il Giornale- Italia
08 feb 2015
Massacri, stupri e odio Il genocidio degli armeni così feroce e così attuale
Nel 1915 iniziò in Turchia una pulizia etnica che anticipò la Shoah In
nome della Guerra santa un intero popolo venne costretto all'esodo
Quando nonno Yerwant raccontava della sua lontana infanzia
nell'Armenia anatolica, ogni cosa acquistava il colore di un quieto
idillio pastorale. C'erano valli ubertose e ruscelli mormoranti,
pianure e villaggi montani, e c'era la Masseria delle Allodole, dove
lui, il figlio maggiore, correva libero per campi e frutteti, e rubava
con l'amico Ovhannes i giganteschi meloni con una carriola.
C'era la sua mamma Iskuhì dalle gote di pesca, così giovane, quasi
bambina, che lo abbracciava stretto e poi giocava con lui. Le storie
del Paese Perduto. Quante volte le ripetevano gli armeni sopravvissuti
al Metz Yeghérn (Il Grande Male), il genocidio del 1915, sparsi
dappertutto per il vasto mondo, quanti particolari raccontavano sui
parenti scomparsi nel ferro e nel fuoco, sulle piccole memorie di
piccoli eventi vicini al loro cuore di bambini strappati al nido e a
ogni caldo conforto! E come era irrimediabile la loro profonda
malinconia: sapevano che non c'era rimedio possibile, che per loro non
si sarebbe mai potuto parlare di ritorno, e che lo shock
dell'abbandono e della solitudine non si sarebbe mai cancellato. E
sapevano che, se parlavano, non li ascoltava nessuno...
Un popolo in diaspora, che in quella terribile estate del 1915 venne
scacciato per sempre - attraverso la morte o l'esilio - dalle sue
terre ancestrali: e non a causa di terribili eventi naturali, ma per
la funesta volontà politica del triumvirato che controllava l'impero
Ottomano, e che aveva deciso di farla finita con le minoranze. Una
storia ben nota all'epoca, di cui tutta la stampa (anche quella
italiana!) parlò abbondantemente. Sui giornali del 1915-16 si trovano
infatti moltissime notizie sui massacri armeni: si pubblicavano
corrispondenze e rapporti di consoli, mercanti, viaggiatori che in
quel momento si trovavano all'interno dell'impero e che avevano
assistito impotenti agli orrori e potuto misurare di persona
l'estensione e la violenza degli avvenimenti. Giacomo Gorrini, console
italiano a Trebisonda, concesse al Messaggero di Roma un'intervista
lucida e appassionata che resta ancor oggi come uno dei più
documentati rapporti sull'eliminazione degli armeni dal grande porto
sul Mar Nero: le barche cariche di gente fatte colare a picco, gli
uomini e i ragazzi finiti a colpi di accetta; e poi stupri, rapimenti
delle giovani donne, schiavitù dei bambini.
Ma perché la strage degli armeni è considerata il primo genocidio del
Ventesimo secolo? Che cosa lega questa tragedia, avvenuta durante la
Prima guerra mondiale, alla Shoah ebraica durante la Seconda? Quali
sono le somiglianze fra Hitler e i tre massacratori degli armeni, i
ministri Talaat, Enver, Djemal? Il genocidio degli armeni fu uno dei
frutti avvelenati del nazionalismo ottocentesco, attecchito
nell'impero Ottomano (sotto le mentite spoglie di una lotta ai vecchi
costumi e alla corruzione del governo dei Sultani) col colpo di Stato
del 1908, che portò al governo il partito dei Giovani turchi. Una
specie di «primavera ottomana» riscaldò in quel periodo i cuori dei
giovani delle minoranze, ma la ventata democratica durò assai poco, e
gli armeni e i greci che - illusi - avevano marciato insieme ai
Giovani turchi dovettero ben presto riconoscere che il sogno di una
nuova nazione escludeva proprio loro, classificandoli come minoranze
riottose di cui diffidare.
Una teoria ideologica a sostegno della preminenza dei «turchi di
sangue» fu elaborata (come ha riportato alla luce lo storico turco
Taner Akcam); una sistematica opera di de-umanizzazione e di pulizia
etnica fu lanciata, ma per poter operare fino in fondo con successo (e
per coinvolgere la popolazione turca, chiamandola anche alla guerra di
religione contro gli armeni cristiani) ci voleva l'occasione adatta:
fu il conflitto mondiale.
Agosto 1914: tuonano i cannoni d'agosto, come si disse allora.
L'intera Europa si precipita a cuor leggero nell'immensa strage della
Grande guerra. Novembre 1914: l'impero Ottomano entra in guerra a
fianco degli imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria. Il
principale artefice di questa scelta turca fu proprio Enver, modesto
stratega dall'io fuori misura; ma oltre a tentare un'offensiva sul
fronte russo, dove venne ingloriosamente sconfitto, si sentì le mani
libere per affrontare la cosiddetta «questione armena». Gli armeni
divennero il capro espiatorio ideale, una personale ossessione. E qui
si vedono i motivi per chiamare questa tragedia genocidio. Fu uno
sterminio preparato a freddo, organizzato, totale, che aveva come
bersaglio un popolo intero, senza fare differenze fra uomini, donne,
vecchi, bambini: lo scopo era l'eliminazione di un gruppo etnico dalla
sua patria ancestrale, e fu raggiunto. Circa i tre quarti del popolo
armeno in Turchia scomparve, nei mille modi dell'orrore: gli uomini
subito uccisi, le donne avviate alla morte lenta della deportazione
nel deserto. Furono usati vagoni piombati, primitive camere a gas,
eliminazioni collettive: le tecniche usate per l'annientamento degli
armeni divennero un modello che sarà ripetuto nel corso del Novecento,
prima di tutto contro gli ebrei.
L'affinità fra armeni ed ebrei è apparsa sempre più evidente negli
ultimi anni, in documenti e testimonianze uscite da archivi,
biblioteche, corrispondenze private, da cui emergono agghiaccianti
parallelismi nella sistematicità e nella ritualità delle esecuzioni, e
anche nella spietata efficienza dei carnefici. Non c'è davvero nulla
di nuovo sotto il sole. Provocando brividi di orrore, oggi la
televisione esibisce immagini di decapitazioni di ostaggi, che seguono
un preciso percorso rituale. Ma nel Dna degli armeni sono incise
analoghe, terribili foto risalenti a cent'anni fa, e anche di più:
teste tagliate di intellettuali, sgocciolate dal sangue, venivano
esposte davanti al fotografo con garbo e un pizzico di soddisfatto
orgoglio, come monito e segno di disprezzo verso i deboli appartenenti
a un volgo sconfitto. Questa è l'ombra lunga del 1915, la profonditÃ
dell'abisso del male da cui ogni tanto ci illudiamo ingenuamente di
essere usciti: eppure la scelta umile e coraggiosa della vita è sempre
possibile, come la tenace diaspora armena ha dimostrato.
http://www.ilgiornale.it/news/massacri-stupri-e-odio-genocidio-degli-armeni-cos-feroce-e-1090972.html
08 feb 2015
Massacri, stupri e odio Il genocidio degli armeni così feroce e così attuale
Nel 1915 iniziò in Turchia una pulizia etnica che anticipò la Shoah In
nome della Guerra santa un intero popolo venne costretto all'esodo
Quando nonno Yerwant raccontava della sua lontana infanzia
nell'Armenia anatolica, ogni cosa acquistava il colore di un quieto
idillio pastorale. C'erano valli ubertose e ruscelli mormoranti,
pianure e villaggi montani, e c'era la Masseria delle Allodole, dove
lui, il figlio maggiore, correva libero per campi e frutteti, e rubava
con l'amico Ovhannes i giganteschi meloni con una carriola.
C'era la sua mamma Iskuhì dalle gote di pesca, così giovane, quasi
bambina, che lo abbracciava stretto e poi giocava con lui. Le storie
del Paese Perduto. Quante volte le ripetevano gli armeni sopravvissuti
al Metz Yeghérn (Il Grande Male), il genocidio del 1915, sparsi
dappertutto per il vasto mondo, quanti particolari raccontavano sui
parenti scomparsi nel ferro e nel fuoco, sulle piccole memorie di
piccoli eventi vicini al loro cuore di bambini strappati al nido e a
ogni caldo conforto! E come era irrimediabile la loro profonda
malinconia: sapevano che non c'era rimedio possibile, che per loro non
si sarebbe mai potuto parlare di ritorno, e che lo shock
dell'abbandono e della solitudine non si sarebbe mai cancellato. E
sapevano che, se parlavano, non li ascoltava nessuno...
Un popolo in diaspora, che in quella terribile estate del 1915 venne
scacciato per sempre - attraverso la morte o l'esilio - dalle sue
terre ancestrali: e non a causa di terribili eventi naturali, ma per
la funesta volontà politica del triumvirato che controllava l'impero
Ottomano, e che aveva deciso di farla finita con le minoranze. Una
storia ben nota all'epoca, di cui tutta la stampa (anche quella
italiana!) parlò abbondantemente. Sui giornali del 1915-16 si trovano
infatti moltissime notizie sui massacri armeni: si pubblicavano
corrispondenze e rapporti di consoli, mercanti, viaggiatori che in
quel momento si trovavano all'interno dell'impero e che avevano
assistito impotenti agli orrori e potuto misurare di persona
l'estensione e la violenza degli avvenimenti. Giacomo Gorrini, console
italiano a Trebisonda, concesse al Messaggero di Roma un'intervista
lucida e appassionata che resta ancor oggi come uno dei più
documentati rapporti sull'eliminazione degli armeni dal grande porto
sul Mar Nero: le barche cariche di gente fatte colare a picco, gli
uomini e i ragazzi finiti a colpi di accetta; e poi stupri, rapimenti
delle giovani donne, schiavitù dei bambini.
Ma perché la strage degli armeni è considerata il primo genocidio del
Ventesimo secolo? Che cosa lega questa tragedia, avvenuta durante la
Prima guerra mondiale, alla Shoah ebraica durante la Seconda? Quali
sono le somiglianze fra Hitler e i tre massacratori degli armeni, i
ministri Talaat, Enver, Djemal? Il genocidio degli armeni fu uno dei
frutti avvelenati del nazionalismo ottocentesco, attecchito
nell'impero Ottomano (sotto le mentite spoglie di una lotta ai vecchi
costumi e alla corruzione del governo dei Sultani) col colpo di Stato
del 1908, che portò al governo il partito dei Giovani turchi. Una
specie di «primavera ottomana» riscaldò in quel periodo i cuori dei
giovani delle minoranze, ma la ventata democratica durò assai poco, e
gli armeni e i greci che - illusi - avevano marciato insieme ai
Giovani turchi dovettero ben presto riconoscere che il sogno di una
nuova nazione escludeva proprio loro, classificandoli come minoranze
riottose di cui diffidare.
Una teoria ideologica a sostegno della preminenza dei «turchi di
sangue» fu elaborata (come ha riportato alla luce lo storico turco
Taner Akcam); una sistematica opera di de-umanizzazione e di pulizia
etnica fu lanciata, ma per poter operare fino in fondo con successo (e
per coinvolgere la popolazione turca, chiamandola anche alla guerra di
religione contro gli armeni cristiani) ci voleva l'occasione adatta:
fu il conflitto mondiale.
Agosto 1914: tuonano i cannoni d'agosto, come si disse allora.
L'intera Europa si precipita a cuor leggero nell'immensa strage della
Grande guerra. Novembre 1914: l'impero Ottomano entra in guerra a
fianco degli imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria. Il
principale artefice di questa scelta turca fu proprio Enver, modesto
stratega dall'io fuori misura; ma oltre a tentare un'offensiva sul
fronte russo, dove venne ingloriosamente sconfitto, si sentì le mani
libere per affrontare la cosiddetta «questione armena». Gli armeni
divennero il capro espiatorio ideale, una personale ossessione. E qui
si vedono i motivi per chiamare questa tragedia genocidio. Fu uno
sterminio preparato a freddo, organizzato, totale, che aveva come
bersaglio un popolo intero, senza fare differenze fra uomini, donne,
vecchi, bambini: lo scopo era l'eliminazione di un gruppo etnico dalla
sua patria ancestrale, e fu raggiunto. Circa i tre quarti del popolo
armeno in Turchia scomparve, nei mille modi dell'orrore: gli uomini
subito uccisi, le donne avviate alla morte lenta della deportazione
nel deserto. Furono usati vagoni piombati, primitive camere a gas,
eliminazioni collettive: le tecniche usate per l'annientamento degli
armeni divennero un modello che sarà ripetuto nel corso del Novecento,
prima di tutto contro gli ebrei.
L'affinità fra armeni ed ebrei è apparsa sempre più evidente negli
ultimi anni, in documenti e testimonianze uscite da archivi,
biblioteche, corrispondenze private, da cui emergono agghiaccianti
parallelismi nella sistematicità e nella ritualità delle esecuzioni, e
anche nella spietata efficienza dei carnefici. Non c'è davvero nulla
di nuovo sotto il sole. Provocando brividi di orrore, oggi la
televisione esibisce immagini di decapitazioni di ostaggi, che seguono
un preciso percorso rituale. Ma nel Dna degli armeni sono incise
analoghe, terribili foto risalenti a cent'anni fa, e anche di più:
teste tagliate di intellettuali, sgocciolate dal sangue, venivano
esposte davanti al fotografo con garbo e un pizzico di soddisfatto
orgoglio, come monito e segno di disprezzo verso i deboli appartenenti
a un volgo sconfitto. Questa è l'ombra lunga del 1915, la profonditÃ
dell'abisso del male da cui ogni tanto ci illudiamo ingenuamente di
essere usciti: eppure la scelta umile e coraggiosa della vita è sempre
possibile, come la tenace diaspora armena ha dimostrato.
http://www.ilgiornale.it/news/massacri-stupri-e-odio-genocidio-degli-armeni-cos-feroce-e-1090972.html