La Repubblica, Italia
24 aprile 2014
Armenia, antica terra di cavalli
Ieri era il 99° anniversario dell'avvio del genocidio armeno. Ho
trascorso qualche giorno in Armenia l'anno scorso. L'ho molto amata.
L'ho sicuramente scoperta. Ho cercato i segni del passato e quelli del
presente grazie ad alcuni amici armeni che non finirò mai di
ringraziare.
A quel paese malinconico e generoso dedico questo racconto equino.
A cavallo in Armenia
Una passeggiata a cavallo sui monti del Caucaso è un viaggio in un
passato lontano e sconosciuto. Basta respirare a fondo per ritrovarsi
sulla via della seta, sulla strada che congiungeva il Mediterraneo ai
monti e alle grandi pianure dell'Asia centrale, lungo sentieri di
traffici mercantili ed eserciti in guerra.
Gagik_Paradyan
L'aria fresca della mattina e lo sguardo che attraversa l'orizzonte
disegnano un territorio che fu, e che è ancora, crocevia di interessi
e di popoli. Persiani, romani, ottomani, russi scesero a cavallo
questi monti. E prima ancora li attraversarono al galoppo sciiti,
tartari, mongoli. Puoi anche sognare di incontrare il mitico e docile
Karabakh, la razza a rischio di estinzione che gli armeni vorrebbero
riportare a casa.
Gagik Paradyan mi guarda e sorride. E' suo, di quest'uomo che è anche
il segretario della giovane federazione equestre, il sogno di portare
in Armenia l'allevamento della razza. Recuperare l'originario cavallo
del Caucaso meridionale da alcuni decenni in pericolo e perennemente
conteso con l'Azerbajian.
Il sole appena dopo l'alba non scalda il vento impetuoso che scende
dall'Aragats, la più alta montagna dell'Armenia moderna dopo che
l'Ararat e la sua cima sempre innevata sono rimaste alla Turchia.
ll centro ippico di zio Gagik, come tutti qui lo chiamano, è alle
nostre spalle. Le passeggiate ("Mai molto lunghe perché non voglio
stancare i miei cavalli") si muovono verso le 6 della mattina.
Prendere o lasciare. Decide lui, Gagik.
Il Caucaso si apre agli occhi dolce e imperioso. Passiamo vicino alla
chiesetta di Karmravor, una minuscola cappella cruciforme che risale
al VII° secolo e che ha conservato l'originaria copertura di tegole
sulla cupola ottogonale. Proseguiamo attraverso il vecchio ponte, la
gola scavata dal fiume Kasakh, il villaggio di Karbi.
Dall'alto, dai suoi 2300 metri di altezza, ci guardano la spettacolare
fortezza di Amberd, caposaldo imprendibile della valle, e la chiesa a
cupola costruita nel 1026 dal condottiero Vahram Pahlavuni.
Il sole è alto e potente in questo agosto. Si fa ritorno all' Ayrudzi
Riding club, ad Ashtarak, una ventina di chilometri da Yerevan, la
capitale dell'Armenia. In mezzo alle dolci montagne di pietra. A
neppure un'ora di sella dalla necropoli di Nerkin Naver dove qualche
anno fa è stata scoperta la più antica tomba di cavallo conosciuta,
risalente al 25° secolo prima di Cristo.
A perpetua testimonianza di quanto i popoli di queste terre fossero
legati all'allevamento dei cavalli, al loro uso in guerra, nel lavoro
della terra e nei trasporti. E di quanto l'inizio della civiltà
coincida proprio con la domesticazione di questi animali.
Il mondo di Ayrudzi inizia a Yerevan nel 1980. Quando l'Armenia era
ancora una della repubbliche dell'Unione Sovietica. "Eravamo un gruppo
di studenti del Politecnico. Tutti appassionati di cavalli", racconta
Gagik mentre l'amico Tigran, che oggi lavora all'Alto commissariato
per i rifugiati, mi mostra fotografie di tempi che non esistono più.
"Volevamo aprire un centro ippico con uno scopo ben preciso: riportare
in vita, grazie all'aiuto dei cavalli, le più antiche tradizioni
sociali, culturali ed equestri dell'Armenia".
Con i cavalli sulle tracce delle tradizioni armene
Gagik, Tigran e un gruppo di 25 amici trovarono i cavalli e
cominciarono a girare il paese. Di villaggio in villaggio. Con la
zourna, il tradizionale strumento armeno che somiglia al flauto, e il
dhol, percussioni locali. Cantavano, danzavano, suonavano, cavalcavano
le tradizioni più profonde di un paese che non poteva scordare la
ferita del genocidio del 1915 compiuto dalla Turchia e che doveva e
voleva riscrivere e tramandare il proprio passato.
Il gruppo venne aiutato dal Politecnico di Yerevan che allestì una
scuderia nell'area universitaria e si prese in carico il mantenimento
dei cavalli. La caduta dell'Unione sovietica rischiò di portare il
gruppo e la sua avventura sull'orlo del baratro. Non c'era più
l'università a mantenere i cavalli. E non c'erano più neppure le
scuderie. Il paese era allo sbando e le difficoltà economiche
insormontabili.
Ma Gagik non si perse d'animo. Salì ad Ashtarak, trovò un campo pieno
di pietre, iniziò a ripulirlo. Giorno dopo giorno. Mise in piedi le
scuderie. Tornò in città a prendersi i cavalli e fondò l'Ayrudzi
Riding Club. Non un maneggio qualsiasi.
Verso Ayrudzi
Perché l'Armenia non è Occidente e neppure Oriente. Non è un paese
qualsiasi, stretto come è fra un passato milleniario denso di
tradizioni e cultura e un presente povero e inquieto.
Il primo obiettivo del club era, ed è tutt'oggi, la solidarietà.
Mettere in campo i cavalli e insieme fare del bene.
Si inizia nel 1996. Il paese conta un numero insopportabile di piccoli
orfani. Con il supporto e l'assistenza della Croce Rossa armena e di
quella olandese, nell'estate di quell'anno il club si trasforma in un
campo-scuola per quei bambini sfortunati che qui vengono ospitati e
nutriti nel corpo e nell'anima.Anche grazie ai cavalli e ai primi
passi di un'ippoterapia ignota in quei luoghi.
Il lavoro con i bambini ritorna ogni estate. E intanto il club cresce.
Arrivano altri cavalli, purosangue, arabi, razze locali. Il numero
degli appassionati aumenta, anno dopo anno. E Ayrudzi diventa il punto
di riferimento del mondo equestre in Armenia.
Karabach, cavallo del mito
"I bambini dei campi estivi ci sono ancora oggi", sorride Gagik mentre
guarda i ragazzini in sella, le giumente serene nel rettangolo, i
puledrini di due, tre mesi che le rincorrono e che, senza alcun
timore, si fermano dai bambini per farsi accarezzare.
All'appello mancano solo i Karabakh: "Ne ho inviduati due, purissimi:
un magnifico stallone e una giumenta. Ora sto raccogliendo i soldi per
comprarli e per iniziare l'allevamento. No, non ti dico dove sono. E'
un segreto. L'anno prossimo quando torni, li vedrai. Bellissimi,
regali, forti e liberi. Proprio come noi armeni".
http://zoelagatta-d.blogautore.repubblica.it/2014/04/25/armenia-antica-terra-di-cavalli/
From: A. Papazian
24 aprile 2014
Armenia, antica terra di cavalli
Ieri era il 99° anniversario dell'avvio del genocidio armeno. Ho
trascorso qualche giorno in Armenia l'anno scorso. L'ho molto amata.
L'ho sicuramente scoperta. Ho cercato i segni del passato e quelli del
presente grazie ad alcuni amici armeni che non finirò mai di
ringraziare.
A quel paese malinconico e generoso dedico questo racconto equino.
A cavallo in Armenia
Una passeggiata a cavallo sui monti del Caucaso è un viaggio in un
passato lontano e sconosciuto. Basta respirare a fondo per ritrovarsi
sulla via della seta, sulla strada che congiungeva il Mediterraneo ai
monti e alle grandi pianure dell'Asia centrale, lungo sentieri di
traffici mercantili ed eserciti in guerra.
Gagik_Paradyan
L'aria fresca della mattina e lo sguardo che attraversa l'orizzonte
disegnano un territorio che fu, e che è ancora, crocevia di interessi
e di popoli. Persiani, romani, ottomani, russi scesero a cavallo
questi monti. E prima ancora li attraversarono al galoppo sciiti,
tartari, mongoli. Puoi anche sognare di incontrare il mitico e docile
Karabakh, la razza a rischio di estinzione che gli armeni vorrebbero
riportare a casa.
Gagik Paradyan mi guarda e sorride. E' suo, di quest'uomo che è anche
il segretario della giovane federazione equestre, il sogno di portare
in Armenia l'allevamento della razza. Recuperare l'originario cavallo
del Caucaso meridionale da alcuni decenni in pericolo e perennemente
conteso con l'Azerbajian.
Il sole appena dopo l'alba non scalda il vento impetuoso che scende
dall'Aragats, la più alta montagna dell'Armenia moderna dopo che
l'Ararat e la sua cima sempre innevata sono rimaste alla Turchia.
ll centro ippico di zio Gagik, come tutti qui lo chiamano, è alle
nostre spalle. Le passeggiate ("Mai molto lunghe perché non voglio
stancare i miei cavalli") si muovono verso le 6 della mattina.
Prendere o lasciare. Decide lui, Gagik.
Il Caucaso si apre agli occhi dolce e imperioso. Passiamo vicino alla
chiesetta di Karmravor, una minuscola cappella cruciforme che risale
al VII° secolo e che ha conservato l'originaria copertura di tegole
sulla cupola ottogonale. Proseguiamo attraverso il vecchio ponte, la
gola scavata dal fiume Kasakh, il villaggio di Karbi.
Dall'alto, dai suoi 2300 metri di altezza, ci guardano la spettacolare
fortezza di Amberd, caposaldo imprendibile della valle, e la chiesa a
cupola costruita nel 1026 dal condottiero Vahram Pahlavuni.
Il sole è alto e potente in questo agosto. Si fa ritorno all' Ayrudzi
Riding club, ad Ashtarak, una ventina di chilometri da Yerevan, la
capitale dell'Armenia. In mezzo alle dolci montagne di pietra. A
neppure un'ora di sella dalla necropoli di Nerkin Naver dove qualche
anno fa è stata scoperta la più antica tomba di cavallo conosciuta,
risalente al 25° secolo prima di Cristo.
A perpetua testimonianza di quanto i popoli di queste terre fossero
legati all'allevamento dei cavalli, al loro uso in guerra, nel lavoro
della terra e nei trasporti. E di quanto l'inizio della civiltà
coincida proprio con la domesticazione di questi animali.
Il mondo di Ayrudzi inizia a Yerevan nel 1980. Quando l'Armenia era
ancora una della repubbliche dell'Unione Sovietica. "Eravamo un gruppo
di studenti del Politecnico. Tutti appassionati di cavalli", racconta
Gagik mentre l'amico Tigran, che oggi lavora all'Alto commissariato
per i rifugiati, mi mostra fotografie di tempi che non esistono più.
"Volevamo aprire un centro ippico con uno scopo ben preciso: riportare
in vita, grazie all'aiuto dei cavalli, le più antiche tradizioni
sociali, culturali ed equestri dell'Armenia".
Con i cavalli sulle tracce delle tradizioni armene
Gagik, Tigran e un gruppo di 25 amici trovarono i cavalli e
cominciarono a girare il paese. Di villaggio in villaggio. Con la
zourna, il tradizionale strumento armeno che somiglia al flauto, e il
dhol, percussioni locali. Cantavano, danzavano, suonavano, cavalcavano
le tradizioni più profonde di un paese che non poteva scordare la
ferita del genocidio del 1915 compiuto dalla Turchia e che doveva e
voleva riscrivere e tramandare il proprio passato.
Il gruppo venne aiutato dal Politecnico di Yerevan che allestì una
scuderia nell'area universitaria e si prese in carico il mantenimento
dei cavalli. La caduta dell'Unione sovietica rischiò di portare il
gruppo e la sua avventura sull'orlo del baratro. Non c'era più
l'università a mantenere i cavalli. E non c'erano più neppure le
scuderie. Il paese era allo sbando e le difficoltà economiche
insormontabili.
Ma Gagik non si perse d'animo. Salì ad Ashtarak, trovò un campo pieno
di pietre, iniziò a ripulirlo. Giorno dopo giorno. Mise in piedi le
scuderie. Tornò in città a prendersi i cavalli e fondò l'Ayrudzi
Riding Club. Non un maneggio qualsiasi.
Verso Ayrudzi
Perché l'Armenia non è Occidente e neppure Oriente. Non è un paese
qualsiasi, stretto come è fra un passato milleniario denso di
tradizioni e cultura e un presente povero e inquieto.
Il primo obiettivo del club era, ed è tutt'oggi, la solidarietà.
Mettere in campo i cavalli e insieme fare del bene.
Si inizia nel 1996. Il paese conta un numero insopportabile di piccoli
orfani. Con il supporto e l'assistenza della Croce Rossa armena e di
quella olandese, nell'estate di quell'anno il club si trasforma in un
campo-scuola per quei bambini sfortunati che qui vengono ospitati e
nutriti nel corpo e nell'anima.Anche grazie ai cavalli e ai primi
passi di un'ippoterapia ignota in quei luoghi.
Il lavoro con i bambini ritorna ogni estate. E intanto il club cresce.
Arrivano altri cavalli, purosangue, arabi, razze locali. Il numero
degli appassionati aumenta, anno dopo anno. E Ayrudzi diventa il punto
di riferimento del mondo equestre in Armenia.
Karabach, cavallo del mito
"I bambini dei campi estivi ci sono ancora oggi", sorride Gagik mentre
guarda i ragazzini in sella, le giumente serene nel rettangolo, i
puledrini di due, tre mesi che le rincorrono e che, senza alcun
timore, si fermano dai bambini per farsi accarezzare.
All'appello mancano solo i Karabakh: "Ne ho inviduati due, purissimi:
un magnifico stallone e una giumenta. Ora sto raccogliendo i soldi per
comprarli e per iniziare l'allevamento. No, non ti dico dove sono. E'
un segreto. L'anno prossimo quando torni, li vedrai. Bellissimi,
regali, forti e liberi. Proprio come noi armeni".
http://zoelagatta-d.blogautore.repubblica.it/2014/04/25/armenia-antica-terra-di-cavalli/
From: A. Papazian