L'Indro, Italia
29 aprile 2014
L'Armenia, il genocidio e le condoglianze
Gli effetti delle parole del primo ministro turco analizzate da De
Waal e Lorusso
Paolo Sorbello
Almaty - Il 23 aprile scorso, il primo ministro turco Tayyip Erdogan
ha letto un messaggio di condoglianze indirizzato a , facendo riferimento
agli ultimi anni dell'Impero ottomano. A guardare bene, la
dichiarazione ha anticipato di qualche giorno il 99° anniversario del
genocidio armeno, conclusosi nel 1915. Le parole di Erdogan non sono
bastate a placare la rabbia degli armeni che continuano a pretendere
che la leadership turca cominci a usare la parola 'genocidio' e che
riconosca le atrocità dirette in particolare contro la popolazione
armena. Appena entrati nell'anno del centenario, abbiamo chiesto un
parere sulla questione armena a due eminenti esperti di affari
caucasici. Thomas De Waal è un ricercatore presso il 'Carnegie
Endowment for International Peace', che sta completando un libro sulle
relazioni tra Turchia e Armenia. Marilisa Lorusso è assistente alla
ricerca presso l'Università El Manar (ISSHT) di Tunisi e si occupa di
Caucaso.
La reazione armena ha bollato la dichiarazione come un "cinico
stratagemma", per quale motivo?
De Waal: La prima cosa da dire è che non esiste un singolo soggetto
che parli per 'gli armeni'. L'ANCA [che ha reagito con più forza
contro le parole di Erdogan, ndr] è un'organizzazione per la diaspora,
affiliata con il partito nazionalista Dashnaktsutiun, e che ha una
politica diversa rispetto al governo armeno. Per esempio, ha rigettato
il protocollo turco-armeno del 2009. In generale, direi che la
popolazione comune armena in diaspora e il governo di Yerevan sono più
pragmatici rispetto a queste organizzazioni per la diaspora e si
occupano di problemi reali come l'apertura del confine turco-armeno,
piuttosto che del riconoscimento del genocidio.
Lorusso: Per gli armeni in Armenia, il genocidio è una pietra miliare
della memoria, il suo riconoscimento e' un degli scopi della nazione
armena, si veda la Dichiarazione d'Indipendenza, cui si dà riferimento
nel Preambolo della Costituzione, insomma, il riconoscimento del
genocidio è quasi un obbligo di forza costituzionale. C'è un trend
'macro', di lungo termine e costitutivo dell'identità armena che non
conosce attenuazioni. Questo è prima di tutto radicato nella coscienza
collettiva, per cui non si può ipotizzare un'opinione pubblica più
indulgente della propria leadership in merito. Anzi, al contrario,
anche a causa di una comunicazione politica che in generale negli
ultimi vent'anni è stata impostata su una certa intransigenza nei
termini di vari temi relativi all'identità armena, è facile che la
leadership anche se - magari per calcolo politico - dovesse mai
trovare più vantaggioso fare un passo indietro su anche solo uno dei
corollari del genocidio. saprebbe di dover affrontare un'ondata di
sdegno contro la quale anche il più solido dei governi vacillerebbe.
Oltre al trend 'macro', quali sono le dinamiche domestiche che hanno
portato alla fredda reazione di Yerevan alle parole di Erdogan?
Lorusso: Oltre al trend macro, c'è la situazione contingente. E qui
direi che le questioni sono due, la prima legata alle situazioni del
governo - con i due ruoli chiave del primo ministro e del capo del
consigli di sicurezza che lasciano - e del rapporto governo -
cittadini, con la tensione indotta dalla questione delle pensioni. Non
mi dilungo su questo, perché so che ve ne siete occupati, ma è chiaro
che non è il momento di mettere benzina sul fuoco mostrando il ventre
molle. Nulla di meglio di una bella reazione assertiva in linea con
gli spiriti popolari, per intenderci.
L'altra questione è relativa a chi è la controparte e la tempistica:
non è detto che un primo ministro turco che apra sul 1915 non sia
credibile per gli armeni. Ma deve essersi costruito una buona
credibilità e coerenza in merito, con credenziali di democraticità e
apertura sulle minoranze, spirito critico sulla storia tardo-ottomana
e repubblicana, a livello di politica nazionale prima ancora che nelle
relazioni internazionali. Gli armeni seguono cosa succede in Turchia,
ci vanno, ci sono, hanno parenti... insomma, sanno bene che questo
profilo non è quello di Erdogan, soprattutto l'Erdogan di questo
mandato. Infine, la tempistica: questa apertura un anno prima del
centenario pare come il titolo del libro che si scriverà durante i
prossimi 12 mesi, e il soggetto del libro potrebbe essere una
rilettura che gli armeni hanno già bocciato in partenza.
Cosa cambierebbe se gli USA ammettessero che ciò che è accaduto nel
1915 è un 'genocidio'?
Lorusso: Inevitabilmente, il riconoscimento è legato ai rapporti fra i
USA e Turchia. Finché non si crea questo specifica congiuntura, il
riconoscimento è improbabile. Anche se ovviamente i prossimi 12 mesi
di campagna per il centenario si faranno sentire nei termini del
potere di pressione della diaspora armena.
De Waal: Gli USA difficilmente arriveranno a utilizzare la parola
'genocidio' per caratterizzare le morti del 1915 - anche se sempre più
storici e accademici cominciano a farlo. Il motivo è che la Turchia
minaccia rappresaglie sia nella cooperazione economica, sia in quella
militare con Washington. Questo, gli USA non possono permetterselo. La
paura turca è che l'uso della parola 'genocidio' porti alla richiesta
di riparazioni e financo della restituzione di porzioni di territorio,
contro lo stato turco. Nonostante non sia uno scenario probabile,
entrambe le parti sono trincerate nelle loro posizioni così fermamente
che non sembra esserci la possibilità di un passo indietro.
Sembra che il percorso "eurasiatico" intrapreso dall'Armenia sia un
segno di rottura di Yerevan nei confronti degli schemi istituzionali
occidentali?
Lorusso: Mi pare non ci sia una vera scelta. Direi che la svolta è
stata una pure costrizione sotto ricatto, per cui non credo ci sia la
volontà di invertire un quadro istituzionale, o di venir meno a una
politica multivettoriale. Posso venire smentita dai fatti, ma credo
che finché il Cremlino continuerà a essere così minaccioso e
apertamente pericoloso, Yerevan si limiterà a gestire l'emergenza. Ma
questo non risponde agli interessi nazionali armeni, né alle
specifiche esigenze del paese, ben ancorato attraverso le proprie
diaspore all'occidente. Per cui a mio parere si opererà un
allineamento politico ma quanto meno strutturale possibile.
Quanto è importante la dichiarazione di Erdogan? E come si combina con
gli altri conflitti regionali nel Caucaso?
De Waal: Per quanto riguarda Erdogan, la dichiarazione rappresenta
sicuramente un passo importante per lui, ma egli sta anche
ricostruendo la relazione con l'Azerbaigian e difficilmente procederà
alla normalizzazione della relazione tra Armenia e Turchia senza il
benestare del governo di Baku, che vuole prima vedere quale ruolo la
Turchia giocherà nel conflitto del Karabakh.
Lorusso: Questo gesto, anche se liquidato con scetticismo, c'è stato.
Ma ipotizzare una svolta è molto difficile in questo momento. Sargsyan
sarà cauto, per un po'. C'è troppa tempesta in giro. Per lui il
momento propizio potrebbe essere non prima del 2017, l'anno prima
delle elezioni. Ma molto dipende da cosa starà succedendo fra un anno
a quest'ora. Il centenario si farà sentire eccome... Infine, non
sovrastimerei il potere di pressione della Turchia sull'Azerbaijan per
quanto riguarda la questione della sua integrità territoriale. Qui
Baku ha un'agenda ben chiara, e se anche Armenia e Turchia dovessero
arrivare a miti consigli per quanto riguarda il genocidio, questo non
si concreterebbe necessariamente in una disponibilità al compromesso
sul Karabakh.
http://www.lindro.it/politica/2014-04-29/127534-larmenia-il-genocidio-e-le-condoglianze
29 aprile 2014
L'Armenia, il genocidio e le condoglianze
Gli effetti delle parole del primo ministro turco analizzate da De
Waal e Lorusso
Paolo Sorbello
Almaty - Il 23 aprile scorso, il primo ministro turco Tayyip Erdogan
ha letto un messaggio di condoglianze indirizzato a , facendo riferimento
agli ultimi anni dell'Impero ottomano. A guardare bene, la
dichiarazione ha anticipato di qualche giorno il 99° anniversario del
genocidio armeno, conclusosi nel 1915. Le parole di Erdogan non sono
bastate a placare la rabbia degli armeni che continuano a pretendere
che la leadership turca cominci a usare la parola 'genocidio' e che
riconosca le atrocità dirette in particolare contro la popolazione
armena. Appena entrati nell'anno del centenario, abbiamo chiesto un
parere sulla questione armena a due eminenti esperti di affari
caucasici. Thomas De Waal è un ricercatore presso il 'Carnegie
Endowment for International Peace', che sta completando un libro sulle
relazioni tra Turchia e Armenia. Marilisa Lorusso è assistente alla
ricerca presso l'Università El Manar (ISSHT) di Tunisi e si occupa di
Caucaso.
La reazione armena ha bollato la dichiarazione come un "cinico
stratagemma", per quale motivo?
De Waal: La prima cosa da dire è che non esiste un singolo soggetto
che parli per 'gli armeni'. L'ANCA [che ha reagito con più forza
contro le parole di Erdogan, ndr] è un'organizzazione per la diaspora,
affiliata con il partito nazionalista Dashnaktsutiun, e che ha una
politica diversa rispetto al governo armeno. Per esempio, ha rigettato
il protocollo turco-armeno del 2009. In generale, direi che la
popolazione comune armena in diaspora e il governo di Yerevan sono più
pragmatici rispetto a queste organizzazioni per la diaspora e si
occupano di problemi reali come l'apertura del confine turco-armeno,
piuttosto che del riconoscimento del genocidio.
Lorusso: Per gli armeni in Armenia, il genocidio è una pietra miliare
della memoria, il suo riconoscimento e' un degli scopi della nazione
armena, si veda la Dichiarazione d'Indipendenza, cui si dà riferimento
nel Preambolo della Costituzione, insomma, il riconoscimento del
genocidio è quasi un obbligo di forza costituzionale. C'è un trend
'macro', di lungo termine e costitutivo dell'identità armena che non
conosce attenuazioni. Questo è prima di tutto radicato nella coscienza
collettiva, per cui non si può ipotizzare un'opinione pubblica più
indulgente della propria leadership in merito. Anzi, al contrario,
anche a causa di una comunicazione politica che in generale negli
ultimi vent'anni è stata impostata su una certa intransigenza nei
termini di vari temi relativi all'identità armena, è facile che la
leadership anche se - magari per calcolo politico - dovesse mai
trovare più vantaggioso fare un passo indietro su anche solo uno dei
corollari del genocidio. saprebbe di dover affrontare un'ondata di
sdegno contro la quale anche il più solido dei governi vacillerebbe.
Oltre al trend 'macro', quali sono le dinamiche domestiche che hanno
portato alla fredda reazione di Yerevan alle parole di Erdogan?
Lorusso: Oltre al trend macro, c'è la situazione contingente. E qui
direi che le questioni sono due, la prima legata alle situazioni del
governo - con i due ruoli chiave del primo ministro e del capo del
consigli di sicurezza che lasciano - e del rapporto governo -
cittadini, con la tensione indotta dalla questione delle pensioni. Non
mi dilungo su questo, perché so che ve ne siete occupati, ma è chiaro
che non è il momento di mettere benzina sul fuoco mostrando il ventre
molle. Nulla di meglio di una bella reazione assertiva in linea con
gli spiriti popolari, per intenderci.
L'altra questione è relativa a chi è la controparte e la tempistica:
non è detto che un primo ministro turco che apra sul 1915 non sia
credibile per gli armeni. Ma deve essersi costruito una buona
credibilità e coerenza in merito, con credenziali di democraticità e
apertura sulle minoranze, spirito critico sulla storia tardo-ottomana
e repubblicana, a livello di politica nazionale prima ancora che nelle
relazioni internazionali. Gli armeni seguono cosa succede in Turchia,
ci vanno, ci sono, hanno parenti... insomma, sanno bene che questo
profilo non è quello di Erdogan, soprattutto l'Erdogan di questo
mandato. Infine, la tempistica: questa apertura un anno prima del
centenario pare come il titolo del libro che si scriverà durante i
prossimi 12 mesi, e il soggetto del libro potrebbe essere una
rilettura che gli armeni hanno già bocciato in partenza.
Cosa cambierebbe se gli USA ammettessero che ciò che è accaduto nel
1915 è un 'genocidio'?
Lorusso: Inevitabilmente, il riconoscimento è legato ai rapporti fra i
USA e Turchia. Finché non si crea questo specifica congiuntura, il
riconoscimento è improbabile. Anche se ovviamente i prossimi 12 mesi
di campagna per il centenario si faranno sentire nei termini del
potere di pressione della diaspora armena.
De Waal: Gli USA difficilmente arriveranno a utilizzare la parola
'genocidio' per caratterizzare le morti del 1915 - anche se sempre più
storici e accademici cominciano a farlo. Il motivo è che la Turchia
minaccia rappresaglie sia nella cooperazione economica, sia in quella
militare con Washington. Questo, gli USA non possono permetterselo. La
paura turca è che l'uso della parola 'genocidio' porti alla richiesta
di riparazioni e financo della restituzione di porzioni di territorio,
contro lo stato turco. Nonostante non sia uno scenario probabile,
entrambe le parti sono trincerate nelle loro posizioni così fermamente
che non sembra esserci la possibilità di un passo indietro.
Sembra che il percorso "eurasiatico" intrapreso dall'Armenia sia un
segno di rottura di Yerevan nei confronti degli schemi istituzionali
occidentali?
Lorusso: Mi pare non ci sia una vera scelta. Direi che la svolta è
stata una pure costrizione sotto ricatto, per cui non credo ci sia la
volontà di invertire un quadro istituzionale, o di venir meno a una
politica multivettoriale. Posso venire smentita dai fatti, ma credo
che finché il Cremlino continuerà a essere così minaccioso e
apertamente pericoloso, Yerevan si limiterà a gestire l'emergenza. Ma
questo non risponde agli interessi nazionali armeni, né alle
specifiche esigenze del paese, ben ancorato attraverso le proprie
diaspore all'occidente. Per cui a mio parere si opererà un
allineamento politico ma quanto meno strutturale possibile.
Quanto è importante la dichiarazione di Erdogan? E come si combina con
gli altri conflitti regionali nel Caucaso?
De Waal: Per quanto riguarda Erdogan, la dichiarazione rappresenta
sicuramente un passo importante per lui, ma egli sta anche
ricostruendo la relazione con l'Azerbaigian e difficilmente procederà
alla normalizzazione della relazione tra Armenia e Turchia senza il
benestare del governo di Baku, che vuole prima vedere quale ruolo la
Turchia giocherà nel conflitto del Karabakh.
Lorusso: Questo gesto, anche se liquidato con scetticismo, c'è stato.
Ma ipotizzare una svolta è molto difficile in questo momento. Sargsyan
sarà cauto, per un po'. C'è troppa tempesta in giro. Per lui il
momento propizio potrebbe essere non prima del 2017, l'anno prima
delle elezioni. Ma molto dipende da cosa starà succedendo fra un anno
a quest'ora. Il centenario si farà sentire eccome... Infine, non
sovrastimerei il potere di pressione della Turchia sull'Azerbaijan per
quanto riguarda la questione della sua integrità territoriale. Qui
Baku ha un'agenda ben chiara, e se anche Armenia e Turchia dovessero
arrivare a miti consigli per quanto riguarda il genocidio, questo non
si concreterebbe necessariamente in una disponibilità al compromesso
sul Karabakh.
http://www.lindro.it/politica/2014-04-29/127534-larmenia-il-genocidio-e-le-condoglianze