NAGORNO KARABAKH, IL PAESE DEI 150.000 FANTASMI [NK: THE COUNTRY OF 150,000 GHOSTS]
La Repubblica- Italia
15 giugno 2013
La Repubblica, autoproclamatasi indipendente nel 1992, in perenne
allerta con l'Azebairgian e la Turchia, ha bisogno di fondi, uomini,
tecnologie, competenze per disegnare il futuro. Il circuito degli
antichi monasteri per "accendere" il turismo. I programmi ambiziosi
nella vicina Armenia da Cardio Tuscany Team, Onlus sostenuta
dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e della Regione Toscana
di GIOVANNI RAIA
STEP'ANAKERT (Nagorno Karabakh) - Un carro armato scruta dall'alto
di una roccia i pochi veicoli in transito. Siamo appena entrati in
Nagorno Karabakh e il memoriale, uno dei tanti, ti ricorda di colpo
il conflitto armeno-azero del '92-'94. Ma la giornata sta aprendosi
su un cielo troppo blu e su mille panorami mozzafiato che scolpiscono
montagne e boschi, valloni e torrenti, tutti troppo belli per non
voler respirare ottimismo a pieni polmoni. E in effetti l'arrivo sulla
capitale ha alla fine un che di bucolico. Il tempo di parcheggiare,
però, e le prime note di segno contrario balzano agli occhi. Due anni
di guerra sommati a carenze strutturali, hanno lasciato, pur a distanza
di tempo, cicatrici profonde in citta e villaggi, ma soprattutto hanno
tarpato le ali ad un'economia gia di per se non floridissima che tra
mille contraddizioni cerca nuove risorse per crescere e produrre a
sua volta occasioni di lavoro e servizi dignitosi.
La metafora di un Paese. L'Ospedale Repubblicano di Step'anakert con
la sua facciata cadente, la buona volonta dei suoi operatori e la
fiumana continua di utenti che l'attraversa, è un po' la metafora
dell'intero Karabakh: danni, poverta storica, voglia di fare, ma
mezzi scarsissimi. In realta sulle rovine del conflitto è sorta una
nuova capitale, moderna e decisamente dinamica. Un nuovo ospedale,
ad esempio, sostituira tra qualche tempo l'ormai inadeguata struttura
anni '30, ma le realta periferiche non sempre sono della stessa
qualita. Basta allontanarsi di pochi chilometri per vedere, tra Shushi
e Askeran, musei in costruzione e case diroccate, strade bitumate
di fresco e arterie sconnesse, banche tirate a lucido e poveri bar
dall'aria triste. Per carita, lo sforzo postbellico di ricostruzione -
che spesso è costruzione ex novo di cose mai esistite - è imponente
e ammirevole, ma molto rimane ancora da fare. E più che i numeri,
sono le difficolta della vita quotidiana a evidenziare la necessita
di un intervento esterno concreto e ad ampio raggio.
I tanti bisogni. Il Karabakh ha bisogno di fondi, uomini, tecnologie
e competenze per disegnare il proprio futuro. In soldoni, va aiutato
con progetti e mezzi. Ad esempio, con investimenti in attivita
industriali, molto redditizi per l'investitore anche grazie alla
favorevole tassazione applicata. Il settore turistico, tanto per
citare una possibilita tra mille, è accreditato di un forte sviluppo
in tempi brevi. Basterebbe proporre il circuito degli antichi monasteri
per accendere voglia di viaggio nel più pigro dei turisti.
La fame di sapere. Ma se invece ragionassimo in termini non profit,
potremmo allora rivolgere la nostra attenzione alla formazione ed
all'aggiornamento in genere. Questo Paese ha fame di sapere, e non
c'è campo dove non si possano trasmettere nuove conoscenze. Bisogna
però dire che interesse primario della popolazione, è ancora una volta
la salute. La gratuita solo parziale delle cure, il numero esiguo di
strutture specialistiche che costringe i malati a difficili e costosi
viaggi, la mancanza di un confronto continuo fra i sanitari locali
ed i colleghi di altri paesi, sono solo la punta di un iceberg che
pesa fortemente sulla qualita della vita. In questo senso, molto si
può fare.
L'assenza di una road map verso la pace. Recenti esperienze,
con programmi ambiziosi concretizzati nella vicina Armenia da
Cardio Tuscany Team, una Onlus che si avvale della collaborazione
dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e del sostegno della
Regione Toscana, indicano che con determinazione e idee chiare si
arriva molto lontano. Ovvero a modificare situazioni negative che
paiono gravemente compromesse, quando non irreversibili. E impegnativo
è il problema che affligge il Nagorno Karabakh, con l'aggravante,
a volte quasi grottesca, dell'ipocrisia del consesso internazionale
che per non turbare equilibri delicati si esprime da vent'anni con
generici ed inutili inviti agli ex belligeranti dell'area a lavorare
per la pace, senza però disegnare una possibile road map. Un disco
che, senza pudore alcuno, ad ogni occasione viene risuonato per
mascherare un'incapacita patologica a prendere decisioni serie. Così,
questa piccola repubblica, autoproclamatasi all'indomani del crollo
dell'Unione Sovietica, non gode di alcun riconoscimento internazionale
che le conceda almeno lo status minimo di parte in causa in una contesa
che l'immobilismo generale rischia di far riesplodere drammaticamente
da un momento all'altro.
Ecco il quadro generale, per capire. La situazione è questa:
Il Nagorno Karabakh è una repubblica nella parte meridionale del
Caucaso che si è autoproclamata indipendente. Ai suoi confini c'è, ad
ovest, l'Armenia, a sud l'Iran, a nord e ad est l'Azerbaigian. Gli
attuali limiti territoriali sono stati disegnati al termine di
un conflitto scoppiato nel gennaio del 1992, dopo la proclamazione
dell'indipendenza. Oggi, alcune limitate aree del territorio sul bordo
orientale della repubblica indipendente sono sotto il controllo azero,
pur essendo rivendicate dall'Armenia. Da un lato, dunque, l'Azerbaijan,
appoggiato dalla Turchia, che può contare su petrolio, gas, forza
militare, posizione strategica in seno alle alleanze internazionali
e popolazione numericamente cospicua. Dall'altro Nagorno Karabakh e
l'Armenia, in tutto tre milioni di persone, forse, che producono sì,
ma non tanto da soddisfare i bisogni interni, a cominciare dai generi
alimentari. In posizione di spettatori interessati, ci sono Iran,
la Georgia e la Russia.
Una specie di "Paese-limbo". In questo quadro 150.000 persone
continuano a vivere in una sorta di paese-limbo, come fantasmi
invisibili agli occhi del mondo. Peccato che questi fantasmi sperino
e soffrano, lavorino e si ammalino e gioiscano e si alimentino in modo
molto materiale. In una parola, vivano. Negare nei fatti che esistano,
girando la testa dall'altra parte, non risolvera il problema. Lo fara
marcire. Con conseguenze da brivido. Almeno questo si dovrebbe capire:
la stabilita dell'area caucasica è fondamentale per la sicurezza di
tutto il mondo occidentale, e il Karabakh è un tassello importantissimo
nel gioco ad incastro della pace.
"La polveriera del Caucaso". Qualcuno, di recente, ha efficacemente
definito questo piccolo paese "la polveriera del Caucaso". Non
considerarlo tale, possiamo aggiungere, equivarrebbe ad accendere
la miccia. Un peccato, perche i nagorkini hanno fiducia nel futuro e
voglia di fare. Una fiducia che leggi negli occhi di Levon, bambino
che a cavallo, alle sei del mattino, non gioca ai cow-boys. Fa il
cow-boy, ora che la scuola è finita, e forse seguendo la mandria sogna
di diventare un giorno ingegnere. La stessa fiducia che esprime Liana,
giornalista dell'unica televisione del Karabakh, orgogliosa del suo
lavoro, ma soprattutto del grande sforzo collettivo che il Paese sta
esprimendo in questo momento.
Un'allerta che nessuno sa quando finira. La stessa speranza che in
fondo nutre Edmond, soldato che al fronte, a duecento metri dalle
trincee azere, si domanda se mai finira questo stato di allerta
continua. E quando lo inviti a parlare ti spiega, con una lucidita
sorprendente, per la giovanissima eta, che fino a quando non si
metteranno d'accordo quelli che contano, i potenti del mondo, dovra
continuare ad imbracciare il suo Kalashnikov, con la prospettiva,
prima o poi, di doverlo usare. E magari vedere i fantasmi virtuali
del Nagorno Karabakh trasformarsi in fantasmi reali. Ma noi con lui,
speriamo che non sia così.
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2013/06/15/news/nagorno-61152153/
From: Baghdasarian
La Repubblica- Italia
15 giugno 2013
La Repubblica, autoproclamatasi indipendente nel 1992, in perenne
allerta con l'Azebairgian e la Turchia, ha bisogno di fondi, uomini,
tecnologie, competenze per disegnare il futuro. Il circuito degli
antichi monasteri per "accendere" il turismo. I programmi ambiziosi
nella vicina Armenia da Cardio Tuscany Team, Onlus sostenuta
dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e della Regione Toscana
di GIOVANNI RAIA
STEP'ANAKERT (Nagorno Karabakh) - Un carro armato scruta dall'alto
di una roccia i pochi veicoli in transito. Siamo appena entrati in
Nagorno Karabakh e il memoriale, uno dei tanti, ti ricorda di colpo
il conflitto armeno-azero del '92-'94. Ma la giornata sta aprendosi
su un cielo troppo blu e su mille panorami mozzafiato che scolpiscono
montagne e boschi, valloni e torrenti, tutti troppo belli per non
voler respirare ottimismo a pieni polmoni. E in effetti l'arrivo sulla
capitale ha alla fine un che di bucolico. Il tempo di parcheggiare,
però, e le prime note di segno contrario balzano agli occhi. Due anni
di guerra sommati a carenze strutturali, hanno lasciato, pur a distanza
di tempo, cicatrici profonde in citta e villaggi, ma soprattutto hanno
tarpato le ali ad un'economia gia di per se non floridissima che tra
mille contraddizioni cerca nuove risorse per crescere e produrre a
sua volta occasioni di lavoro e servizi dignitosi.
La metafora di un Paese. L'Ospedale Repubblicano di Step'anakert con
la sua facciata cadente, la buona volonta dei suoi operatori e la
fiumana continua di utenti che l'attraversa, è un po' la metafora
dell'intero Karabakh: danni, poverta storica, voglia di fare, ma
mezzi scarsissimi. In realta sulle rovine del conflitto è sorta una
nuova capitale, moderna e decisamente dinamica. Un nuovo ospedale,
ad esempio, sostituira tra qualche tempo l'ormai inadeguata struttura
anni '30, ma le realta periferiche non sempre sono della stessa
qualita. Basta allontanarsi di pochi chilometri per vedere, tra Shushi
e Askeran, musei in costruzione e case diroccate, strade bitumate
di fresco e arterie sconnesse, banche tirate a lucido e poveri bar
dall'aria triste. Per carita, lo sforzo postbellico di ricostruzione -
che spesso è costruzione ex novo di cose mai esistite - è imponente
e ammirevole, ma molto rimane ancora da fare. E più che i numeri,
sono le difficolta della vita quotidiana a evidenziare la necessita
di un intervento esterno concreto e ad ampio raggio.
I tanti bisogni. Il Karabakh ha bisogno di fondi, uomini, tecnologie
e competenze per disegnare il proprio futuro. In soldoni, va aiutato
con progetti e mezzi. Ad esempio, con investimenti in attivita
industriali, molto redditizi per l'investitore anche grazie alla
favorevole tassazione applicata. Il settore turistico, tanto per
citare una possibilita tra mille, è accreditato di un forte sviluppo
in tempi brevi. Basterebbe proporre il circuito degli antichi monasteri
per accendere voglia di viaggio nel più pigro dei turisti.
La fame di sapere. Ma se invece ragionassimo in termini non profit,
potremmo allora rivolgere la nostra attenzione alla formazione ed
all'aggiornamento in genere. Questo Paese ha fame di sapere, e non
c'è campo dove non si possano trasmettere nuove conoscenze. Bisogna
però dire che interesse primario della popolazione, è ancora una volta
la salute. La gratuita solo parziale delle cure, il numero esiguo di
strutture specialistiche che costringe i malati a difficili e costosi
viaggi, la mancanza di un confronto continuo fra i sanitari locali
ed i colleghi di altri paesi, sono solo la punta di un iceberg che
pesa fortemente sulla qualita della vita. In questo senso, molto si
può fare.
L'assenza di una road map verso la pace. Recenti esperienze,
con programmi ambiziosi concretizzati nella vicina Armenia da
Cardio Tuscany Team, una Onlus che si avvale della collaborazione
dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e del sostegno della
Regione Toscana, indicano che con determinazione e idee chiare si
arriva molto lontano. Ovvero a modificare situazioni negative che
paiono gravemente compromesse, quando non irreversibili. E impegnativo
è il problema che affligge il Nagorno Karabakh, con l'aggravante,
a volte quasi grottesca, dell'ipocrisia del consesso internazionale
che per non turbare equilibri delicati si esprime da vent'anni con
generici ed inutili inviti agli ex belligeranti dell'area a lavorare
per la pace, senza però disegnare una possibile road map. Un disco
che, senza pudore alcuno, ad ogni occasione viene risuonato per
mascherare un'incapacita patologica a prendere decisioni serie. Così,
questa piccola repubblica, autoproclamatasi all'indomani del crollo
dell'Unione Sovietica, non gode di alcun riconoscimento internazionale
che le conceda almeno lo status minimo di parte in causa in una contesa
che l'immobilismo generale rischia di far riesplodere drammaticamente
da un momento all'altro.
Ecco il quadro generale, per capire. La situazione è questa:
Il Nagorno Karabakh è una repubblica nella parte meridionale del
Caucaso che si è autoproclamata indipendente. Ai suoi confini c'è, ad
ovest, l'Armenia, a sud l'Iran, a nord e ad est l'Azerbaigian. Gli
attuali limiti territoriali sono stati disegnati al termine di
un conflitto scoppiato nel gennaio del 1992, dopo la proclamazione
dell'indipendenza. Oggi, alcune limitate aree del territorio sul bordo
orientale della repubblica indipendente sono sotto il controllo azero,
pur essendo rivendicate dall'Armenia. Da un lato, dunque, l'Azerbaijan,
appoggiato dalla Turchia, che può contare su petrolio, gas, forza
militare, posizione strategica in seno alle alleanze internazionali
e popolazione numericamente cospicua. Dall'altro Nagorno Karabakh e
l'Armenia, in tutto tre milioni di persone, forse, che producono sì,
ma non tanto da soddisfare i bisogni interni, a cominciare dai generi
alimentari. In posizione di spettatori interessati, ci sono Iran,
la Georgia e la Russia.
Una specie di "Paese-limbo". In questo quadro 150.000 persone
continuano a vivere in una sorta di paese-limbo, come fantasmi
invisibili agli occhi del mondo. Peccato che questi fantasmi sperino
e soffrano, lavorino e si ammalino e gioiscano e si alimentino in modo
molto materiale. In una parola, vivano. Negare nei fatti che esistano,
girando la testa dall'altra parte, non risolvera il problema. Lo fara
marcire. Con conseguenze da brivido. Almeno questo si dovrebbe capire:
la stabilita dell'area caucasica è fondamentale per la sicurezza di
tutto il mondo occidentale, e il Karabakh è un tassello importantissimo
nel gioco ad incastro della pace.
"La polveriera del Caucaso". Qualcuno, di recente, ha efficacemente
definito questo piccolo paese "la polveriera del Caucaso". Non
considerarlo tale, possiamo aggiungere, equivarrebbe ad accendere
la miccia. Un peccato, perche i nagorkini hanno fiducia nel futuro e
voglia di fare. Una fiducia che leggi negli occhi di Levon, bambino
che a cavallo, alle sei del mattino, non gioca ai cow-boys. Fa il
cow-boy, ora che la scuola è finita, e forse seguendo la mandria sogna
di diventare un giorno ingegnere. La stessa fiducia che esprime Liana,
giornalista dell'unica televisione del Karabakh, orgogliosa del suo
lavoro, ma soprattutto del grande sforzo collettivo che il Paese sta
esprimendo in questo momento.
Un'allerta che nessuno sa quando finira. La stessa speranza che in
fondo nutre Edmond, soldato che al fronte, a duecento metri dalle
trincee azere, si domanda se mai finira questo stato di allerta
continua. E quando lo inviti a parlare ti spiega, con una lucidita
sorprendente, per la giovanissima eta, che fino a quando non si
metteranno d'accordo quelli che contano, i potenti del mondo, dovra
continuare ad imbracciare il suo Kalashnikov, con la prospettiva,
prima o poi, di doverlo usare. E magari vedere i fantasmi virtuali
del Nagorno Karabakh trasformarsi in fantasmi reali. Ma noi con lui,
speriamo che non sia così.
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2013/06/15/news/nagorno-61152153/
From: Baghdasarian