Sondrio a teatro : 'Una Cena armena' e 'Alice undergroud'
5 Febbraio 2014 Cultura e spettacoli
Al centro Sonya Orfalian, alla sua destra l'assessore Marina Cotelli,
alla sua sinistra Lorenzo Minniti consulente teatrale,
Una cena armena
Teatro Don Vittorio Chiari delle grandi occasioni per l'ultima pièce
teatrale di Paola Ponti per la regia di Danilo Nigrelli, "Una cena
Armena", presentata in un momento particolare dedicato al mondo del
dolore collettivo di un popolo privato di qualsiasi diritto e dignità
umana.Due grandi protagonisti come lo stesso Danilo Nigrelli e la
deliziosa Rosa Diletta Rossi. Da una parte il cinquantenne Aram,
figlio della diaspora del popolo armeno annientato dal popolo turco,
burbero, austero, incattivito dalla vita, ossessionato però dalle
tradizioni millenarie di una cucina per troppo tempo dimenticata, come
le sue tradizioni, la sua storia. Dall'altra, la dolce Nina, una
ragazzina sbarazzina e sognatrice, in cerca di se stessa. Essenziale
la scenografia, vergata da coriandoli di luce e di sangue, rosso cupo
come il muro su cui si staglia il protagonista maschile nel finale in
una rituale danza popolare. E la narrazione va a scatti come un
coltello serramanico che penetra nelle viscere con accanimento
silenzioso, ma irrefrenabile, come la certezza di riscoprire infine le
proprie origini proprio attorno al focolare. Attorno alla lievitazione
subliminale di sapori e profumi di un'epoca dimenticata o messa sotto
silenzio, chiusa ermeticamente nella stanza più buia della nostra
coscienza. E il pubblico presente in sala ha mostrato di apprezzare a
fondo lo sforzo narrativo di due personaggi che si cozzano con
violenza, si scontrano con rabbia, si scrutano e si studiano con
circospezione, eppure infondo, disperatamente si cercano
aggrappandosi all'unico amaro fardello di antiche storie che
rievocano un terribile genocidio di cui tutti sapevano, ma nessuno ha
osato intervenire. Presente in sala la straordinaria testimone della
cultura armena come la scrittrice Sonya Orfalian, anche lei figlia
della diaspora del suo popolo che l'ha condotta prima in Libia e poi a
Roma. Orfalian che rivendica il suo nome ispirato ad una vecchia città
ormai sepolta nella polvere, l'armena Ulfa, ha ritrovato la sua
storia, attraverso i mille racconti dei pochi sopravvissuti, ma
soprattutto con il ritorno disperato ai sapori e agli odori della sua
prima infanzia. Encomiabile la sua composta pacatezza con cui ha
raccontato con un'altra grande esponente del popolo armeno, Antonia
Arslan, le efferatezza e la brutalità di un annientamento sistematico
della propria gente. Il testo teatrale di Danilo Nigrelli, infatti,
prende molto dalle note bibliografiche della stessa Orfalian,
consulente di rango in una pièce che ha fatto riflettere.
'Alice undergroud'
Un caleidosopico gioco di colori e di emozioni "Alice undergroud",
l'ultima fortunata pièce del Sondrio Teatro, liberamente ispirata al
capolavoro di Lewis Carrol "Alice nel paese delle meraviglie", da due
maghi della tessitura scenica come Ferdinando Bruni e Francesco
Frongia. Una meravigliosa macchina tridimensionale, proiezione
onirica del mondo adolescenziale che si colora di splendidi acquerelli
ispirati a Matisse e Van Gogh, che si animano scivolando oltre le
quinte in un gioco di luci e sfumature in cui lo stesso spettatore è
proiettato suo malgrado. E allora eccolo il libro aperto di "Alice nel
paese delle meraviglie", dove bazzicano il Bianconiglio in guanti
bianchi, panciotto e tanto d'orologio e la perfida regina di cuori,
il bruco e la lepre marzolina, il magico unicorno e il cappellaio più
matto più d'un cavallo imbizzarrito, in un gioco di dimensioni
gulliveriane dilatate o immicronite da pozioni e morsi di allucenogene
muscarie che catapultano nell'immaginario di uno specchio distorto, in
un mondo "underground", sotterraneo come il sottobosco di una mente
voltata a una follia immaginativa senza briglie. In scena lo
smarrimento tipico dell'adolescenza di una straordinaria Elena Russo,
innocente bambina incantata, mai incatramata da un labirinto infinito
di proiezioni magiche in tutto si materializza con le nostre ansie, le
nostre paure, ma anche i nostri più inconsci desideri. Di grande
livello gli altri polintepreti, Ida Marinelli e Matteo de Mojana con
lo stesso Ferdinando Bruni, che si sono divertiti da matti a
occhieggiare da improbabili quinte a mezz'aria, stiracchiati tra le
pieghe dei quadri animati. Ferdinando Bruni e Francesco Frongia si
sono sbizzarriti alla grande a ricreare in una sorta di cartoon
olografico il bisogno visionario di entrare nel cinemascope anamorfico
dei grandi colossal holliwoodiani. Un tuffo tra meravigliosi
acquerelli vivi, con piccole finestre aperte sull'infinito della
nostra mente che si aprono e chiudono immergendoci in un mondo
evanescente di forme e colori, proiezione di un inconscio mai stato
così consapevole della propria difformità in uno spazio senza tempo.
Un lunghissimo applauso del folto uditorio ha confermato il felice
successo dello spettacolo. Lunedì prossimo 27 gennaio, alla stessa
ora, al Don Vittorio Chiari "Una cena armena", di Danilo Nigrelli che
cade nel giorno della Memoria, che farà riflettere su un dramma
sottaciuto o dimenticato del genocidio del popolo armeno.
Nello Colombo
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From: Baghdasarian
5 Febbraio 2014 Cultura e spettacoli
Al centro Sonya Orfalian, alla sua destra l'assessore Marina Cotelli,
alla sua sinistra Lorenzo Minniti consulente teatrale,
Una cena armena
Teatro Don Vittorio Chiari delle grandi occasioni per l'ultima pièce
teatrale di Paola Ponti per la regia di Danilo Nigrelli, "Una cena
Armena", presentata in un momento particolare dedicato al mondo del
dolore collettivo di un popolo privato di qualsiasi diritto e dignità
umana.Due grandi protagonisti come lo stesso Danilo Nigrelli e la
deliziosa Rosa Diletta Rossi. Da una parte il cinquantenne Aram,
figlio della diaspora del popolo armeno annientato dal popolo turco,
burbero, austero, incattivito dalla vita, ossessionato però dalle
tradizioni millenarie di una cucina per troppo tempo dimenticata, come
le sue tradizioni, la sua storia. Dall'altra, la dolce Nina, una
ragazzina sbarazzina e sognatrice, in cerca di se stessa. Essenziale
la scenografia, vergata da coriandoli di luce e di sangue, rosso cupo
come il muro su cui si staglia il protagonista maschile nel finale in
una rituale danza popolare. E la narrazione va a scatti come un
coltello serramanico che penetra nelle viscere con accanimento
silenzioso, ma irrefrenabile, come la certezza di riscoprire infine le
proprie origini proprio attorno al focolare. Attorno alla lievitazione
subliminale di sapori e profumi di un'epoca dimenticata o messa sotto
silenzio, chiusa ermeticamente nella stanza più buia della nostra
coscienza. E il pubblico presente in sala ha mostrato di apprezzare a
fondo lo sforzo narrativo di due personaggi che si cozzano con
violenza, si scontrano con rabbia, si scrutano e si studiano con
circospezione, eppure infondo, disperatamente si cercano
aggrappandosi all'unico amaro fardello di antiche storie che
rievocano un terribile genocidio di cui tutti sapevano, ma nessuno ha
osato intervenire. Presente in sala la straordinaria testimone della
cultura armena come la scrittrice Sonya Orfalian, anche lei figlia
della diaspora del suo popolo che l'ha condotta prima in Libia e poi a
Roma. Orfalian che rivendica il suo nome ispirato ad una vecchia città
ormai sepolta nella polvere, l'armena Ulfa, ha ritrovato la sua
storia, attraverso i mille racconti dei pochi sopravvissuti, ma
soprattutto con il ritorno disperato ai sapori e agli odori della sua
prima infanzia. Encomiabile la sua composta pacatezza con cui ha
raccontato con un'altra grande esponente del popolo armeno, Antonia
Arslan, le efferatezza e la brutalità di un annientamento sistematico
della propria gente. Il testo teatrale di Danilo Nigrelli, infatti,
prende molto dalle note bibliografiche della stessa Orfalian,
consulente di rango in una pièce che ha fatto riflettere.
'Alice undergroud'
Un caleidosopico gioco di colori e di emozioni "Alice undergroud",
l'ultima fortunata pièce del Sondrio Teatro, liberamente ispirata al
capolavoro di Lewis Carrol "Alice nel paese delle meraviglie", da due
maghi della tessitura scenica come Ferdinando Bruni e Francesco
Frongia. Una meravigliosa macchina tridimensionale, proiezione
onirica del mondo adolescenziale che si colora di splendidi acquerelli
ispirati a Matisse e Van Gogh, che si animano scivolando oltre le
quinte in un gioco di luci e sfumature in cui lo stesso spettatore è
proiettato suo malgrado. E allora eccolo il libro aperto di "Alice nel
paese delle meraviglie", dove bazzicano il Bianconiglio in guanti
bianchi, panciotto e tanto d'orologio e la perfida regina di cuori,
il bruco e la lepre marzolina, il magico unicorno e il cappellaio più
matto più d'un cavallo imbizzarrito, in un gioco di dimensioni
gulliveriane dilatate o immicronite da pozioni e morsi di allucenogene
muscarie che catapultano nell'immaginario di uno specchio distorto, in
un mondo "underground", sotterraneo come il sottobosco di una mente
voltata a una follia immaginativa senza briglie. In scena lo
smarrimento tipico dell'adolescenza di una straordinaria Elena Russo,
innocente bambina incantata, mai incatramata da un labirinto infinito
di proiezioni magiche in tutto si materializza con le nostre ansie, le
nostre paure, ma anche i nostri più inconsci desideri. Di grande
livello gli altri polintepreti, Ida Marinelli e Matteo de Mojana con
lo stesso Ferdinando Bruni, che si sono divertiti da matti a
occhieggiare da improbabili quinte a mezz'aria, stiracchiati tra le
pieghe dei quadri animati. Ferdinando Bruni e Francesco Frongia si
sono sbizzarriti alla grande a ricreare in una sorta di cartoon
olografico il bisogno visionario di entrare nel cinemascope anamorfico
dei grandi colossal holliwoodiani. Un tuffo tra meravigliosi
acquerelli vivi, con piccole finestre aperte sull'infinito della
nostra mente che si aprono e chiudono immergendoci in un mondo
evanescente di forme e colori, proiezione di un inconscio mai stato
così consapevole della propria difformità in uno spazio senza tempo.
Un lunghissimo applauso del folto uditorio ha confermato il felice
successo dello spettacolo. Lunedì prossimo 27 gennaio, alla stessa
ora, al Don Vittorio Chiari "Una cena armena", di Danilo Nigrelli che
cade nel giorno della Memoria, che farà riflettere su un dramma
sottaciuto o dimenticato del genocidio del popolo armeno.
Nello Colombo
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