commercianti, e si distinguevano nei campi
dell'architettura, della musica, della poesia. Ed ancora oggi il
Governo turco fa fatica ad ammettere questo aspetto armeno.
Lei ha trascorso parte della sua giovinezza in Turchia. Come l'ha vissuta?
Per motivi di sicurezza io e la mia famiglia ci siamo trasferiti
dall'Armenia storica a Costantinopoli, una regione dell'est della
Turchia dove gli armeni rimasti si sono convertiti all'Islam
continuando a praticare di nascosto la loro fede cristiana. Ma anche
lì, dove c'era una grande comunità armena, si era in pericolo,
soprattutto se se si era un po' rivoluzionari, nel senso di voler
reagire all'ingiustizia subita. Per questo ci siamo trasferiti in
Svizzera negli anni '70.
Stando al direttore del FIFF, Thierry Jobin, è come se al
riconoscimento del genocidio armeno mancasse un film che faccia
l'effetto prodotto da Schindler's list (1993) per il riconoscimento
della Shoah. "Ararat" aveva suscitato tante attese alla sua uscita,
dieci anni fa, ma poi la gente è rimasta disorientata.
Esattamente. C'è qualche parallelo tra i due film, ma l'effetto non è
lo stesso. E non c'è da stupirsi se un film, come per così dire,
`rivelatore' del massacro non esista. Il Governo turco non vuole che
si parli del genocidio e boicotta tutti i registi che intendono farlo.
Basti pensare all'affossamento, negli anni '30, della trasposizione
cinematografica del romanzo "I 40 giorni del Mussa Dagh", dello
scrittore Franz Werfel. Negli anni si è ritentato di produrlo. Nel
2006 ci provò Sylvester Stallone, ma gruppi di pressione lo fecero
desistere. Lo stesso è toccato a Mel Gibson, che nel 2009 volle farne
un documentario.
Trova che per gli armeni in patria sia più importante il
riconoscimento del genocidio o un miglioramento della situazione
economica?
È una domanda difficile. Tutti e due i fattori sono importanti.
Occorre anche tener presente che le due cose non sono disconnesse.
Infatti, se il genocidio verrà riconosciuto anche dalla Turchia, il
prossimo passo sarà la restituzione dei beni degli armeni, che erano
benestanti e che nel genocidio hanno perso tutto.
Francesca Motta
http://info.rsi.ch/home/channels/informazione/info_on_line/2013/03/22--La-mia-Armenia-nella-diaspora-I