Magazine Roma- Italia
28 dic 2013
Tra Europa e Asia, reportage dall'Armenia
di Antonio Carbone
La saponetta Camay nel bagno della guest house è il segno che ti
aspetti: stai tornando indietro nel tempo per quanto fra terremoti e
devastazioni, qui a Yerevan, si è sempre demolito e ricostruito con
troppa disinvoltura. Sarà anche per questo che la storia della Armenia
spesso è difficile considerarla al netto della nostalgia. L'Ararat, il
monte gentile ma anche molto capriccioso, non si fa vedere stamattina
nonostante alle nove l'aria sia ancora fresca e sulla città non si è
ancora riversato quello strato lattiginoso di afa che occlude
l'orizzonte. Dalle case - più che case, rustici villini con davanti
pergolati di vite - qualcuno esce per andare a lavoro. Passano diversi
Suv e fuoristrada ma soprattutto tante Lada scassate. L'atmosfera è
quella rarefatta delle città dell'Est ancora plasmate secondo i canoni
dell'ex Unione Sovietica. Rarefazione che, è questo il timore, sembra
avvolgere pure le menti delle persone. Ma non si può dire che non
siano ospitali. Soprattutto verso di noi. Arrivare in un luogo in cui
i Romani ci sono già stati presenta i suoi vantaggi. Deve essere
questo il motivo per cui non osi andare oltre i confini delineati da
Strabone nei suoi libri di geografia. Il Museo del genocidio è una
tappa obbligata. All'interno, le foto di Armin Wegner documentano
tutto con precisione e allora perché i Turchi si ostinano a negare?
Tardo pomeriggio davanti al mercato coperto, in fondo a via Mashtots.
Il calore del sole non accenna a diminuire. Luce color dell'ambra.
Afrore di formaggio che fermenta per il caldo misto al profumo di
spezie e di frutta secca. Due uomini parlano. Uno ha una busta in
mano. Contiene del pane (lavash). Del resto è quasi ora di cena.
Iconografia familiare. Insieme all'immagine della Madonna col bambino
appesa alle pareti delle prime case visitate, tii dà la sensazione di
essere tornato. Nostos. Ma ci vorrà ancora del tempo prima di poterla
vivere pienamente questa sensazione.
A cena la presenza del pianista contribuisce non poco a conferire
all'ambiente l'aspetto di un ristorante di una nave crociera di altri
tempi. All'uscita il cameriere, dal viso simile a quello di Charles
Aznavour, aprendoci la porta intona per noi Torna a Surriento. Quello
dell'aneto è il primo sapore che ti porti dietro insieme ai semi che
ti sono rimasti tra i denti. Poi, sulla terrazza, finalmente comincia
ad arrivare un po' di brezza e il corpo si rilassa. Solo a quest'ora
hai la percezione di essere in terra caucasica. Prima l'aria, dilatata
dal caldo, te lo impedisce. Ripensi al viaggio di Tiridate alla volta
di Roma, per ricevere da Nerone l'investitura di re dell'Armenia, di
cui ti ha parlato la guida all'interno del museo. Durò nove mesi, il
tempo di una parto, accompagnato da tremila cavalieri e da alcuni
Magi, tant'è che c'è chi ha sostenuto che lo scopo del viaggio fosse
anche quello di inziare l'imperatore romano al culto di Mitra. Non ti
importa capire quanto sia attendibile questa ipotesi. Per il momento è
sufficiente ad accenderti l'immaginazione: non vedi l'ora di
immergerti nel paesaggio rurale e nella asciutta spiritualità dei suoi
monasteri arroccati su monti impervi, spesso vere fortezze, nati dopo
che l'intero paese adottò il Cristianesimo come religione di stato.
Nella notte l'ululato del cane suona come un avvertimento. Fai
attenzione: l'errore da evitare, oltre a quello della nostalgia, è di
predisporsi a vivere la fascinazione per l'arcaico acriticamente.
Il giorno dopo, due donne arrancano in bicicletta su una strada in
salita. Sanno che le aspetta una galleria, la più lunga dell'Armenia?
Siamo sulla strada che da Dilijan - letteralmente lingua dolce - porta
al lago di Sevan. Dal monastero di Hayravank si può avere un'idea di
quanto sia grande, il più grande di tutta l'aria transcaucasica. Sulla
spiaggia sono già arrivate le prime famiglie alla ricerca di un po' di
refrigerio. Dalle auto scaricano le vettovaglie. Si avverte odore di
carbonella. C'è il tempo di un pranzo frugale a base di pesce di acqua
dolce alla brace. Poi si riparte per Vardenis, facendo una sosta a
Noratus, il cimitero con il maggior numero di croci di pietra
(khachkar) di tutta l'Armenia.
Ci fermiamo a ottanta chilometri dalla frontiera con l'Azerbaijan,
chiusa come quella con la Turchia, dopo la guerra per il
Nagorno-Karabakh. Quando c'era ancora l'Unione Sovietica, Vardenis era
un centro industriale importante ora gli uomini per lavorare sono
costretti ad andare in Russia, facilitati dalla conoscenza della
lingua. Qui il russo tutti lo parlano. Azat è un villaggio ancora più
vicino alla frontiera. Un tempo era abitato da molti Azeri, poi
costretti a fuggire. Altrettanto fecero gli Armeni che vivevano
dall'altra parte. Ci fu uno scambio di case. In quelle che ora sono
abitate dagli Armeni, una volta c'erano gli Azeri. Molte però sono
rimaste disabitate da allora. C'era anche una moschea che è stata
naturalmente abbandonata dopo la fuga. Ma non è stata distrutta.
Dicono a sottolineare il trattamento contrario che hanno avuto gli
Armeni a loro volta costretti a scappare. Noi gli demmo il tempo di
portarsi via le masserizie, loro no, sembra questo che vogliono
intendere.
Una delle prime cose che capisci, attraversando villaggi del genere, è
il livello di guardia che col tempo si finisce per acquisire: un uomo
ci viene incontro; dai pochi gesti che compie, sembra quasi che voglia
sbarrarci la strada per impedirci di andare oltre e invece si tratta
del direttore della scuola rurale con cui abbiamo appuntamento che ci
chiede solo di fermarci perché siamo arrivati proprio davanti
all'edificio. Ci fa entrare e ce lo fa visitare cominciando dalla
palestra. Ci racconta che è stata l'associazione `Land and culture
organization' a finanziare i lavori di ristrutturazione. E'
frequentata da ragazzi dai 6 ai 17 anni. Studiano russo e inglese. Chi
vuole continuare deve andare al collegio di Vardenis. Proseguiamo il
giro del villaggio in compagnia del direttore che di tanto in tanto
saluta qualcuno che lavora nei campi. Si avverte la fretta di finire
il prima possibile i lavori, in modo che l'arrivo dell'inverno non li
colga impreparati. Davanti alle case, dai tetti in lamiera o in
eternit addirittura, sono lasciate ad asciugare cataste di letame
(tezek) che sarà usato come combustibile nei giorni di gelo e di neve.
Poi il pranzo a casa del direttore. Scopriamo dalla presenza delle
arnie che fa anche l'apicoltore. Disinfetta le api con aglio e
cipolla. Dopo qualche bicchiere si scioglie. Diventa un'altra persona.
Brinda all'amicizia. Poi propone ancora un altro brindisi all'amore
celestiale. Intona un canto. Mani alzate, sguardo verso il cielo. Voce
profonda. Ti emoziona e nello stesso ti procura anche un brivido. Ma
oramai la lezione l'hai imparata, per quale altro motivo ti ostini a
battere le solite strade? Bisogna tenersi alla larga da qualsiasi
richiamo mitologico alla terra e al sangue. Anche questo vuol dire
decostruire la cultura contadina e con essa, la figura del padre. Se
proprio non ci si riesce, sforzarsi almeno di addolcirlo.
Dalle case vicine arrivano altri uomini e si uniscono alla tavola.
Altri brindisi con la vodka nonostante fuori adesso ci siano più di 40
gradi. Non ti puoi sottrarre. Il rifiuto potrebbe offendere o
addirittura essere equivocato. Gusti da femmine che non caso non
stanno a tavola. Si vergognano, questa è la scusa che adducono quando
proviamo a farle sedere. Si rivela inutile insistere. La moglie del
direttore e nella veranda davanti la casa con i figli. Nel locale
attiguo altre due donne preparano il pane. Una lo stende e poi lo
lancia all'altra che lo pone nel forno interrato. Alla fine ci
cuoceranno anche il pollo e le patate, infilzati nello spiedo.
Nell'attesa ci offrono del formaggio fresco da mangiare avvolto nel
pane appena sfornato. Anush, è l'espressione che si usa alla fine del
pranzo per dire che si è apprezzato. Barev corrisponde invece al
nostro saluto.
MUSEO DEL GENOCIDIO DI YEREVAN: le fotografie di Armin Wegner
SAPERNE DI PIU': storia di mezza estate. Nagorno-Karabakh. La guerra dimenticata
COSA ACCADE IN ARMENIA: Osservatorio Balcani e Caucaso
http://magazineroma.it/2013/12/tra-europa-e-asia-reportage-dall-armenia
From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress
28 dic 2013
Tra Europa e Asia, reportage dall'Armenia
di Antonio Carbone
La saponetta Camay nel bagno della guest house è il segno che ti
aspetti: stai tornando indietro nel tempo per quanto fra terremoti e
devastazioni, qui a Yerevan, si è sempre demolito e ricostruito con
troppa disinvoltura. Sarà anche per questo che la storia della Armenia
spesso è difficile considerarla al netto della nostalgia. L'Ararat, il
monte gentile ma anche molto capriccioso, non si fa vedere stamattina
nonostante alle nove l'aria sia ancora fresca e sulla città non si è
ancora riversato quello strato lattiginoso di afa che occlude
l'orizzonte. Dalle case - più che case, rustici villini con davanti
pergolati di vite - qualcuno esce per andare a lavoro. Passano diversi
Suv e fuoristrada ma soprattutto tante Lada scassate. L'atmosfera è
quella rarefatta delle città dell'Est ancora plasmate secondo i canoni
dell'ex Unione Sovietica. Rarefazione che, è questo il timore, sembra
avvolgere pure le menti delle persone. Ma non si può dire che non
siano ospitali. Soprattutto verso di noi. Arrivare in un luogo in cui
i Romani ci sono già stati presenta i suoi vantaggi. Deve essere
questo il motivo per cui non osi andare oltre i confini delineati da
Strabone nei suoi libri di geografia. Il Museo del genocidio è una
tappa obbligata. All'interno, le foto di Armin Wegner documentano
tutto con precisione e allora perché i Turchi si ostinano a negare?
Tardo pomeriggio davanti al mercato coperto, in fondo a via Mashtots.
Il calore del sole non accenna a diminuire. Luce color dell'ambra.
Afrore di formaggio che fermenta per il caldo misto al profumo di
spezie e di frutta secca. Due uomini parlano. Uno ha una busta in
mano. Contiene del pane (lavash). Del resto è quasi ora di cena.
Iconografia familiare. Insieme all'immagine della Madonna col bambino
appesa alle pareti delle prime case visitate, tii dà la sensazione di
essere tornato. Nostos. Ma ci vorrà ancora del tempo prima di poterla
vivere pienamente questa sensazione.
A cena la presenza del pianista contribuisce non poco a conferire
all'ambiente l'aspetto di un ristorante di una nave crociera di altri
tempi. All'uscita il cameriere, dal viso simile a quello di Charles
Aznavour, aprendoci la porta intona per noi Torna a Surriento. Quello
dell'aneto è il primo sapore che ti porti dietro insieme ai semi che
ti sono rimasti tra i denti. Poi, sulla terrazza, finalmente comincia
ad arrivare un po' di brezza e il corpo si rilassa. Solo a quest'ora
hai la percezione di essere in terra caucasica. Prima l'aria, dilatata
dal caldo, te lo impedisce. Ripensi al viaggio di Tiridate alla volta
di Roma, per ricevere da Nerone l'investitura di re dell'Armenia, di
cui ti ha parlato la guida all'interno del museo. Durò nove mesi, il
tempo di una parto, accompagnato da tremila cavalieri e da alcuni
Magi, tant'è che c'è chi ha sostenuto che lo scopo del viaggio fosse
anche quello di inziare l'imperatore romano al culto di Mitra. Non ti
importa capire quanto sia attendibile questa ipotesi. Per il momento è
sufficiente ad accenderti l'immaginazione: non vedi l'ora di
immergerti nel paesaggio rurale e nella asciutta spiritualità dei suoi
monasteri arroccati su monti impervi, spesso vere fortezze, nati dopo
che l'intero paese adottò il Cristianesimo come religione di stato.
Nella notte l'ululato del cane suona come un avvertimento. Fai
attenzione: l'errore da evitare, oltre a quello della nostalgia, è di
predisporsi a vivere la fascinazione per l'arcaico acriticamente.
Il giorno dopo, due donne arrancano in bicicletta su una strada in
salita. Sanno che le aspetta una galleria, la più lunga dell'Armenia?
Siamo sulla strada che da Dilijan - letteralmente lingua dolce - porta
al lago di Sevan. Dal monastero di Hayravank si può avere un'idea di
quanto sia grande, il più grande di tutta l'aria transcaucasica. Sulla
spiaggia sono già arrivate le prime famiglie alla ricerca di un po' di
refrigerio. Dalle auto scaricano le vettovaglie. Si avverte odore di
carbonella. C'è il tempo di un pranzo frugale a base di pesce di acqua
dolce alla brace. Poi si riparte per Vardenis, facendo una sosta a
Noratus, il cimitero con il maggior numero di croci di pietra
(khachkar) di tutta l'Armenia.
Ci fermiamo a ottanta chilometri dalla frontiera con l'Azerbaijan,
chiusa come quella con la Turchia, dopo la guerra per il
Nagorno-Karabakh. Quando c'era ancora l'Unione Sovietica, Vardenis era
un centro industriale importante ora gli uomini per lavorare sono
costretti ad andare in Russia, facilitati dalla conoscenza della
lingua. Qui il russo tutti lo parlano. Azat è un villaggio ancora più
vicino alla frontiera. Un tempo era abitato da molti Azeri, poi
costretti a fuggire. Altrettanto fecero gli Armeni che vivevano
dall'altra parte. Ci fu uno scambio di case. In quelle che ora sono
abitate dagli Armeni, una volta c'erano gli Azeri. Molte però sono
rimaste disabitate da allora. C'era anche una moschea che è stata
naturalmente abbandonata dopo la fuga. Ma non è stata distrutta.
Dicono a sottolineare il trattamento contrario che hanno avuto gli
Armeni a loro volta costretti a scappare. Noi gli demmo il tempo di
portarsi via le masserizie, loro no, sembra questo che vogliono
intendere.
Una delle prime cose che capisci, attraversando villaggi del genere, è
il livello di guardia che col tempo si finisce per acquisire: un uomo
ci viene incontro; dai pochi gesti che compie, sembra quasi che voglia
sbarrarci la strada per impedirci di andare oltre e invece si tratta
del direttore della scuola rurale con cui abbiamo appuntamento che ci
chiede solo di fermarci perché siamo arrivati proprio davanti
all'edificio. Ci fa entrare e ce lo fa visitare cominciando dalla
palestra. Ci racconta che è stata l'associazione `Land and culture
organization' a finanziare i lavori di ristrutturazione. E'
frequentata da ragazzi dai 6 ai 17 anni. Studiano russo e inglese. Chi
vuole continuare deve andare al collegio di Vardenis. Proseguiamo il
giro del villaggio in compagnia del direttore che di tanto in tanto
saluta qualcuno che lavora nei campi. Si avverte la fretta di finire
il prima possibile i lavori, in modo che l'arrivo dell'inverno non li
colga impreparati. Davanti alle case, dai tetti in lamiera o in
eternit addirittura, sono lasciate ad asciugare cataste di letame
(tezek) che sarà usato come combustibile nei giorni di gelo e di neve.
Poi il pranzo a casa del direttore. Scopriamo dalla presenza delle
arnie che fa anche l'apicoltore. Disinfetta le api con aglio e
cipolla. Dopo qualche bicchiere si scioglie. Diventa un'altra persona.
Brinda all'amicizia. Poi propone ancora un altro brindisi all'amore
celestiale. Intona un canto. Mani alzate, sguardo verso il cielo. Voce
profonda. Ti emoziona e nello stesso ti procura anche un brivido. Ma
oramai la lezione l'hai imparata, per quale altro motivo ti ostini a
battere le solite strade? Bisogna tenersi alla larga da qualsiasi
richiamo mitologico alla terra e al sangue. Anche questo vuol dire
decostruire la cultura contadina e con essa, la figura del padre. Se
proprio non ci si riesce, sforzarsi almeno di addolcirlo.
Dalle case vicine arrivano altri uomini e si uniscono alla tavola.
Altri brindisi con la vodka nonostante fuori adesso ci siano più di 40
gradi. Non ti puoi sottrarre. Il rifiuto potrebbe offendere o
addirittura essere equivocato. Gusti da femmine che non caso non
stanno a tavola. Si vergognano, questa è la scusa che adducono quando
proviamo a farle sedere. Si rivela inutile insistere. La moglie del
direttore e nella veranda davanti la casa con i figli. Nel locale
attiguo altre due donne preparano il pane. Una lo stende e poi lo
lancia all'altra che lo pone nel forno interrato. Alla fine ci
cuoceranno anche il pollo e le patate, infilzati nello spiedo.
Nell'attesa ci offrono del formaggio fresco da mangiare avvolto nel
pane appena sfornato. Anush, è l'espressione che si usa alla fine del
pranzo per dire che si è apprezzato. Barev corrisponde invece al
nostro saluto.
MUSEO DEL GENOCIDIO DI YEREVAN: le fotografie di Armin Wegner
SAPERNE DI PIU': storia di mezza estate. Nagorno-Karabakh. La guerra dimenticata
COSA ACCADE IN ARMENIA: Osservatorio Balcani e Caucaso
http://magazineroma.it/2013/12/tra-europa-e-asia-reportage-dall-armenia
From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress