Announcement

Collapse
No announcement yet.

L'anima Armena in un poeta del novecento vissuto in Italia: Hrand Na

Collapse
X
 
  • Filter
  • Time
  • Show
Clear All
new posts

  • L'anima Armena in un poeta del novecento vissuto in Italia: Hrand Na

    Grottaglie in rete, Italia
    21 ott 2013


    L'ANIMA ARMENA IN UN POETA DEL NOVECENTO VISSUTO IN ITALIA: HRAND NAZARIANTZ

    [The soul of a 20th century Armenian poet who lived in Italy: Hrand Nazariantz]


    Di Pierfranco Bruni

    Tra l'Armenia e l'Italia la cultura Occidentale si intreccia con la
    tradizione Armena e trova nella letteratura un punto di raccordo
    fondamentale. Si è portato l'Armenia nel sangue. Un poeta cifra le
    parole sempre con il cuore. Le terre desolate o lontane. Le terre
    deserte o richiamanti nostalgie.

    La sua Armenia ha le ferite mai cucite. Ferite che diventano
    strozzature di cui la storia testimonia le rughe. E in questa sua
    Armenia cristiana che è stata devastata dai Turchi e dai comunisti ci
    sono anche i segni di una cultura che rimanda alla civiltà italiana.
    Un poeta, dunque. Hrand Nazariantz. Nato a Costantinopoli l'8 gennaio
    del 1866 e morto il 25 gennaio del 1962 a Conversano (Bari). Giunge a
    Bari grazie alla cantante e ballerina Lena, ovvero, Maddalena De
    Cosmis di Casamassima, diventata sua sposa nel Consolato italiano di
    Costantinopoli nel 1913.

    Dopo il matrimonio arriva, come esule, a Bari. Comunque il suo
    interesse per la cultura letteraria italiana era nato in Armenia.
    Studioso di Futurismo e di quella letteratura italiana che porta i
    nomi di Marinetti, Govoni, Lucini, Verga, Pirandello.

    Traduce in lingua armena Libero Altomare, Enrico Cardile, Torquato
    Tasso. Significativo resta il suo rapporto con Filippo Tommaso
    Martinetti. Con Marinetti intrattiene un rapporto epistolare a
    cominciare dal 1911 e la sua amicizia con Marinetti lo porta a
    scrivere un importante saggio dal titolo: `F.T. Marinetti e il
    futurismo'. Un saggio che resta un punto centrale nella storia critica
    del Futurismo e da Bari Nazariantz costituisce un punto di grande
    rilevanza in una lettura innovativa dei rapporti letterari tra
    l'Oriente e l'Occidente.

    Le radici di Marinetti, la sua nascita ad Alessandria d'Egitto, sono
    dati di iniziale riflessione nel poeta armeno tanto che lo portano a
    studiare i legami mediterranei tra la letteratura armena e quella
    italiana in uno scavo che toccherà autori che segneranno il Novecento
    europeo come Ungaretti (nato anch'egli ad Alessandria d'Egitto), Ada
    Negri, Lionello Fiumi. Poeti con i quali intaglia una relazione
    metafisica tra il suo scrivere e la parola vissuta di un
    esistenzialismo tagliato tra le corde di una testimonianza
    linguisticamente dentro l'Ermetismo.

    Ma il `suo' Futurismo ha radici nella cultura certamente occidentale
    ma si filtra con l'esperienza di autori e di testi che si sono spesso
    confrontati con il Mediterraneo. Lo stesso suo saggio su Marinetti ha
    delle coordinate che rimandano ad una filosofia che trae la sua
    spirale dalla vita vissuta come avanguardia, ovvero come costante
    messa in discussione di quella tradizione che resta nell'espressione
    problematica ma si decifra nei linguaggi.







    D'altronde la serata Futurista al Teatro Piccinni di Bari del 26
    settembre del 1922 porta sulla scena la parola come azione partendo da
    una con testualità che è quella del `riflesso' dentro lo specchio
    parlante dei linguaggi. Ma Nazariantz sembra dividere le vie della
    letteratura proprio sul pianto strutturale o contestuale. Da una parte
    la nostalgia che diviene `dono espressivo' dall'altro il peso della
    parola che vive di rivoluzioni nella (e della) lingua.

    Il suo intervento critico è dentro la letteratura e il più delle volte
    diventa un manifesto di poesia. La sua raccolta di versi del 1952 `Il
    ritorno dei poeti' va verso questo indirizzo che si apre al
    superamento di una splendida intuizione che si legge in due titoli che
    mostrano tutta la loro eleganza: `Paradiso delle Ombre' e `Aurora
    anima di bellezza'. Certo, la sua Armenia è un cammino nella diaspora,
    nella nostalgia e nel sangue. Ma la sua poesia che vive di questi
    incroci trova nella meditazione dei `crocifissi', ovvero nell'aurora
    della cristianità, la metafora più marcata di un intero viaggio umano
    e letterario.

    Ma l'Oriente resta il suo viaggio interiore. Vi rimane e permane anche
    quando la sua rivista `Graal' pone a confronto il senso cosmico e la
    tragedia come costante quotidianità del vivere. È, comunque, il
    paradiso metaforizzato dei fiori e del deserto che tocca i labirinti
    del suo esistere dentro la parola e dentro la poesia che è linguaggio
    dell'anima. La sua Armenia è diaspora ma anche favola e leggenda. È il
    canto dell'arte trascinato nel dolore e nell'esilio. L'esilio non si
    consumerà e non si ritornerà dall'esilio. Chi l'esilio lo ha vissuto
    resterà sempre un viandante disperso e ritrovato e il poeta Nazariantz
    vive l'esilio come la sua vera `abitazione'.

    Il suo canto armeno è il canto di una Armenia solcata tra le strade
    dell'Occidente cristiano che non può fare a meno di confrontarsi con
    una storia ferita e con la nostalgia scavata nell'anima e nel
    pensiero. L'esilio di Nazariantz ha il taglio: `Tu sapessi, fratello,
    come è triste/l'essere al mondo,/soli vivere e senza focolare,/non
    sapere ove poggiar la testa/e volgere la propria tristezza/verso I
    silenzi di Dio, camminare/stancamente senza posa, ovunque estranei...'.
    Il sentirsi estranei o stranieri è un sentimento che nella diaspora
    del viandante Nazariantz è una dimensione ontologica in cui il
    concetto di esilio è metafisica dell'anima in un sapere che
    costantemente si ripete: `...ovunque esiliati,/sapendo vana ogni
    ribellione/e vana ogni preghiera...'.

    Versi che vivono nel sacrificio della Croce. Nazariantz ha nella sua
    segnatura cristiana il rapporto dialogico tra la `terra e le `stele'
    in una sospensione che è religiosità verso l'aurora. Nella sua
    diaspora il poeta trova l'aurora superando il supplizio del buio. Così
    l'Oriente e l'Occidente si ritrovano nella loro archeologia della
    conoscenza, in quel sapere dell'anima che vive la libertà e il sogno.

    Ma la poesia è religione. Nel pensare di Nazariantz sono
    incancellabili queste chiose: `Chi crea per l'effimero soggiace
    all'effimero. Il vero Poeta si distingue perché la sua vita è il
    migliore dei suoi poemi'. Alla ricerca di un ulissismo mai vissuto e
    mai volutamente cercato, senza il lascito di profezie altre,
    Nazariantz, pur nella sua diaspora e nel suo abitare l'esilio
    (zambraniano), non smette di viversi dentro la luce della spera e
    dell'attesa e con le rughe di una ironia che solcano i suoi passi.

    La sua poesia è un misterioso incanto che si incastra nella storia di
    un uomo che ha vissuto l'Occidente negli scavi di un Oriente che è
    rimasta sempre il suo paese e la sua appartenenza. Ha portato con sé i
    fiori del deserto, la libertà della tradizione, la rivoluzione
    dell'arte come nostalgia e come gioco consapevole che l'arte vive
    sempre nel silenzio, nella solitudine e nella pazienza dell'anima
    grande che fa i poeti e gli uomini unici. Un poeta dell'anima tra i
    silenzi custoditi e le voci raccolte. Un poeta metafisico che ha
    interpretato il futurismo con le alchimie della memoria.

    Ma è tutta l'anima Armena che vive nel linguaggio di Nazariantz: lo
    strazio, la diaspora la religiosità, l'incontro. Un viaggio in una
    identità mai perduta.

    http://www.grottaglieinrete.it/public/post/lanima-armena-in-un-poeta-del-novecento-vissuto-in-italia-hrand-nazariantz-8963.asp#sthash.tVNNC0X6.dpbs

Working...
X