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L'Armenia Del Genocidio Cent'anni Dopo (2)

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    L'ARMENIA DEL GENOCIDIO CENT'ANNI DOPO (2)

    Prosegue il reportage del viadanese Paolo Bergamaschi, consigliere
    della Commissione Esteri del Parlamento Europeodi Paolo Bergamaschi

    16 aprile 2015

    La commemorazione (foto Paolo Bergamaschi)

    MANTOVA. (segue) La crisi ucraina ha provocato un corto circuito fra
    Bruxelles e Mosca ma ha messo anche a nudo le contraddizioni della
    politica estera europea ed evidenziato la debolezza della posizione
    armena. L'Alto Rappresentante della Politica Estera dell'Unione
    Federica Mogherini non perde occasione per ribadire il sostegno
    europeo all'integrita territoriale di Ucraina, Georgia e Moldova ma
    glissa o tace sull'integrita territoriale dell'Azerbaigian. Non è
    certo un esempio di coerenza nei confronti di paesi che fanno parte
    dello stesso progetto. L'imbarazzo dell'Armenia in questo contesto,
    di fatto paese occupante, è evidente. Nel discorso di apertura
    dell'Assemblea Parlamentare dei paesi del Partenariato Orientale che
    si tiene a Erevan il ministro degli Esteri Eduard Nalbandyan sembra
    arrampicarsi sugli specchi quando affronta la questione ucraina.

    "Spero che l'accordo di Minsk 2 possa fare da battistrada ad una
    soluzione globale del conflitto", afferma, "ma non si possono applicare
    gli stessi standard a tutti i conflitti congelati", sostiene. E'
    il leit motiv della politica estera armena quello di pretendere
    che ogni guerra dimenticata nella nelle ex repubbliche sovietiche
    del vecchio continente faccia storia a se rappresentando qualcosa
    di unico. E' la giustificazione dei due pesi e delle due misure,
    comoda in questa occasione sia per la diplomazia di Bruxelles che per
    quella di Erevan. Con buona pace del diritto internazionale e della
    credibilita della politica estera europea.

    Invocando la soluzione pacifica del conflitto Nalbandyan finisce, poi,
    inevitabilmente con l'attaccare il nemico azero colpevole, a suo dire,
    di mettere i bastoni fra le ruote ai mediatori dell'Organizzazione per
    la Sicurezza e Cooperazione in Europa. "L'Azerbaigian deve cessare
    gli attacchi contro i civili lungo la linea di contatto", insiste
    rivolgendosi alla platea, "è ormai chiaro a tutti chi non vuole la
    pace". L'ultima parte dell'intervento del ministro è dedicata al
    genocidio armeno di cui ricorre in questi giorni il centenario. "Il
    riconoscimento e la condanna del genocidio sono un fattore chiave per
    la prevenzione di nuovi genocidi" ", spiega Nalbandyan rivolgendo
    un ulteriore invito alla Turchia perche riconosca i misfatti
    dell'impero ottomano e riapra le frontiere con l'Armenia chiuse da
    più di vent'anni.

    Erevan ha giustamente investito enormi risorse per le cerimonie di
    commemorazione del centenario del genocidio armeno. Fu una tragedia
    storica di proporzioni immani quella che portò allo sterminio di un
    milione e mezzo di armeni che vivevano pacificamente integrati nella
    societa ottomana di inizio novecento. Il "Medz Yeghern", il temine
    originale con cui viene chiamato il genocidio, è diventato ormai
    l'elemento caratterizzante dell'identita del popolo armeno in larga
    parte esiliato e sparso da allora in tutti i paesi del globo. Ed è
    proprio grazie alla diaspora se oggi molti stati hanno riconosciuto
    l'olocausto armeno o si apprestano a farlo per onorare la memoria
    di tante vittime innocenti. Mi trovavo a Erevan anche dieci anni fa
    durante i giorni in cui si commemorava il novantesimo anniversario.

    Ricordo la ressa di ambasciatori, politici e rappresentanti di governo
    che si alternavano sul podio della sala principale dell'hotel Marriot
    coordinati dall'allora onnipotente ministro degli esteri Oskanian
    oggi caduto in disgrazia. Anche allora ci fu la consueta visita al
    memoriale sulla cima della collina di Tsitsernakaberd che sovrasta
    la capitale. Mentre ci incamminiamo lungo la spianata che conduce
    al monumento la guida che ci accompagna descrive gli avvenimenti che
    portarono al massacro della popolazione armena da parte degli ottomani
    il cui impero si avviava al tramonto. Una parete lunga cento metri
    ricorda da un lato i nomi delle localita e delle citta nelle quali si
    verificarono i principali eccidi e le deportazioni mentre dall'altro
    sono apposte placche di marmo per onorare una ad una le personalita
    che in tutti i paesi si batterono all'epoca per fermare le stragi e
    portare soccorso alle vittime.

    La grande stele alta 44 metri si erge a simbolo della rinascita
    della nazione armena dopo la decimazione mentre le lastre di pietra
    inclinate che delimitano in cerchio la fiamma perenne rappresentano
    le 12 province dell'Armenia storica che oggi si trovano in territorio
    turco. Il cielo sopra di noi è gonfio di nubi che fortunatamente
    trattengono la pioggia mentre due soldati precedono la nostra
    delegazione a passo d'oca portando una ghirlanda di fiori da deporre
    davanti al monumento. In basso si intravedono le strade di Erevan
    intasate dal traffico che scorre davanti ai nostri occhi nel silenzio
    come un film muto.

    Le commemorazioni servono a ricordare ma in questo caso, sostengono
    opportunamente gli armeni, anche a prevenire nuovi genocidi. Fu
    proprio la mancanza di percezione e consapevolezza per lungo tempo
    del genocidio armeno, affermano alcuni storici, che portò agli
    stermini successivi del ventesimo secolo incluso l'olocausto. Ancora
    oggi, però, la questione del riconoscimento di questo genocidio è
    fortemente osteggiata da alcuni paesi che ne mettono in discussione
    la ricostruzione storica o ne relativizzano il contesto. Sperimento
    nel mio piccolo la controversia durante i lavori dell'assemblea
    parlamentare quando la delegazione ucraina si rifiuta di appoggiare una
    risoluzione commemorativa se al riconoscimento del genocidio armeno
    non si aggiunge anche l'Holodomor, il termine con cui gli ucraini
    ricordano la tragica morte di sette milioni di connazionali durante il
    periodo staliniano a causa della carestia provocata artificiosamente
    dal dittatore georgiano per soffocare la resistenza della popolazione
    al suo pugno di ferro.

    Punti di vista si accavallano con argomenti di scontro mentre la
    politica si intreccia con la storia e la storia viene reinterpretata
    dalla politica su un'altalena di verita di comodo, negazioni ostinate
    e opportunismi sfacciati. Sullo sfondo, però, c'è la ruggine che
    affligge le relazioni fra Ucraina e Armenia, rea quest'ultima di
    non avere sostenuto alle Nazioni Unite la risoluzione di condanna
    dell'aggressione russa nel Donbass. Anche i genocidi, a volte,
    possono diventare merce di scambio.

    http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2015/04/16/news/l-armenia-del-genocidio-cent-anni-dopo-2-1.11248404?ref=search

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