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Dagli armeni alla Shoah, il Novecento secolo dei genocidi

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  • Dagli armeni alla Shoah, il Novecento secolo dei genocidi

    L'Espresso , Italia
    27 gen 2015

    Dagli armeni alla Shoah, il Novecento secolo dei genocidi

    Un secolo fa gli armeni. E settant'anni fa gli ebrei. Due tragedie
    unite in un libro in uscita, che mostra come il secolo scorso sia
    stato percorso dall'idea malsana della pulizia etnica

    di Wlodek Goldkorn

    Le scarpe degli internati conservate nel campo di Auschwitz Quando si
    parla di genocidi, deportazioni di massa, uccisioni su scala
    industriale; quando ai nostri occhi di spettatori postumi si
    presentano immagini di uomini, donne, bambine e bambini (tanti)
    condotti verso la morte (da pochi), è difficile reprimere l'impulso di
    chiedere: . Di fronte a una evidente
    superiorità numerica delle vittime rispetto ai loro aguzzini non è
    facile capire la presunta rassegnazione o peggio passività di chi sta
    per essere assassinato. Nasce da questa nostra incredulità, da questa
    nostra incapacità di immaginare l'inimmaginabile l'idea che le vittime
    avessero rinunciato alla diginità e all'onore.

    La domanda: risuonò nell'aula del
    tribunale di Gerusalemme durante il processo di Adolf Eichmann,
    rivolta dal pubblico ministero Gideon Hausner ai testimoni supersiti
    della Shoah. Ne è nato un libro polemico, non privo di rancore: "La
    banalità del male" di Hannah Arendt.

    In concomitanza con la Giornata della memoria (il 27 gennaio di
    settant'anni fa Auschwitz fu liberata dall'Armata rossa) l'editore
    Giuntina ha pubblicato un piccolo e prezioso libro. Non parla della
    Shoah, o almeno non direttamente. Si intitola "Pro Armenia. Voci
    ebraiche sul genocidio armeno" (a cura di Fulvio Cortese e Francesco
    Berti) con la prefazione di Antonia Arslan. A pagina 33 del volume si
    trova una frase che, sebbene scritta 45 anni prima del processo
    Eichmann, letta oggi, clamorosamente rovescia la questione posta da
    Hausner: . L'autore è Lewis Einstein, diplomatico americano, esperto
    della Turchia, morto nel 1967 all'età di novant'anni. E il testo, uno
    dei quattro del libro, lo ha composto nel 1917, due anni dopo il
    massacro che costò la vita a un milione di esseri umani, colpevoli
    solo di essere nati armeni.

    Einstein spiega le ragioni per cui le vittime non si ribellarono così:
    >. La fuga dall'Egitto era una marcia
    verso la libertà. Qui invece l'autore rovescia il testo e la
    tradizione biblica e aggiunge: . In altre parole: nessun carnefice è in grado di togliere la
    dignità alla vittima, se la vittima della sua dignità rimane
    cosciente.

    Gli armeni furono sterminati in due ondate successive. La prima nel
    1893-1894, ad opera del sultano Abdul Hamid II. L'accusa rivolta loro
    era quella di fomentare i disordini e di lavorare per la distruzione
    dell'impero ottomano. Furono ammazzate 200 mila persone. La seconda
    ondata, quella di un vero genocidio, nel senso che un'intera cultura
    venne sradicata assieme ai suoi portatori e ai suoi segni materiali
    (case, chiese, cimiteri) sugli altopiani dell'Anatolia, risale al
    1915. La prima guerra mondiale era in corso.

    La Turchia, governata da nazionalisti che in apparenza volevano
    modernizzare il paese, era nemica della Russia e nelle file delle
    armate dello zar c'erano molti soldati armeni. A Costantinopoli degli
    armeni cittadini turchi non ci si fidava. Occorreva quindi sbarazzarsi
    di loro. La ricostruzione della storia e del contesto in cui il
    massacro avvenne è, nel libro, opera di Raphael Lemkin, ebreo polacco,
    giurista, inventore, nel 1944, della parola genocidio scomparso nel
    1959 a New York (ai suoi funerali parteciparono appena sette persone).
    I suoi studi su cosa significhi l'assassinio e la cancellazione di un
    intero popolo risalgono ai primi anni Venti, quando lesse resoconti
    del processo intentato a Berlino a un giovane armeno imputato di aver
    ucciso Mehmet Talaat, ex ministro del governo turco, considerato il
    principale responabile della sorte subita dai suoi confratelli.

    Le sofferenze dagli armeni - per altro raccontate in forma romanzata
    da Antonia Arslan (l'autrice, appunto della prefazione a questo libro)
    in "La masseria delle allodole" (da cui i fratelli Taviani trassero
    l'omonimo film) - in questo libro sono narrate da Aaron Aharonson,
    sionista, agronomo talentuoso e uomo che in Palestina si mise contro i
    turchi al servizio dei britannici. Nel suo testo racconta di . E poi, con un tocco degno di
    un raffinato scrittore presenta il caso di un uomo sui 45 anni,
    elegante, che viene catturato a Costantinopoli assieme a un bambino di
    tre anni e portato al commissariato di polizia.

    Gli armeni non finirono nelle camere a gas, a differenza degli ebrei.
    Trovarono la morte durante le lunghe marce dalle loro città e villaggi
    e fino al deserto. Erano sottopposti a ogni possibile angheria; tra
    stupri delle donne, uccisioni arbitrarie, decessi per stenti, a causa
    di fame o per mancanza d'acqua. Uno sterminio più artigianale quindi
    rispetto a quello degli ebrei. Ma uno sterminio che non sfuggì, ecco
    un'altra coincidenza, agli occhi dei tedeschi, alleati dei turchi (ne
    parla nel libro il russo Andre Mandelstam), tanto che servì a Hitler
    da esempio su come il mondo sia in grado di tollerare e dimenticare
    tutto.

    Dice Raz Segal, 39enne storico dell'Università di Tel Aviv che da anni
    studia i paralleli e le differenze tra diversi genocidi: . Di
    quella strage, oltre 8mila musulmani inermi, ammazzati dai serbi,
    quest'anno cade il ventesimo anniversario. Un altro anniversario da
    ricordare, in questa giornata della memoria.

    http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2015/01/26/news/dagli-armeni-alla-shoah-il-novecento-secolo-dei-genocidi-1.196375

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