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Dall'Ossola all'Armenia, un viaggio studio per diventare costruttori

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  • Dall'Ossola all'Armenia, un viaggio studio per diventare costruttori

    La Stampa, Italia
    14 nov 2013

    Dall'Ossola all'Armenia, un viaggio studio per diventare costruttori di pace


    Almaty - «La posizione 'bloccata' dell'Armenia ci costringe a
    diversificare le nostre relazioni internazionali. Siamo obbligati ad
    approfondire ed espandere le nostre relazioni in entrambe le
    direzioni, quella europea e quella eurasiatica». Con queste parole,
    due giorni fa, il primo ministro armeno, Tigran Sargsyan, ha
    dichiarato di non volere abbandonare la direttrice europea, dopo
    l'annuncio di due mesi fa del presidente Serž Sargsyan di voler
    aderire al progetto russo dell'Unione Doganale. L'ingresso del Paese
    caucasico verrebbe interpretato come un duro colpo al lavoro
    dell'Unione Europea, che in questi ultimi anni aveva lavorato per
    integrare l'Armenia alle sue strutture e ai suoi standard.

    L'Armenia sembra viaggiare su lunghezze d'onda diverse rispetto ai
    propri vicini. L'annuncio di settembre pro-Unione Doganale era
    arrivato nel momento peggiore della storia del patto tra Russia,
    Kazakistan e Bielorussia, durante le dispute commerciali russe con la
    Bielorussia e le prime critiche alla performance economica kazaka
    nella nuova struttura. Sembrava fosse uno slogan da campagna
    elettorale, nonostante le elezioni presidenziali fossero già state
    celebrate lo scorso febbraio. Proprio quando ci si avvicinava al
    culmine della Presidenza lituana del Consiglio dell'Unione Europea,
    con il summit di Vilnius, l'Armenia ha deciso di allontanarsi dagli
    Accordi di Associazione, strizzando l'occhio a Mosca. Tuttavia, sempre
    in pieno stile anacronistico, il governo di Yerevan continua a dire
    che un accordo con l'Europa si può ancora raggiungere.

    Alcuni dei provvedimenti inclusi negli Accordi di Associazione che
    alcuni Paesi del Partenariato Orientale finiranno per firmare a
    Vilnius alla fine del mese non sono complementari alle unioni doganali
    extra-europee: la creazione di una zona di libero commercio tra UE e
    Armenia non potrebbe funzionare, se l'Armenia fosse al tempo stesso
    parte della zona di libero commercio con Russia, Kazakistan e
    Bielorussia. Alcuni osservatori escludono che l'Unione Europea possa
    acconsentire alla firma di Accordi parziali o modificati per
    accomodare le volubili richieste armene. All'inizio di novembre, la
    pubblicazione di una bozza delle linee guida per il summit di Vilnius
    non indicava speciali condizioni per l'Armenia, anzi, lasciava vuoto
    lo spazio che era dedicato agli accordi specifici nei casi degli altri
    cinque Paesi del Partenariato (Georgia, Azerbaigian, Bielorussia,
    Ucraina e Moldavia).

    Il direttore russo del Centro per gli Studi sull'Integrazione della
    Banca per lo Sviluppo Eurasiatico, Yevgeny Vinokurov ha detto che
    l'entrata nell'Unione Doganale causerebbe un balzo del 4% del PIL e
    uno sconto significativo sulle forniture di gas, circa 140 milioni di
    dollari all'anno, secondo le previsioni. Inoltre, i lavoratori armeni
    emigrati in Russia potranno inviare le proprie rimesse in patria a
    condizioni agevolate. Il fatto che l'Armenia non condivida confini
    territoriali con altri membri dell'Unione potrebbe giocare a favore di
    Yerevan, che non dovrà prendere misure speciali per i propri confini.
    Tuttavia, a sentire Eduard Sandoyan, economista ed ex-ministro delle
    finanze armeno, il Paese potrebbe soffrire una flessione del 10% nelle
    entrate statali. Un membro dell'amministrazione presidenziale russa ha
    comunicato che le roadmap per l'accesso all'Unione Doganale saranno
    preparate ad hoc per Kyrgyzstan e Armenia all'inizio del 2014.

    In questo scenario di incertezza, di ricerca di identità tipica del
    ventunesimo secolo e dei paesi che escono da una travagliata
    transizione, diversi tipi di nazionalismo stanno avanzando nel Paese.
    Un primo tipo è sceso in piazza subito dopo le dichiarazioni del
    presidente Sargsyan del 3 settembre. Le proteste di alcuni attivisti
    si erano accodate a un sit-in davanti al municipio di Yerevan, in un
    tentativo di fare pressione sulle autorità governative cittadine e,
    simbolicamente, statali per diverse questioni aperte. Due mesi dopo,
    il 5 novembre, una protesta anti-governativa ha visto gli scontri
    violenti tra polizia e un altro gruppo di nazionalisti che inneggiava
    alla rivoluzione. Il leader del gruppo, Shant Harutiunyan, insieme ad
    alcune dozzine di individui, è avanzato armato di bastoni e piccoli
    esplosivi verso il Palazzo presidenziale di Yerevan. Inevitabili gli
    scontri con la polizia, che ha reagito col pugno duro, troppo duro,
    secondo alcuni osservatori. 38 tra i facinorosi sono stati fermati
    dalla polizia e a oggi in 14 rimangono in prigione. «Noi siamo
    rivoluzionari, non vogliamo spargimenti di sangue» ha dichiarato
    Harutiunyan ai giornalisti prima degli scontri. Il suo movimento non è
    affiliato ad alcun partito politico riconosciuto. L'opposizione
    ufficiale allo strapotere di Sargsyan, presidente dal 2008, non ha
    colto il segnale nazionalista inviato dal Tseghakron, il partito di
    Harutiunyan. Il Congresso Nazionale Armeno, coalizione di opposizione
    che aveva organizzato le proteste di Yerevan del 2011, ha puntato il
    dito contro le politiche governative. Gli arrestati non sono
    considerati 'prigionieri politici' dagli altri membri
    dell'opposizione. I manifestanti potrebbero rimanere in carcere per
    diversi anni, ma la loro situazione giuridica è al momento incerta,
    visto che non sono stati presi provvedimenti oltre la custodia. Al
    parlamentare Nikol Pashninyan non è stato permesso di visitare in
    prigione i manifestanti anti-governativi arrestati dopo le proteste.
    Pashninyan aveva già incontrato i detenuti e Harutiunyan gli aveva
    comunicato di essere stato vittima di percosse da parte del capo della
    polizia.

    Se da una parte gli scontri tra polizia e l'opposizione
    extra-parlamentare continuano, la linea ufficiale anti-Sargsyan si
    declina sul conflitto in Karabakh. L'ex-presidente armeno Levon
    Ter-Petrosian continua la sua battaglia contro Sargsyan, dichiarando
    che «ogni giorno che passa con lui alla presidenza è una sconfitta per
    l'Armenia e l'Artsakh (nome armeno per il Karabakh, ndr)». Il
    presidente Sargsyan, intanto, ha raggiunto un'intesa con Ilham Aliyev,
    presidente del vicino Azerbaigian, per un incontro al fine di
    continuare i negoziati per il Karabakh. Da quasi due anni non si
    verificano incontri a livello presidenziale, un distacco che ha creato
    diverse tensioni nella regione montagnosa contesa tra i due Paesi.
    Contestualmente all'annuncio del prossimo incontro, non sono mancate
    le azioni di ostilità diplomatica da parte di entrambi i presidenti.
    Durante un incontro con il presidente turco, Abdullah Gül, Aliyev ha
    accusato l'Armenia di «impedire la soluzione del conflitto, perché
    cerca di imporre condizioni ingiuste e inaccettabili». Nella stessa
    giornata di mercoledì, Sarksyan ha visitato il Karabakh, in una chiara
    missione di affermazione della presenza dell'Armenia in Karabakh.
    Mentre il presidente azero era in Turchia, il suo omologo armeno ha
    visitato l'esercito dell'autoproclamata Repubblica-enclave. Queste
    tensioni, nel periodo precedente all'incontro hanno portato molti
    analisti a sostenere che il summit tra i due presidenti sarà un nuovo
    nulla di fatto.

    Ieri, 13 novembre, l'ordine del giorno del Parlamento armeno prevedeva
    un voto sul riconoscimento della Repubblica del Karabakh, ma solo
    dieci parlamentari hanno votato a favore. Gli altri 120 deputati non
    hanno partecipato al voto. La proposta era stata avanzata da un gruppo
    di opposizione al governo, che denota forti tendenze nazionaliste. Non
    è chiaro quanto forti siano le posizioni nazionaliste all'interno
    dell'opposizione armena e quanto questa sia variegata. La presenza di
    piccole forze extra-parlamentari pronte alla 'rivoluzione' è un
    segnale che denota un'instabilità interna. La prima preoccupazione del
    presidente armeno a nove mesi dalla sua elezione è ancora quella di
    consolidare il proprio potere.

    http://lastampa.it/2013/11/14/edizioni/verbania/cronaca/dallossola-allarmenia-un-viaggio-studio-per-diventare-costruttori-di-pace-8pMIyMvDXAE5qfa7xNZAAP/pagina.html



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