Il Giorno (Italy)
23 gennaio 2015 venerdì
La tragedia degli armeniLo sterminio silenziosodi cui si tace troppo spesso
La storia della piccola e assimilata comunità italiana
VETRINA; Pag. 16
CENTO ANNI fa, un milione e mezzo di armeni morivano uccisi dalle
milizie dei Giovani Turchi ottomani saliti al potere agli inizi del
Novecento. Accadeva in quella che oggi è la Turchia: uomini, donne,
bambini e anziani massacrati nelle loro case, costretti a marciare
fino alla morte nel deserto dell'Anatolia centrale, deportati e
lasciati morire di stenti. Accadeva a due passi dall'Europa, nel
silenzio della comunità internazionale. QUELLO DEGLI ARMENI è stato il
primo Genocidio del Novecento, inteso come sterminio sistematico
rivolto contro un'intera etnia, al punto che il termine è stato
coniato proprio per dare un nome ai crimini orrendi commessi in nome
del nazionalismo turco, il cui solo obiettivo era l'eliminazione
fisica sistematica delle minoranze.
Quella armena, in particolare, per la sua presenza storica e
numericamente importante in tutta la regione dell'Anatolia, ex Impero
Ottomano, fu la prima a pagare il prezzo del fanatismo. NELL'IMMINENZA
del Giorno della Memoria del 27 gennaio, quando ci si interroga su
come la Shoah abbia potuto consumarsi nel cuore dell'Europa civile di
quegli anni, può essere utile ricordare la frase attribuita ad Adolf
Hitler nel 1939 e rivolta ad alcuni diplomatici britannici in servizio
a Berlino: Chi parla ancora oggi dell'annientamento degli armeni? (Wer
redet noch heute von der Vernichtung der Armenier?). Erano passati
solo vent'anni e quello che sarebbe successo da lì a poco è cosa
tristemente nota. Ecco perché è importante la memoria. Nessuno può
dire oggi come sarebbe andata se la Comunità internazionale fosse
intervenuta mentre si consumava il genocidio del popolo armeno con il
suo milione e mezzo di morti. Certamente il fondamentalismo si nutre
dell'indifferenza e, purtroppo, anche dell'ipocrisia di chi si volta
dall'altra parte, per ignoranza o per ragioni di opportunismo politico
o economico. Certo, non tutti si voltarono dall'altra parte. Anche gli
armeni ebbero i loro giusti, persone che seppero opporsi a quanto
stava accadendo al prezzo della vita. UN NOME su tutti, che ci lega in
modo significativo al dramma della Shoah, è quello di Armin Wegner,
ufficiale tedesco di stanza in Turchia durante la Prima Guerra
Mondiale che documentò il genocidio denunciandone gli orrori
nonostante la censura esercitata dal governo e dalle autorità turche.
Tornato in Germania, si oppose alle politiche anti-semite naziste. Mi
auguro che il Giorno della Memoria sia un momento non retorico per
rendere omaggio alle vittime della persecuzione ma anche a chi quella
persecuzione denunciò con coraggio. Sono passati cento anni dai
drammatici eventi che diedero inizio alla diaspora del nostro popolo.
Il 24 aprile, e per tutto il 2015, ricorderemo i nostri morti, ma
soprattutto cercheremo di esercitare la memoria nel senso più alto,
diffondendo la cultura armena per come essa ha saputo esprimersi in
Italia e nel mondo con i suoi tanti figli allontananti dalla terra
d'origine. LO SFORZO per un'integrazione armoniosa nelle società
ospitanti è stata una carta vincente per gli armeni, e ha garantito
loro la loro sopravvivenza. Bisogna valutare e valorizzare, come un
buon esempio, le dinamiche con cui una minoranza di stranieri ha
interagito in modo positivo con la società ospite senza perdere le
proprie originalità costitutive. A poche settimane dall'attacco al
settimanale Charlie Hebdo a Parigi, mi piace ricordare che la Francia
è stata tra i primi Paesi ad aprire le porte alla diaspora armena,
tanto da contare oggi una comunità di oltre 800mila persone. Per
quanto sta accadendo, con pericolosi eccessi di fondamentalismo vicini
e lontani e nell'imminenza del centenario, uno sforzo per il
riconoscimento del genocidio da parte della Comunità internazionale e
dell'Europa, appare ormai irrinunciabile. *Presidente Unioni Armeni
d'Italia
From: A. Papazian
23 gennaio 2015 venerdì
La tragedia degli armeniLo sterminio silenziosodi cui si tace troppo spesso
La storia della piccola e assimilata comunità italiana
VETRINA; Pag. 16
CENTO ANNI fa, un milione e mezzo di armeni morivano uccisi dalle
milizie dei Giovani Turchi ottomani saliti al potere agli inizi del
Novecento. Accadeva in quella che oggi è la Turchia: uomini, donne,
bambini e anziani massacrati nelle loro case, costretti a marciare
fino alla morte nel deserto dell'Anatolia centrale, deportati e
lasciati morire di stenti. Accadeva a due passi dall'Europa, nel
silenzio della comunità internazionale. QUELLO DEGLI ARMENI è stato il
primo Genocidio del Novecento, inteso come sterminio sistematico
rivolto contro un'intera etnia, al punto che il termine è stato
coniato proprio per dare un nome ai crimini orrendi commessi in nome
del nazionalismo turco, il cui solo obiettivo era l'eliminazione
fisica sistematica delle minoranze.
Quella armena, in particolare, per la sua presenza storica e
numericamente importante in tutta la regione dell'Anatolia, ex Impero
Ottomano, fu la prima a pagare il prezzo del fanatismo. NELL'IMMINENZA
del Giorno della Memoria del 27 gennaio, quando ci si interroga su
come la Shoah abbia potuto consumarsi nel cuore dell'Europa civile di
quegli anni, può essere utile ricordare la frase attribuita ad Adolf
Hitler nel 1939 e rivolta ad alcuni diplomatici britannici in servizio
a Berlino: Chi parla ancora oggi dell'annientamento degli armeni? (Wer
redet noch heute von der Vernichtung der Armenier?). Erano passati
solo vent'anni e quello che sarebbe successo da lì a poco è cosa
tristemente nota. Ecco perché è importante la memoria. Nessuno può
dire oggi come sarebbe andata se la Comunità internazionale fosse
intervenuta mentre si consumava il genocidio del popolo armeno con il
suo milione e mezzo di morti. Certamente il fondamentalismo si nutre
dell'indifferenza e, purtroppo, anche dell'ipocrisia di chi si volta
dall'altra parte, per ignoranza o per ragioni di opportunismo politico
o economico. Certo, non tutti si voltarono dall'altra parte. Anche gli
armeni ebbero i loro giusti, persone che seppero opporsi a quanto
stava accadendo al prezzo della vita. UN NOME su tutti, che ci lega in
modo significativo al dramma della Shoah, è quello di Armin Wegner,
ufficiale tedesco di stanza in Turchia durante la Prima Guerra
Mondiale che documentò il genocidio denunciandone gli orrori
nonostante la censura esercitata dal governo e dalle autorità turche.
Tornato in Germania, si oppose alle politiche anti-semite naziste. Mi
auguro che il Giorno della Memoria sia un momento non retorico per
rendere omaggio alle vittime della persecuzione ma anche a chi quella
persecuzione denunciò con coraggio. Sono passati cento anni dai
drammatici eventi che diedero inizio alla diaspora del nostro popolo.
Il 24 aprile, e per tutto il 2015, ricorderemo i nostri morti, ma
soprattutto cercheremo di esercitare la memoria nel senso più alto,
diffondendo la cultura armena per come essa ha saputo esprimersi in
Italia e nel mondo con i suoi tanti figli allontananti dalla terra
d'origine. LO SFORZO per un'integrazione armoniosa nelle società
ospitanti è stata una carta vincente per gli armeni, e ha garantito
loro la loro sopravvivenza. Bisogna valutare e valorizzare, come un
buon esempio, le dinamiche con cui una minoranza di stranieri ha
interagito in modo positivo con la società ospite senza perdere le
proprie originalità costitutive. A poche settimane dall'attacco al
settimanale Charlie Hebdo a Parigi, mi piace ricordare che la Francia
è stata tra i primi Paesi ad aprire le porte alla diaspora armena,
tanto da contare oggi una comunità di oltre 800mila persone. Per
quanto sta accadendo, con pericolosi eccessi di fondamentalismo vicini
e lontani e nell'imminenza del centenario, uno sforzo per il
riconoscimento del genocidio da parte della Comunità internazionale e
dell'Europa, appare ormai irrinunciabile. *Presidente Unioni Armeni
d'Italia
From: A. Papazian