Italintermedia, Italia
20 aprile 2014
Gli architetti armeni del Sultano
In coincidenza con l'anniversario del genocidio di un secolo fa il
Museo dell'architettura di Istanbul organizza una mostra sull'eredità
dei progettisti di Jerevan
Mentre le prove di conciliazione fra le autorità politiche sono
ancora in corso, è l'ambiente culturale a muovere i primi passi
concreti verso la riappacificazione turco-armena: il Museo di
architettura di Istanbul, secondo quanto riferisce il "Ses Turkey", ha
allestito una mostra on-line in coincidenza con l'anniversario del
genocidio perpetrato dall'Impero ottomano contro la popolazione armena
nel 1915, a oggi non riconosciuto come tale dalle autorità turche.
L'esposizione, visibile sul sito web del museo, mostra tutte le opere
realizzate da architetti di origine armena nei secoli scorsi,
confermando l'indiscutibile legame storico fra le due popolazioni.
La mostra è il terzo passaggio di un progetto più ampio, avviato nel
dicembre 2010 quando Istanbul era capitale europea della Cultura, e
proseguito con una tappa a Jerevan, capitale dell'Armenia, nel giugno
del 2011. In quelle occasioni la mostra era stata fisicamente
allestita nelle due città con la collaborazione dell'Agenzia della
Cultura Istanbul 2010 e del Modern Museum della città turca.
L'obiettivo non è solo quello di avvicinare i due Paesi, dice Salpi
Ghazarian della Civilitas foundation di Jerevan, ma anche e
soprattutto quello di restituire il senso di un'identità spesso negata
alla comunità armena che vive in Turchia.
"Questi esperimenti culturali non servono a riaffermare solo che sono
esistiti architetti e scrittori - dice al 'Ses Turkey' - ma che anche
mia nonna, mia madre, mia figlia e io siamo esistiti e formiamo ancora
una parte di questa civiltà". L'eredità degli architetti armeni è una
delle più importanti fra quelle consegnate alla storia dell'Impero
ottomano in Turchia. Il nome più noto in questo caso è quello della
famiglia Balyan, che ha operato per oltre un secolo alle dipendenze
dirette del sultano creando le più famose moschee e i palazzi sontuosi
di Istanbul. Mason Bali, uno scalpellino dal villaggio di Belen, nella
regione di Karaman, è considerato il fondatore della "dinastia" nel
primo Settecento. La famiglia è rimasta famosa per l'introduzione di
tecniche e stili occidentali nell'architettura dell'epoca, e ancora
oggi il contributo è visibile nel Palazzo Dolmabahce, l'opera più
importante costruita dai Balyan, o in quello di Beylerbeyi, senza
contare gli edifici pubblici come la Caserma Selimye, ex ministero
della Difesa e ora sede del Rettorato, la Scuola di medicina del
Palazzo imperiale o l'Accademia di belle arti.
Di origini armene era anche Mimar Sinan, capo architetto per quasi 50
anni alla corte del sultano nel Cinquecento. Lo ricorda Zeynep Taskin
della Hrant Dink foundation, una delle associazioni che ha contribuito
all'allestimento delle mostre. "Ricordare tutto questo - dice la
Taskin - ha prodotto un riscontro positivo in tutta la società. Si
tratta di edifici chiave per lo sviluppo storico dell'intera città, e
noi poniamo semplicemente in risalto questa realtà attraverso la
mostra". Secondo l'esperta, la mostra è destinata a rivelare "una
coscienza collettiva nascosta, e fino a che non dimenticheremo questi
valori, possiamo sperare di sviluppare una cultura comune capace di
ridisegnare il futuro". La cultura precede dunque di un passo la
politica, che nonostante abbia visto in questi giorni un'apertura
definita da più parti "storica" da parte del premier turco Tayyip
Erdogan sembra ancora lontana da un risultato definitivo di
riconciliazione.
Il primo ministro di Ankara ha infatti presentato, con un gesto del
tutto inatteso, le condoglianze "ai nipoti degli armeni uccisi nel
1915", senza però pronunciare la parola genocidio. Pur trattandosi
della prima volta in cui un rappresentante politico turco compie un
passo del genere, il presidente armeno Serzh Sarkisian ha risposto
senza concedere alcuno sconto e ricordando che "la negazione di un
crimine è la sua diretta prosecuzione. Solo il riconoscimento e la
condanna del genocidio - ha concluso Sarkisian - possono impedire il
ripetersi di un tale crimine in futuro". Zakarya Mildanoglu,
architetto di origini armene che oggi vive a Istanbul, non crede che
un'esibizione culturale possa sostituire le azioni della politica, ma
crede fermamente nella necessità di valorizzare tutte le minoranze in
Turchia, facendo così capire al pubblico l'importanza di queste ultime
nel contesto di uno sviluppo sociale.
"La storia ufficiale - dice - in Turchia ignora il contributo dato
dalle varie culture, fino a negarne l'esistenza ancora oggi. Il
tentativo - prosegue - è quello di 'turcizzare' tutto, e molte
strutture realizzate dai romani, dai bizantini, dai siriani e dagli
armeni sono diventate, nella versione ufficiale, come appartenenti al
periodo Seljuk". Mostre come quella del Museo di architettura, infine,
possono "aiutare ad eliminare i sentimenti di odio all'interno della
società. La gente - dice ancora la Mildanoglu - ha potuto esaminare e
distinguere cosa è stato lasciato dagli armeni, dai greci ortodossi,
dagli ebrei e dai siriani". Ahmet Ersoy, docente di storia presso
l'Università Bogazici, vede proprio nell'architettura il giusto punto
di partenza per recuperare l'oggettività di analisi degli eventi
storici degli ultimi secoli.
"Nel caso dell'architettura - spiega - dalla metà del Settecento in
poi i palazzi reali sono stati costruiti principalmente proprio da
greci e armeni. A parte nomi importanti come quello dei Balyan -
prosegue - molti degli architetti non musulmani restano ancora avvolti
nell'oscurità, e le loro opere sono attribuite erroneamente alle
tendenze nazionaliste ed orientaliste che hanno influenzato
l'architettura tardo-ottomana. Ecco perché una mostra del genere
assume una particolare importanza". Molti personaggi di origine
armena, osserva infine Ersoy, "sono stati letteralmente cancellati
dagli annali storici solo perché non erano musulmani e turchi, e
quindi non conformi alla 'vera essenza' della cultura ottomana.
Proprio loro - conclude - hanno invece partecipato attivante a creare
le fondamenta di questa stessa cultura".
http://italintermedia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=70500&typeb=0&Loid=226&Gli-architetti-armeni-del-Sultano
20 aprile 2014
Gli architetti armeni del Sultano
In coincidenza con l'anniversario del genocidio di un secolo fa il
Museo dell'architettura di Istanbul organizza una mostra sull'eredità
dei progettisti di Jerevan
Mentre le prove di conciliazione fra le autorità politiche sono
ancora in corso, è l'ambiente culturale a muovere i primi passi
concreti verso la riappacificazione turco-armena: il Museo di
architettura di Istanbul, secondo quanto riferisce il "Ses Turkey", ha
allestito una mostra on-line in coincidenza con l'anniversario del
genocidio perpetrato dall'Impero ottomano contro la popolazione armena
nel 1915, a oggi non riconosciuto come tale dalle autorità turche.
L'esposizione, visibile sul sito web del museo, mostra tutte le opere
realizzate da architetti di origine armena nei secoli scorsi,
confermando l'indiscutibile legame storico fra le due popolazioni.
La mostra è il terzo passaggio di un progetto più ampio, avviato nel
dicembre 2010 quando Istanbul era capitale europea della Cultura, e
proseguito con una tappa a Jerevan, capitale dell'Armenia, nel giugno
del 2011. In quelle occasioni la mostra era stata fisicamente
allestita nelle due città con la collaborazione dell'Agenzia della
Cultura Istanbul 2010 e del Modern Museum della città turca.
L'obiettivo non è solo quello di avvicinare i due Paesi, dice Salpi
Ghazarian della Civilitas foundation di Jerevan, ma anche e
soprattutto quello di restituire il senso di un'identità spesso negata
alla comunità armena che vive in Turchia.
"Questi esperimenti culturali non servono a riaffermare solo che sono
esistiti architetti e scrittori - dice al 'Ses Turkey' - ma che anche
mia nonna, mia madre, mia figlia e io siamo esistiti e formiamo ancora
una parte di questa civiltà". L'eredità degli architetti armeni è una
delle più importanti fra quelle consegnate alla storia dell'Impero
ottomano in Turchia. Il nome più noto in questo caso è quello della
famiglia Balyan, che ha operato per oltre un secolo alle dipendenze
dirette del sultano creando le più famose moschee e i palazzi sontuosi
di Istanbul. Mason Bali, uno scalpellino dal villaggio di Belen, nella
regione di Karaman, è considerato il fondatore della "dinastia" nel
primo Settecento. La famiglia è rimasta famosa per l'introduzione di
tecniche e stili occidentali nell'architettura dell'epoca, e ancora
oggi il contributo è visibile nel Palazzo Dolmabahce, l'opera più
importante costruita dai Balyan, o in quello di Beylerbeyi, senza
contare gli edifici pubblici come la Caserma Selimye, ex ministero
della Difesa e ora sede del Rettorato, la Scuola di medicina del
Palazzo imperiale o l'Accademia di belle arti.
Di origini armene era anche Mimar Sinan, capo architetto per quasi 50
anni alla corte del sultano nel Cinquecento. Lo ricorda Zeynep Taskin
della Hrant Dink foundation, una delle associazioni che ha contribuito
all'allestimento delle mostre. "Ricordare tutto questo - dice la
Taskin - ha prodotto un riscontro positivo in tutta la società. Si
tratta di edifici chiave per lo sviluppo storico dell'intera città, e
noi poniamo semplicemente in risalto questa realtà attraverso la
mostra". Secondo l'esperta, la mostra è destinata a rivelare "una
coscienza collettiva nascosta, e fino a che non dimenticheremo questi
valori, possiamo sperare di sviluppare una cultura comune capace di
ridisegnare il futuro". La cultura precede dunque di un passo la
politica, che nonostante abbia visto in questi giorni un'apertura
definita da più parti "storica" da parte del premier turco Tayyip
Erdogan sembra ancora lontana da un risultato definitivo di
riconciliazione.
Il primo ministro di Ankara ha infatti presentato, con un gesto del
tutto inatteso, le condoglianze "ai nipoti degli armeni uccisi nel
1915", senza però pronunciare la parola genocidio. Pur trattandosi
della prima volta in cui un rappresentante politico turco compie un
passo del genere, il presidente armeno Serzh Sarkisian ha risposto
senza concedere alcuno sconto e ricordando che "la negazione di un
crimine è la sua diretta prosecuzione. Solo il riconoscimento e la
condanna del genocidio - ha concluso Sarkisian - possono impedire il
ripetersi di un tale crimine in futuro". Zakarya Mildanoglu,
architetto di origini armene che oggi vive a Istanbul, non crede che
un'esibizione culturale possa sostituire le azioni della politica, ma
crede fermamente nella necessità di valorizzare tutte le minoranze in
Turchia, facendo così capire al pubblico l'importanza di queste ultime
nel contesto di uno sviluppo sociale.
"La storia ufficiale - dice - in Turchia ignora il contributo dato
dalle varie culture, fino a negarne l'esistenza ancora oggi. Il
tentativo - prosegue - è quello di 'turcizzare' tutto, e molte
strutture realizzate dai romani, dai bizantini, dai siriani e dagli
armeni sono diventate, nella versione ufficiale, come appartenenti al
periodo Seljuk". Mostre come quella del Museo di architettura, infine,
possono "aiutare ad eliminare i sentimenti di odio all'interno della
società. La gente - dice ancora la Mildanoglu - ha potuto esaminare e
distinguere cosa è stato lasciato dagli armeni, dai greci ortodossi,
dagli ebrei e dai siriani". Ahmet Ersoy, docente di storia presso
l'Università Bogazici, vede proprio nell'architettura il giusto punto
di partenza per recuperare l'oggettività di analisi degli eventi
storici degli ultimi secoli.
"Nel caso dell'architettura - spiega - dalla metà del Settecento in
poi i palazzi reali sono stati costruiti principalmente proprio da
greci e armeni. A parte nomi importanti come quello dei Balyan -
prosegue - molti degli architetti non musulmani restano ancora avvolti
nell'oscurità, e le loro opere sono attribuite erroneamente alle
tendenze nazionaliste ed orientaliste che hanno influenzato
l'architettura tardo-ottomana. Ecco perché una mostra del genere
assume una particolare importanza". Molti personaggi di origine
armena, osserva infine Ersoy, "sono stati letteralmente cancellati
dagli annali storici solo perché non erano musulmani e turchi, e
quindi non conformi alla 'vera essenza' della cultura ottomana.
Proprio loro - conclude - hanno invece partecipato attivante a creare
le fondamenta di questa stessa cultura".
http://italintermedia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=70500&typeb=0&Loid=226&Gli-architetti-armeni-del-Sultano