Unimondo
21 ago 2014
Escalation d'agosto nel Nagorno Karabakh
In quest'agosto crudele, dove le notizie più tragiche si rincorrono
quotidianamente, dall'Iraq all'Ucraina, dalla Siria fino alla striscia
di Gaza, pochi hanno prestato attenzione al Nagorno Karabakh. Eppure,
quella che si è avuta nelle ultime settimane è stata un'escalation
senza precedenti che ha rischiato di far precipitare Armenia e
Azerbaijan in una nuova guerra, mettendo in serio pericolo il giÃ
precario equilibro del cessate il fuoco siglato nel maggio 1994.
A partire dalla fine di luglio, gli scontri in quella che è la zona
più militarizzata d'Europa si sono susseguiti con sempre maggior
frequenza, provocando almeno 20 morti, spesso giovanissimi. Difficile
il computo delle vittime: in mancanza di osservatori esterni, ci si
deve basare sulle cifre fornite dai due governi, che risultano assai
discordanti. La propaganda infatti ha avuto un ruolo di primo piano
negli eventi di questi giorni.
Come un'onda lunga, gli scontri sulla linea del fronte erano andati
intensificandosi già negli ultimi mesi, includendo anche zone
tradizionalmente non interessate dal conflitto, come il confine con
l'exclave azerbaijana del Nakhichevan, incuneata fra Armenia, Turchia
e Iran. Ai colpi dei cecchini, che producono ogni anno alcune decine
vittime, si sono aggiunti nelle ultime settimane veri e propri
tentativi di forzare le linee. A quanto pare, questi sarebbero
avvenuti soprattutto ` ma non esclusivamente ` da parte azera, il che
spiegherebbe fra l'altro l'alto numero di caduti fra le loro fila: 13
secondo fonti governative di Baku riportate dalla stampa (quasi il
doppio, sostengono invece le stime armene).
Il caso di Karen Petrosyan
A gettare benzina sul fuoco ` contemporanea all'escalation militare a
inizio mese ` è la vicenda di Karen Petrosyan. L'uomo, un trentunenne
del villaggio armeno di Chinari, nella regione di Tavush, il 7 agosto
ha superato il confine e `in circostanze ignote' (secondo la versione
ufficiale armena) ha raggiunto AÄ?bulaq, in Azerbaijan. Un compaesano
di Petrosyan sostiene si sia perso andando per legna, un altro che
fosse ubriaco, mentre per Baku si tratta solo e unicamente di un
sabotatore e una spia.
A far pendere l'ago della bilancia da parte armena subentra però
un'intervista di Radio Free Europe/Radio Liberty fatta a Farida
Tagiyeva, persona in cui Petrosyan si sarebbe imbattuto per prima dopo
aver varcato il confine. A quanto sostengono la Tagiyeva e altri
compaesani della donna, l'uomo, che le si era avvicinato chiedendo del
tè, era disarmato e in abiti civili. A testimoniarlo, anche un video
amatoriale che ritrae un Petrosyan dall'aria smarrita mentre risponde
alle domande in russo degli abitanti di AÄ?bulaq.
In quella che è stata, come detto, un'escalation anche retorica e
propagandistica, lo stesso Petrosyan appare in seguito vestito in
uniforme militare, in un video pubblicato online, nel quale confessa a
un ufficiale che lo interroga di essere un agente. Un gran numero di
armi vengono mostrate a dimostrazione dell'assunto. La mattina dopo,
Karen Petrosyan viene dichiarato morto dal ministero della Difesa di
Baku, ufficialmente `a causa di un'insufficienza polmonare e
cardiaca'. Le autorità armene, convinte che l'uomo sia stato invece
torturato e ucciso, chiedono un'autopsia del corpo di Petrosyan da
parte di una commissione indipendente di esperti internazionali.
Non meno preoccupante è stato lo show di retorica bellicista inscenato
dalle autorità di Baku. Il profilo Twitter del presidente azerbaijano
Ilham Aliyev è stato riempito il 7 agosto da una notevole serie di
minacce, accuse e vanti di superiorità militare rivolte contro i
`barbari e vandali armeni'. Del giorno seguente sono invece le
dichiarazioni del ministro della Difesa Hafiz Heydarov che si è detto
pronto, se necessario, anche a distruggere la capitale armena Yerevan
con i propri missili.
Arresti
Non sarà un caso che, contemporanea all'escalation retorica e
militare, si sia verificata in Azerbaijan un'ondata repressiva senza
precedenti. Un fattore essenziale nelle dinamiche del conflitto del
Nagorno Karabakh è infatti l'utilizzo che ne fanno tanto il dittatore
Aliyev che gli oligarchi armeni ad uso interno, per giustificare una
gestione antiliberale del potere politico ed economico dei propri
paesi.
Così, il 5 agosto, sono scattate le manette per il sociologo Arif
Yunus, accusato di collaborare con i servizi armeni. Appena pochi
giorni prima, la medesima sorte era toccata a sua moglie, l'attivista
per i diritti umani Leyla Yunus, mentre è del 2 l'arresto di un altro
attivista, Rasul Jafarov. Si è giunti così al ragguardevole numero di
97 prigionieri politici chiusi nelle carceri azere, secondo una lista
pubblicata l'8 agosto da un gruppo di 12 ONG e da una équipe di
avvocati sulla base del lavoro effettuato precedentemente da Leyla
Yunus e da Jafarov. Lista che necessiterebbe già di un'ulteriore
estensione, dato il successivo arresto di Intigam Aliyev.
A tracciare una precisa connessione fra questi arresti e l'escalation
militare degli stessi giorni è una dichiarazione del consigliere del
presidente Aliyev, Ali Hasanov, che commentando l'arresto della Yunus
ha affermato esservi in Azerbaijan un gruppo di persone ` fra cui la
stessa attivista ` legato ad una fantomatica lobby armena.
La crisi fra i due paesi pare al momento essere rientrata in seguito a
una serie di incontri tenutisi a Sochi fra il presidente Aliyev, il
suo omologo armeno Sargsyan e Vladimir Putin fra il 9 e 10 di agosto.
Non senza qualche nota inquietante, come ad esempio i combattimenti di
sambo (un'arte marziale russa) cui hanno assistito la sera Putin, in
funzione di `pacificatore', e i due presidenti suoi ospiti.
A partire dai quei giorni, si è tornati a una calma relativa sul
confine, a quello stato di normalità anormale che contraddistingue
ormai da un ventennio il conflitto del Nagorno Karabakh: un cessate il
fuoco continuamente violato da entrambe le parti, senza che però la
situazione precipiti in una guerra aperta.
Fra le poche note positive di questi giorni è un appello per la pace
in Karabakh firmato nei giorni più caldi del conflitto da diversi
rappresentanti della società civile armena, azera, oltre che da alcuni
esperti internazionali. Un fioco lume di fronte a un mare di tenebra?
Simone Zoppellaro
http://www.unimondo.org/Notizie/Escalation-d-agosto-nel-Nagorno-Karabakh-147407
21 ago 2014
Escalation d'agosto nel Nagorno Karabakh
In quest'agosto crudele, dove le notizie più tragiche si rincorrono
quotidianamente, dall'Iraq all'Ucraina, dalla Siria fino alla striscia
di Gaza, pochi hanno prestato attenzione al Nagorno Karabakh. Eppure,
quella che si è avuta nelle ultime settimane è stata un'escalation
senza precedenti che ha rischiato di far precipitare Armenia e
Azerbaijan in una nuova guerra, mettendo in serio pericolo il giÃ
precario equilibro del cessate il fuoco siglato nel maggio 1994.
A partire dalla fine di luglio, gli scontri in quella che è la zona
più militarizzata d'Europa si sono susseguiti con sempre maggior
frequenza, provocando almeno 20 morti, spesso giovanissimi. Difficile
il computo delle vittime: in mancanza di osservatori esterni, ci si
deve basare sulle cifre fornite dai due governi, che risultano assai
discordanti. La propaganda infatti ha avuto un ruolo di primo piano
negli eventi di questi giorni.
Come un'onda lunga, gli scontri sulla linea del fronte erano andati
intensificandosi già negli ultimi mesi, includendo anche zone
tradizionalmente non interessate dal conflitto, come il confine con
l'exclave azerbaijana del Nakhichevan, incuneata fra Armenia, Turchia
e Iran. Ai colpi dei cecchini, che producono ogni anno alcune decine
vittime, si sono aggiunti nelle ultime settimane veri e propri
tentativi di forzare le linee. A quanto pare, questi sarebbero
avvenuti soprattutto ` ma non esclusivamente ` da parte azera, il che
spiegherebbe fra l'altro l'alto numero di caduti fra le loro fila: 13
secondo fonti governative di Baku riportate dalla stampa (quasi il
doppio, sostengono invece le stime armene).
Il caso di Karen Petrosyan
A gettare benzina sul fuoco ` contemporanea all'escalation militare a
inizio mese ` è la vicenda di Karen Petrosyan. L'uomo, un trentunenne
del villaggio armeno di Chinari, nella regione di Tavush, il 7 agosto
ha superato il confine e `in circostanze ignote' (secondo la versione
ufficiale armena) ha raggiunto AÄ?bulaq, in Azerbaijan. Un compaesano
di Petrosyan sostiene si sia perso andando per legna, un altro che
fosse ubriaco, mentre per Baku si tratta solo e unicamente di un
sabotatore e una spia.
A far pendere l'ago della bilancia da parte armena subentra però
un'intervista di Radio Free Europe/Radio Liberty fatta a Farida
Tagiyeva, persona in cui Petrosyan si sarebbe imbattuto per prima dopo
aver varcato il confine. A quanto sostengono la Tagiyeva e altri
compaesani della donna, l'uomo, che le si era avvicinato chiedendo del
tè, era disarmato e in abiti civili. A testimoniarlo, anche un video
amatoriale che ritrae un Petrosyan dall'aria smarrita mentre risponde
alle domande in russo degli abitanti di AÄ?bulaq.
In quella che è stata, come detto, un'escalation anche retorica e
propagandistica, lo stesso Petrosyan appare in seguito vestito in
uniforme militare, in un video pubblicato online, nel quale confessa a
un ufficiale che lo interroga di essere un agente. Un gran numero di
armi vengono mostrate a dimostrazione dell'assunto. La mattina dopo,
Karen Petrosyan viene dichiarato morto dal ministero della Difesa di
Baku, ufficialmente `a causa di un'insufficienza polmonare e
cardiaca'. Le autorità armene, convinte che l'uomo sia stato invece
torturato e ucciso, chiedono un'autopsia del corpo di Petrosyan da
parte di una commissione indipendente di esperti internazionali.
Non meno preoccupante è stato lo show di retorica bellicista inscenato
dalle autorità di Baku. Il profilo Twitter del presidente azerbaijano
Ilham Aliyev è stato riempito il 7 agosto da una notevole serie di
minacce, accuse e vanti di superiorità militare rivolte contro i
`barbari e vandali armeni'. Del giorno seguente sono invece le
dichiarazioni del ministro della Difesa Hafiz Heydarov che si è detto
pronto, se necessario, anche a distruggere la capitale armena Yerevan
con i propri missili.
Arresti
Non sarà un caso che, contemporanea all'escalation retorica e
militare, si sia verificata in Azerbaijan un'ondata repressiva senza
precedenti. Un fattore essenziale nelle dinamiche del conflitto del
Nagorno Karabakh è infatti l'utilizzo che ne fanno tanto il dittatore
Aliyev che gli oligarchi armeni ad uso interno, per giustificare una
gestione antiliberale del potere politico ed economico dei propri
paesi.
Così, il 5 agosto, sono scattate le manette per il sociologo Arif
Yunus, accusato di collaborare con i servizi armeni. Appena pochi
giorni prima, la medesima sorte era toccata a sua moglie, l'attivista
per i diritti umani Leyla Yunus, mentre è del 2 l'arresto di un altro
attivista, Rasul Jafarov. Si è giunti così al ragguardevole numero di
97 prigionieri politici chiusi nelle carceri azere, secondo una lista
pubblicata l'8 agosto da un gruppo di 12 ONG e da una équipe di
avvocati sulla base del lavoro effettuato precedentemente da Leyla
Yunus e da Jafarov. Lista che necessiterebbe già di un'ulteriore
estensione, dato il successivo arresto di Intigam Aliyev.
A tracciare una precisa connessione fra questi arresti e l'escalation
militare degli stessi giorni è una dichiarazione del consigliere del
presidente Aliyev, Ali Hasanov, che commentando l'arresto della Yunus
ha affermato esservi in Azerbaijan un gruppo di persone ` fra cui la
stessa attivista ` legato ad una fantomatica lobby armena.
La crisi fra i due paesi pare al momento essere rientrata in seguito a
una serie di incontri tenutisi a Sochi fra il presidente Aliyev, il
suo omologo armeno Sargsyan e Vladimir Putin fra il 9 e 10 di agosto.
Non senza qualche nota inquietante, come ad esempio i combattimenti di
sambo (un'arte marziale russa) cui hanno assistito la sera Putin, in
funzione di `pacificatore', e i due presidenti suoi ospiti.
A partire dai quei giorni, si è tornati a una calma relativa sul
confine, a quello stato di normalità anormale che contraddistingue
ormai da un ventennio il conflitto del Nagorno Karabakh: un cessate il
fuoco continuamente violato da entrambe le parti, senza che però la
situazione precipiti in una guerra aperta.
Fra le poche note positive di questi giorni è un appello per la pace
in Karabakh firmato nei giorni più caldi del conflitto da diversi
rappresentanti della società civile armena, azera, oltre che da alcuni
esperti internazionali. Un fioco lume di fronte a un mare di tenebra?
Simone Zoppellaro
http://www.unimondo.org/Notizie/Escalation-d-agosto-nel-Nagorno-Karabakh-147407